La sessione intende porre all’attenzione degli studiosi il tema degli spazi delle città destinati al commercio dei generi alimentari. Ai mercati pubblici urbani era affidato l’importante compito di rifornire le popolazioni di viveri e beni di prima necessità; per questo motivo le attenzioni delle istituzioni locali su questi luoghi erano prioritarie. Agli occhi dei contemporanei i luoghi del mercato del passato sono altamente rappresentativi, in quanto la dinamica delle attività svolte al loro interno costituivano degli inequivocabili indici della ricchezza della città. Generalmente i luoghi assegnati alle pratiche commerciali periodiche all’aperto erano le piazze, in queste lo spazio veniva rigorosamente suddiviso in base ai prodotti venduti. Le pratiche funzionali erano disciplinate da regolamenti locali, spesso accompagnati da rappresentazioni iconografiche che definivano lo spazio e l’ubicazione dei banchi suddivisi per categorie (pesci, carne etc.). Il mercato, soprattutto nei secoli dell’età moderna, ha rappresentato una delle attività socio-economiche più rilevanti del contesto urbano, un organismo altamente dinamico che ha contribuito alla formazione delle relazioni con il territorio produttivo agricolo. Lo studio delle tipologie dei prodotti commerciati nei vari mercati storici offre uno sguardo privilegiato sulle vocazioni agrarie del territorio, sui consumi alimentari locali, sulla circolazione dei prodotti e sul rapporto con le differenti, più o meno vicine, aree produttive. La sessione intende stimolare un confronto interdisciplinare attraverso contributi volti all’analisi del rapporto tra i differenti modelli di mercato e le varie narrazioni della vita quotidiana, tradotte nelle diverse categorie della cultura e dei sistemi sociali della città: il livello di ricchezza, la struttura di governo, la dimensione della città, gli standard di igiene esicurezza, i sistemi di trasporto esistenti, i diversi sistemi di vendita al dettaglio, il rapporto città-campagna o pratiche di economia circolare. Più specificamente, la sessione comprende (ma non si limita a) i seguenti temi: La piazza del mercato: socialità e dialettiche collettive; I modelli e l’organizzazione del mercato urbano; La varietà dei prodotti alimentari e il contesto ambientale del mercato; Costruzione e regolamentazione delle piazze dei mercati.
3.2 Vivere ai margini della città nell’età moderna. Centri incerti e margini mobili
Coordinatori: Rubén Castro Redondo (Universidad de Cantabria), Sylvain André (Sorbonne Université) Email:ruben.castro@unican.es
Descrizione sessione
Se la costruzione politico-giurisdizionale delle città moderne è da decenni oggetto dell’attenzione degli storici, come probabile effetto, in parte, per gli ingranaggi locali del potere, la costruzione materiale e simbolica dei territori sotto la lora giurisdizione non hanno ricevuto lo stesso interesse. Allo stesso tempo, l’entusiasmo storiografico per tracciare una storia globale della modernità ha permesso di mostrare processi su scala locale che altrimenti non sarebbero certo venuti alla luce, ma ha proiettato sul mondo urbano occidentale il prisma di un’iperconnessione globale, a volte esagerata. Sfuggendo al fuoco dell’una e dell’altra tendenza, lo spessore storico dei margini è rimasto, più o meno, invisibile. Quindi, poco si sa delle pratiche di delimitazione territoriale o del modo in cui le persone vivevano ai margini delle città, così come gli effetti e le trasformazioni che le istituzioni del governo municipale hanno imposto – o meno – alle comunità situate ai margini delle città il loro dominio. Per superare la dicotomia tra una microstoria regionale e una storia globale, si propone qui di riconsiderare gli sviluppi economici, politici e sociali delle città moderne in base alla loro capacità o meno di estendere e rendere effettivo il loro potere amministrativo ai luoghi periferici della sua giurisdizione. Molte sono le ipotesi che derivano da questo postulato. Quali identità e culture si sono materializzate nelle comunità che abitavano i margini delle città o delle giurisdizioni urbane? Il fatto di insediarsi al margine amministrativo di una città è stato un fattore identitario proprio e da essa differenziato per le comunità limitrofe che vi si sono insediate, oppure su di esse ha prevalso l’estensione dell’identità urbana? Ci sono state divergenze o addirittura contraddizioni identitarie rispetto al collettivo intramurale? Quali sono stati gli effetti sulla popolazione delle città e della loro periferia delle politiche di controllo e definizione territoriale attuate dai consigli urbani? Quali forme hanno assunto i residenti periferici per resistere agli attacchi proiettati dal centro urbano da sindaci, giudici, sindacati, esattori o capi delle giurisdizioni che fanno capo a dette città? Attraverso quali meccanismi le comunità di quartiere periferiche cercavano di difendere i propri usi e consuetudini dagli attacchi diretti dalle istituzioni urbane?
3.3 Commercio e città dei consumi
Coordinatori: Elena Dellapiana (Politecnico di Torino), Roberto Parisini (Università degli Studi di Ferrara) Email:elena.dellapiana@polito.it
Descrizione sessione
La sessione punta ad osservare la formazione, le caratteristiche e la collocazione degli spazi urbani destinati al commercio (vie dei negozi, mercati, centri e distretti commerciali, ecc…) e, oltre lo sguardo, a cogliere le funzioni che essi assumono e le relazioni che stabiliscono con le pratiche del consumo attraverso il farsi e trasformarsi della città, della sua natura, delle sue diverse parti, includendo i profili relativi agli impatti ambientali, culturali, identitari. La periodizzazione privilegiata (ma non esclusiva) – che si va ad aggiungere a quella più consolidata relativa ai secoli XVIII e XIX – sarà quella almeno degli ultimi cento anni, fortemente segnati tanto dall’urbanizzazione e dalla pianificazione, quanto dall’imponente allargarsi della commercializzazione e della pubblicizzazione, dall’ibridazione del modello americano, dal progressivo diffondersi e diversificarsi dei riti di accesso al benessere diffuso. La prospettiva transdisciplinare dovrà essere garantita dalla varietà degli approcci chiamati in causa: i luoghi e le pratiche del consumo, nelle loro diverse forme, radicano le proprie dinamiche nella geografia fisica della città, nei flussi della mobilità, nei modelli dell’urbanistica e della progettazione architettonica, nelle forme del governo urbano, nelle pratiche immobiliari e infrastrutturali, nell’assegnazione di significati e valori. Intrecciano (e anche sovrappongono) le aspettative dei gruppi sociali, le valenze di pubblico e privato, la progressiva accettazione di un livello di servizi da garantire. Intercettano tanto i processi di attiva interpretazione dal basso delle pratiche urbane (le “invenzioni del quotidiano”), quanto i percorsi di costruzione della cittadinanza. Permettono, in ultima analisi, di indagare e di restituire anche fenomeni sfuggenti, quali quelli della sovrapposizione tra fisico e immateriale. Vista la possibile molteplicità delle scale e dei punti di osservazione a cui si allude qui, la dimensione dell’indagine preferibile (ma, di nuovo, non necessariamente esclusiva) appare quella dei casi-studio in grado di aiutare, con le loro potenzialità comparative, a fissare elementi di sintesi, spunti di orientamento sempre utili a governare un oggetto di studio che si presenta potenzialmente piuttosto articolato e complesso.
3.4 La città dell’automobile. Costruzioni e spazi urbani in Italia dagli anni del boom economico alla crisi energetica
Coordinatori: Gabriele Neri (Politecnico di Torino), Massimiliano Savorra (Università degli Studi di Pavia) Email:gabriele.neri@polito.it
Descrizione sessione
Dopo la Seconda guerra mondiale, il mondo occidentale visse quelli che furono definiti “gli anni ruggenti” dell’automobile. L’Italia non fece eccezione: si passò dal mezzo milione del 1960 a circa un milione di vetture immatricolate nel 1966. Da elemento di svago riservato a un’élite, l’automobile si trasformò rapidamente in un mezzo di massa, con radicali conseguenze sul contesto urbano. Con l’obiettivo di presentare casi studio inesplorati e al contempo visioni storiografiche ampie, comprendenti discipline eterogenee, la sessione intende fare il punto su come le città italiane si siano adattate allo sviluppo dell’utilizzo motoristico di largo consumo. Come sono stati concepiti e declinati i piani di città espressamente dedicati alle automobili? Con quali riferimenti culturali e operativi, dall’interno e dall’esterno dei confini nazionali? Come hanno risposto architetti, urbanisti, amministratori pubblici, imprese, ingegneri? Quali visioni utopiche o distopiche sono state concepite in Italia in relazione all’uso dell’automobile? In che termini le riviste di settore dell’automotive hanno influenzato e diffuso un’idea di città moderna? Quali tipologie sono state influenzate – e in che maniera – dalla pressione della motorizzazione di massa nelle città italiane? In che modo lo Stato e le principali imprese italiane hanno influito sullo sviluppo urbanistico e architettonico legato all’automobile? In particolare, si invita a riflettere su: – Questioni teoriche e riferimenti internazionali – Rapporto tra esigenze veicolari e spazi e monumenti urbani (Piazze trasformate in parcheggi, creazione o revisione di nuovi assi urbani, ecc.) – Piani e visioni di città per le automobili (Gio Ponti e Autilia, Radicals, ecc. ) – Progettazione di aree di sosta, stazioni di servizio urbane, garage e autogrill – Infrastrutture viarie (viadotti urbani, tangenziali, sopra-passi, sotto-passi, ecc.) – Le città nelle riviste dell’automotive, house organ o che trattano di questioni per il moderno automobilista (Quattroruote, L’auto italiana, Gente motori, Autorama, Pirelli, Il gatto selvatico, Le vie d’Italia, ecc.) – Automobile e comunicazione (semiotica dell’automobile) – La trasformazione del paesaggio urbano rispetto a pubblicità, segnaletica stradale, ecc.
3.5 La città dell’automobile. Esperienze ed iniziative in Italia dagli anni dell’austerity al nuovo progetto di mobilità
Coordinatori: Luca Velo (Università Iuav di Venezia), Stefano Munarin (Università Iuav di Venezia), Samuel Fattorelli (Università Iuav di Venezia) Email:lucavelo@iuav.it
Descrizione sessione
Sono trascorsi esattamente cinquant’anni anni dalla grande crisi petrolifera che per effetto dell’embargo decretato dall’OPEC nell’ottobre 1973 ferma le auto private negli Stati Uniti e nei Paesi alleati in Europa, Italia compresa, dove prendono il via iniziative di riscoperta della mobilità attiva e forme di nuove condizioni di uso e di progetto della strada ma anche dello spazio aperto e costruito, coinvolgendo tanto la sfera pubblica quanto quella privata. A generare uno dei momenti più critici nella storia della motorizzazione nel nostro Paese è, nello stesso anno, la guerra arabo-israeliana dello Yom Kippur che conduce definitivamente all’embargo. Si introducono le “domeniche a piedi” accanto a altri primi provvedimenti in tema di circolazione, come il rincaro dei carburanti e l’abbassamento a 120 km/h della velocità consentita in autostrada. La reazione alla crisi dei carburanti determina una progressiva disaffezione degli italiani nei confronti dell’automobile, facendo emergere nuove sensibilità ambientali, determinando una situazione di crisi del mercato automobilistico superata solo da quella attuale. Dal consuntivo di quell’anno con 1.449 milioni di immatricolazioni si scende a 1.281 milioni nel 1974 e a 1.051 nel 1975. In risposta a tale crisi, il governo italiano vara un decreto sull’austerity che impone, assieme ai rincari per i carburanti e per il gasolio da riscaldamento, anche una limitazione agli spostamenti individuali per contenere i consumi di energia (taglio dell’illuminazione pubblica, riduzione degli orari dei negozi, chiusura anticipata di cinema, bar e ristoranti, fino alla sospensione dei programmi televisivi). Il 2 dicembre del 1973 si approda alla prima domenica di sospensione delle auto private e degli altri veicoli a motore non autorizzati (misura che in seguito sarà usata anche per limitare le emissioni inquinanti dei veicoli), con un risparmio per ogni giornata ‘a piedi’ (ma più frequentemente in bicicletta) di 50 milioni di litri di carburante. La sessione intende analizzare e porre a confronto possibili esperienze di progetto ed iniziative collettive che possano essere lette e reinterpretate come espressioni di un cambio di atteggiamento nei confronti di modelli di sviluppo urbano autocentrici, riduscutendo i processi di “autostradalizzazione” dello spazio urbano, sperimentando e accogliendo modelli di controllo e limitazione del traffico urbano più rispettosi delle istanze ambientali e sociali. L’obiettivo del panel rientra nel tentativo di ricostruire le radici culturali e gli immaginari che stanno alla base del progetto contemporaneo orientato al contenimento o al controllo del traffico veicolare nei contesti urbani e periurbani, includendo non soltanto le esperienze legate alla Città dei 15 minuti e alle diverse politiche a sostegno del trasporto pubblico e della mobilità attiva ma anche alle forme di compresenza tra differenti mobilità individuali e collettive.
3.6 Città e architetture per la salute. Tipologie, investimenti, processi
Coordinatori: Patrizia Montuori (Università degli Studi dell’Aquila), Daniela Felisini (Università degli Studi di Roma Tor Vergata), Chiara Rizzi (Università degli Studi della Basilicata) Email:patrizia.montuori@univaq.it
Descrizione sessione
Le architetture per la salute rappresentano uno dei nodi strutturanti della città, sia storica sia contemporanea, ed hanno influenzato, con le differenti caratteristiche insediative, architettoniche e gestionali che hanno assunto nel corso della storia, la natura funzionale, spaziale ed economica d’interi brani urbani. Dagli spazi per la cura nei monasteri medievali, alle sperimentazioni rinascimentali, alle moderne “città della salute” messe a punto dall’epoca dei Lumi passando dai policlinici a padiglioni ai monoblocchi contemporanei, le strutture sanitarie hanno subito varie, significative trasformazioni connesse non solo all’evoluzione della scienza medica, ma anche ai mutamenti socio-economici della domanda di assistenza e a nuovi paradigmi architettonici e urbani (a esempio la progettazione biofilica). A queste si sono associate trasformazioni organizzative e gestionali connesse alle istituzioni, enti pubblici e/o privati e imprese cui si lega la loro storia e alle diverse concezioni di welfare e strategie di investimento che questa pluralità di attori ha espresso nel tempo. La sessione intende indagare attraverso diverse chiavi interpretative (storia dell’architettura, storia dell’economia e dell’impresa, progettazione architettonica, urbanistica, etc.) tali evenienze e il loro impatto sulla città, anche alla luce dei recenti processi di trasformazione, riuso e rigenerazione, e stimolare un approccio comparativo e di lungo periodo sulle architetture per la salute con l’obiettivo di comprendere: – le caratteristiche architettoniche, insediative, organizzative e gestionali che assumono nel corso della storia; – la loro influenza sulla struttura funzionale, spaziale ed economica della città storica e/o contemporanea; – il ruolo assunto dai diversi attori che hanno partecipato alla localizzazione e realizzazione di tali strutture; – il loro grado di adattabilità architettonica, insediativa, economica e le strategie di trasformazione/riuso/rigenerazione attuate o da attuare.
3.7 La città nella città. Mercanti e spazi urbani tra inclusione e marginalizzazione (secc. XI-XVII)
Coordinatori: Stefania Gialdroni (Università degli Studi di Padova), Jake Dyble (Università degli Studi di Padova), Chiara Lo Giudice (Università degli Studi di Padova) Email:stefania.gialdroni@unipd.it
Descrizione sessione
Lo scopo di questa sessione è quello di analizzare il modo in cui l’architettura e l’urbanistica hanno interpretato il ruolo dei mercanti nella città medievale e moderna. La cosiddetta “Rivoluzione commerciale” del X-XI secolo è un fenomeno legato allo sviluppo delle città. In molti dei più floridi centri del commercio europeo (basti pensare alle Repubbliche marinare o alle città della Lega anseatica), lo sviluppo dei commerci ha avuto un impatto decisivo e duraturo sull’immagine della città: fondaci, logge, tribunali mercantili, sedi di corporazioni, piazze e (talvolta) chiese sono il retaggio di un fenomeno che non è stato solo economico ma anche giuridico, sociale e religioso. In una parola: culturale. Se il commercio è, ed è sempre stato, intrinsecamente e inevitabilmente internazionale, i mercanti hanno sempre svolto il ruolo di intermediari tra culture diverse, pur essendo questa mediazione il sottoprodotto di un’attività che aveva altri scopi: fare profitti. Si parla per questo di “latent-brokers”. Date queste premesse, la sessione darà modo di affrontare, in prospettiva possibilmente transdisciplinare e comparativa, domande quali: – In che modo l’architettura e l’urbanistica hanno riflesso i rapporti tra il potere politico e quello economico? – Chi e come ha finanziato e autorizzato la costruzione di opere destinate ad esaltare il ruolo dei mercanti nello spazio urbano? – Quali e quanti spazi erano riservati ai mercanti stranieri? Tali spazi favorivano l’inclusione o l’esclusione nella compagine cittadina? – Esistevano differenze tra i luoghi riservati ai mercanti provenienti da “nationes” diverse (ad es. i “tedeschi” e i “turchi” a Venezia)?
3.8 La città digitale oltre lo spazio tangibile. Ricostruire il paesaggio urbano e le sue funzioni
Coordinatori: Ludovica Galeazzo (Università degli Studi di Padova), Martina Massaro (Università degli Studi di Padova) Email:ludovica.galeazzo@unipd.it
Descrizione sessione
La città, ancorché costruzione fisica e insediativa, è il luogo di processi sociali e culturali incessanti, il punto materiale d’incontro di azioni politiche, pratiche economiche e prassi giurisdizionali. Studiarne la fenomenologia significa superare letture di carattere puramente morfologico, volte a indagare il solo patrimonio tangibile, per interpretare anche gli aspetti intangibili dell’ambiente costruito. Guardare agli spazi urbani e alle loro trasformazioni nel tempo richiede dunque di comprenderne e descriverne la natura funzionale e le articolazioni interne anche rispetto ai cambiamenti radicali che hanno coinvolto il tessuto insediativo nel corso dell’ultimo secolo. I processi di svuotamento delle funzioni della città storica a favore di una decentralizzazione delle attività commerciali, sanitarie o amministrative impone una riflessione sul rapporto dialogico tra società e paesaggio urbano. Oggi le possibilità offerte dalle tecnologie digitali – dai progetti di mapping ai modelli integrati, dai database geospaziali ai più avanzati prodotti di realtà virtuale, aumentata e immersiva – permettono di esperire la città a tutto tondo restituendone non solo la fisionomia e la qualità degli spazi urbani o delle emergenze architettoniche ma di addentrarsi nelle pieghe delle dinamiche sociali, politico economiche e culturali che ne informano l’organizzazione. Il progressivo superamento della cortina di separazione tra campi di studio differenti permette inoltre di avviare ricerche multidisciplinari che, sfruttando l’interoperabilità degli strumenti digitali, aprono nuove piste di indagine conoscitiva. A ricostruzioni rarefatte e fortemente incentrate sull’aspetto visivo si sostituisce un intreccio di informazioni e contenuti storici atti a raffigurare l’assetto complessivo delle città: dalle attività produttive alle consuetudini economiche, dai dati demografici a quelli fondiari, dai flussi sociali alla circolazione artistica transculturale. La messa a sistema di ricerche storiche eterogenee dà origine a prospettive analitiche e comparative innovative che spesso superano le potenzialità narrative degli studi tradizionali. La sessione accoglie interventi che presentino progetti digitali (a qualsiasi stadio di sviluppo) volti a rappresentare la città in qualunque fase storica, non solo nella prospettiva figurativa dei suoi manufatti – esistenti o perduti – ma che abbraccino il più complesso tema della ricostruzione della natura polisemica degli spazi insediativi.
I processi di formazione e trasformazione della città nel tempo sono sempre stati caratterizzati dalla dicotomia tra tecnica ed estetica. In particolare, con l’avvento della prima rivoluzione industriale, questo aspetto ha assunto particolare rilevanza “percettiva” nella struttura urbana a seguito del forte incremento delle infrastrutture necessarie per la mobilità. Nella città pre-industriale il vuoto urbano rappresentava un tema di “decoro urbano” riservato alla dimensione umana, in quella post-industriale tale vuoto si lega indissolubilmente alla dimensione della macchina, divenendo uno spazio funzionale per la percorrenza dell’automobile fino alla comparsa delle ferrovie. Nascono architetture speciali, per la mobilità, a varie scale urbane, quali stazioni ferroviarie, parcheggi, ponti e viadotti stradali e ferroviari, arredi speciali, che incidono sull’estetica della città, mutandone definitivamente la percezione. Dalla città post-industriale ad oggi il progresso tecnico ha ulteriormente modificato la dimensione urbana e il panel auspica una riflessione multidisciplinare dei processi di trasformazione dovuti alle nuove esigenze di percorrenza e/o attraversamento delle città contemporanee.
3.10 La città per il turismo: dimensione spaziale e dinamiche di una nuova vocazione
Coordinatori: Betsabea Bussi (Politecnico di Torino), Giulia Viale (Politecnico di Torino) Email:betsabea.bussi@gmail.com
Descrizione sessione
Complesso e sfaccettato, il turismo è un fenomeno con ripercussioni sulla dimensione sociale, culturale, economica, politica ma soprattutto urbana dei territori che investe. Capace di plasmare e modificare profondamente lo spazio, dalla scala territoriale a quella architettonica, il turismo è stato reputato al contempo motore di progresso e rinnovamento urbano e furia distruttrice di risorse naturali e culturali. Lo studio degli effetti della pratica turistica sul territorio e sulla città meriterebbe ulteriori riflessioni da parte della storia urbana. Tuttavia, la letteratura sul turismo ha spesso puntato l’attenzione sulla pratica e sui suoi praticanti più che sul territorio oggetto di trasformazione. Il punto di vista privilegiato vorrebbe essere qui quello interno, del territorio prescelto, modificato, urbanizzato per e dalla funzione turistica. Con un approccio diacronico e multidisciplinare, l’obiettivo di questa sessione è di indagare le trasformazioni territoriali, urbane e architettoniche in risposta al fenomeno turistico in tutte le sue declinazioni storicizzate, intrecciando geografie e contesti storici diversi. Si accolgono proposte di intervento che riflettano sulla complessità del rapporto tra città e turismo in tutte le sue forme (religioso, medicale, culturale, ricreativo, …) e che si muovano preferibilmente tra Settecento e Novecento. I principali assi di riflessione, da ritenersi non limitanti né esaustivi, sono: – Turismo e progetto urbano: origini, specificità, modelli di un nuovo tipo urbano. Invenzione e pianificazione di località turistiche, contributo del turismo al processo di urbanizzazione – L’architettura del turismo: nuove tipologie per l’accoglienza e il loisir – Gli attori locali del turismo: ruolo e posizione di amministrazioni, élites, cittadini sulla trasformazione del territorio – Turismo ed economia: il turismo come leva di crescita e strumento di (ri)conversione funzionale per città e territori in crisi – Turismo e territori contesi: controversie, conflitti, rivendicazioni sul piano spaziale e sociale
3.11 I percorsi cerimoniali come momento di trasformazione urbana
Coordinatori: Olimpia Di Biase (Università degli Studi di Ferrara), Antonella De Michelis (University of British Columbia) Email:olimpia.dibiase@unife.it
Descrizione sessione
La città, quale organismo costruito e complesso in divenire, si configura come la traduzione tangibile di modificazioni legate a evoluzioni storico-culturali e relazioni politico-economiche. Quest’ultime determinano molteplici processi sociali che vanno a inserirsi come elemento di congiunzione e, quindi, motivo determinante della trasformazione del costruito storico, inteso come tessuto urbano costituito da edilizia minore, singole emergenze di architettura civile, civica e religiosa, nonché infrastrutture di aggregazione e rappresentanza. I momenti collettivi pubblici, derivanti dalle complesse interazioni sociali che si determinano all’interno del sistema urbano, possono declinarsi in numerose attività da intendersi come manifestazione e propaganda della potenza economica, del potere politico e dell’influenza religiosa. In quest’ottica viene ad inserirsi la consuetudine di ricorrere a momenti apologetici attraverso percorsi celebrativi lungo i tracciati urbani, con l’intento di richiamare l’attenzione pubblica e la legittimazione sociale. Questa pratica, dal punto di vista architettonico, rappresenta un momento di trasformazione della città nell’ottica di “abbellire” o rendere funzionale il contesto costruito preesistente per assolvere alla funzione celebrativa. Lo scopo della sessione, dunque, è quello di indagare le modificazioni di parti o di singole emergenze della città storica legate a quei processi celebrativi del potere in tutte le sue declinazioni. Risulterà fondamentale individuare la motivazione trasformativa e il contesto storico-culturale per quindi determinare e indagare il processo e il risultato trasformativo all’interno dell’organismo urbano preesistente.
3.12 Modelli e strategie sostenibili per la salvaguardia dei centri urbani
Coordinatori: Alessandra Cattaneo (Università degli Studi di Urbino Carlo Bo), Marco Pretelli (Alma Mater Studiorum – Università di Bologna), Laura Baratin (Università degli Studi di Urbino Carlo Bo), Lia Ferrari (Università degli Studi di Parma) Email:alessandra.cattaneo@uniurb.it
Descrizione sessione
Numerosi sono i centri urbani che vedono sommarsi varie funzioni specialistiche ancor più quando si tratta di città comprese tra quelle del Patrimonio Unesco. All’incrocio tra le varie forme di specializzazione (artistica, culturale, sacra, universitaria, turistica, ecc.), sussistono intersezioni e sovrapposizioni in grado di produrre un surplus di significati e opportunità di gestione integrata della risorsa-città. Abbandonate le strategie di cancellazione della Storia per far posto all’attualità, oggi il processo di cambiamento, necessario per soddisfare le esigenze e i bisogni attuali e futuri dell’uomo contemporaneo, privilegia la salvaguardia dei valori e delle vocazioni che rendono ciascun centro urbano una testimonianza unica e irriproducibile, favorendo la stratificazione rispetto alla sostituzione. L’obiettivo della sessione è quello di raccogliere esperienze di gestione “sinergica” delle città “specializzate” che favoriscano lo scambio di conoscenze relative a pratiche e strategie di virtuosa integrazione degli specialismi, in una prospettiva nella quale le rigidità e i “vincoli” imposti da quelle specificità vengono superati prestando attenzione alla sostenibilità generale (in termini di risorse naturali, culturali, economiche ecc.) dell’insieme. Sarà apprezzata l’illustrazione di modelli innovativi e replicabili di gestione, di conservazione e valorizzazione dei centri urbani anche attraverso il recupero e il riuso di realtà in totale o parziale abbandono, anche quando derivante dal verificarsi di calamità naturali o da conflitti bellici. A titolo di esempio, sono benvenuti i contributi nei quali, con approccio multidisciplinare, siano trattate tematiche come: – la salvaguardia della specificità dei luoghi attraverso il recupero e la valorizzazione del patrimonio culturale storico materiale e immateriale, attuata favorendo l’attivazione di circuiti virtuosi di gestione anche economica della risorsa-città; – la produzione di nuove strategie di conservazione integrata del patrimonio urbano atte a favorire uno sviluppo locale che stimoli anche una crescita culturale coinvolgendo le comunità nel processo di valorizzazione del luogo; – la valorizzazione, qualificazione e potenziamento dell’offerta turistica e delle attività culturali attraverso la promozione e la creazione di reti territoriali – con il coinvolgimento degli stakeholders – utilizzando tecnologie digitali per favorire l’attrattività; – l’implementazione e/o rafforzamento, all’interno delle amministrazioni pubbliche, delle capacità e delle competenze gestionali – compreso l’aggiornamento degli strumenti operativi e la formazione di nuove figure professionali specialistiche nell’ottica di una necessaria visione interdisciplinare e intersettoriale – delle complesse ed eterogenee problematiche legate alla conservazione e valorizzazione dei centri urbani.
3.13 “War Cities”: dalle enclaves militari agli Smart Military Districts
Coordinatori: Marco Falsetti (Sapienza Università di Roma) Email:levonraisen@gmail.com
Descrizione sessione
A partire dagli anni ’80, i processi di dismissione delle aree industriali e delle grandi infrastrutture pubbliche, che avevano caratterizzato la città tra l’Ottocento e la prima metà del secolo successivo, hanno dato il via ad una fase di profondo ripensamento del ruolo di tali cittadelle. I complessi militari, in particolare, per secoli vere e proprie città autosufficienti all’interno del tessuto urbano sono stati interessati, in Italia così come nel resto dell’Europa occidentale, da processi di riconversione, frutto delle mutate esigenze della difesa conseguenti al cambiamento del paradigma militare. L’affermazione del modello di esercito professionale, in contrapposizione a quello di leva (e l’abolizione del secondo) ha infatti reso evidente come molti complessi, pensati per ospitare originariamente migliaia di soldati, non fossero più necessari all’esercito del futuro. Negli ultimi anni il settore della difesa ha posto un forte accento sulla necessità di ammodernare il suo parco edilizio attraverso la realizzazione di basi militari di nuova generazione improntate all’efficienza energetica, alla sostenibilità e alla funzionalità. Questo interesse si è spesso tradotto in un dialogo serrato con le amministrazioni pubbliche e la governance del territorio, coinvolgendo in taluni casi anche i privati, che hanno contribuito ad elaborare (specialmente nelle occasioni concorsuali) interessanti proposte di rigenerazione urbana. Ancor più recentemente, accanto a progetti volti ad implementare la qualità delle architetture dei complessi della difesa, è stato elaborato un modello destinato a rivoluzionare la percezione delle strutture militari attraverso l’apertura di parti di queste (e dei relativi servizi) alla popolazione civile residente nelle zone limitrofe. L’idea di aprire le porte delle caserme esprime infatti un forte elemento simbolico, quello cioè di permettere alla cittadinanza l’accesso a luoghi storicamente considerati chiusi e inaccessibili; si muovono in questa direzione tanto il progetto “Caserme Verdi, Basi Blu e Aeroporti Azzurri”, attualmente in corso di realizzazione, quanto il più ambizioso “Smart Military District”, che applica pionieristicamente i principi progettuali della Smart City al settore della difesa. La sessione affronta il tema del mutamento di paradigma urbano delle “war cities”, dalla loro affermazione in età industriale alla contemporaneità indagandone forme, modelli, strategie e percezione. Dai cambiamenti estetici introdotti nelle caserme prussiane site in città divenute polacche, ai progetti di housing di MVRDV per le basi dismesse dagli USA in Germania, fino ai progetti della Difesa in Italia, la sessione è rivolta a studiosi ed esperti del settore interessati ad analizzare il cambiamento nel tempo delle città della guerra.
3.14 Chiese di quartiere nel periodo della ricostruzione postbellica
Coordinatori: Riccardo Serraglio (Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli), Raffaela Fiorillo (Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli) Email:riccardo.serraglio@unicampania.it
Descrizione sessione
Nel periodo della ricostruzione postbellica, le autorità politiche italiane stabilirono di costruire intorno alle città quartieri popolari destinati ai ceti sociali meno agiati. I nuovi plessi residenziali dovevano essere dotati di strutture adibite ai servizi comunitari primari, come scuole, impianti sportivi, centri parrocchiali. In particolare, la “legge Aldisio”, emanata nel 1952, prevedeva l’attribuzione di finanziamenti a fondo perduto a favore delle diocesi italiane per la costruzione di chiese di quartiere. Di conseguenza, architetti e urbanisti furono impegnati nella progettazione di nuove tipologie di edifici ecclesiastici adeguate ai bisogni dei nuovi insediamenti suburbani. Molti professionisti sperimentarono forme e linguaggi architettonici differenti, nel tentativo di adeguare gli edifici ecclesiastici di ultimo impianto al rinnovamento dei cerimoniali liturgici, tuttavia mantenendo in essi la rassicurante sensazione di accoglienza e di assistenza trasmessa dagli edifici tradizionali. Alcuni restarono fedeli agli stilemi dell’architettura fascista oppure, in alternativa, elaborarono soluzioni di ispirazione storicista, cadendo talvolta nell’imitazione dell’antico ma nelle espressioni migliori riuscendo ad articolare in forme originali modelli dedotti dal passato. Altri, al contrario, vollero percorrere l’ancora poco frequentata strada della modernità. Nella schiera dei “moderni”, alcuni svilupparono l’estetica strutturista dei telai in cemento armato e delle pareti di mattoni a vista, tendente all’equiparazione del linguaggio dell’architettura ecclesiastica all’espressività dell’edilizia residenziale o addirittura industriale; altri sperimentarono soluzioni più ardite, avventurandosi nella costruzione divele e calotte in cemento armato. Si auspica di ricevere contributi riguardanti singole opere o produzioni autoriali particolarmente interessanti, tratte dall’articolato insieme dell’edilizia ecclesiastica della ricostruzione postbellica.
3.15 Riportare la scuola al centro del villaggio. Esperienze concrete di rigenerazione urbana partecipata, materiale e immateriale, attorno agli spazi e alle strutture scolastiche, in Italia e in Europa
Coordinatori: Piero Rovigatti (Università degli Studi “G. d’Annunzio” Chieti-Pescara), Ottavia Aristone (Università degli Studi “G. d’Annunzio” Chieti-Pescara) Email:p.rovigatti@unich.it
Descrizione sessione
Sulla scorta dell’esempio e dell’esperienza di molte città in Europa (Barcellona, Parigi, Bruxelles), ma anche italiane (Milano, Reggio Emilia, Roma), e alcuni timidi avanzamenti normativi in Italia a partire dalla legge sull’Autonomia scolastica (DPR 275/99), si sta facendo largo, anche in Italia, una idea nuova di scuola e ruolo e funzione urbana delle istituzioni e delle strutture scolastiche, in particolare pubbliche. Già nel 2012, il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Francesco Profumo aveva sostenuto l’esigenza che le scuole diventassero sempre più̀ dei centri civici: “La scuola, come luogo fisico, diventerà un ambiente di interazione allargata e di confronto, che a mano a mano supererà gli spazi tradizionali dell’aula e dei corridoi. La immaginiamo come un vero e proprio Hub della conoscenza. Aperto agli studenti e alla cittadinanza, centro di coesione territoriale e di servizi alla comunità, un vero e proprio centro civico”. Tale idea trova oggi maggiore forza alla luce della passata, drammatica esperienza dell’emergenza pandemica, che ha aggravato le condizioni della povertà educativa (M. Rossi Doria, Con i Bambini, 2021), in particolare nei contesti di maggiore disuguaglianza e privazione funzionale – periferie e aree marginali interni – suggerendo anche lo sviluppo di nuove pratiche educative, fondate su un diverso utilizzo degli spazi aperti e una maggiore integrazione dell’offerta educativa a livello urbano. Reinventare il dialogo tra la scuola e la città (P. Pileri, 2022), aprire le scuole come spazi di partecipazione e di comunità oltre gli orari e le stagioni scolastiche (G. Cantisani, 2021) ai molti attori che compongono le “comunità educanti” (Territori Educativi, 2022), innovare l’idea e le pratiche degli spazi interni ed esterni, estendendo lo spazio educativo all’intera città “educante” (F. Lorenzoni, 2020), sono le linee su cui muovono molte esperienze concrete, che partono spesso dal basso, all’interno di processi partecipativi di cui sono protagonisti associazioni di base e di quartiere, e che possono e devono oggi intercettare le risorse che con fatica vengono messe in campo da programmi di natura ordinaria (MIC, MIUR) e straordinaria (PNRR), introducendo modalità innovative di partenariato pubblico-comunità (Piano Cultura Futuro Urbano, MIC, 2021). Esperienze importanti, che sono tenute oggi, anche, a fare i conti il cambio di rotta prodotto in materia di politiche scolastiche prodotto dai nuovi indirizzi politici del governo nazionale, orientato a ridurre fortemente il sostegno economico e finanziario a livello statale e, in conseguenza di ciò, del numero stesso delle scuole nei contesti in decremento demografico. Il campo di indagine allargato può specificare come forme e manufatti abbiano costruito nel tempo il rapporto tra scuola, educazione e insediamenti, di dimensioni e rango variabili, in una cronologia di lungo periodo. In particolare, si fa riferimento alla dotazione di edifici per istruzione primaria nel giovane Regno d’Italia e alla loro diffusività negli ambiti comunali e successivamente, a partire dagli anni Venti del Novecento, integrate con la realizzazione delle Scuole Rurali, che dopo la guerra superavano il numero di 8.000 unità. La sessione è aperta al racconto critico di tali esperienze, per esercizio diretto, o per attività di ricerca, aprendo il campo, anche in chiave storica e con esperienze comunitarie di riuso degli edifici dismessi, sui modi, le forme e gli aspetti materiali e immateriali attraverso cui le scuole hanno giocato, e possono tornare a giocare un ruolo chiave all’interno del “villaggio” urbano.
3.16 Dalle visioni urbane dell’Architettura radicale al dibattito sulla città sostenibile e sui Big Data: conciliare lo studio della città storica e il progetto di architettura e urbanistica “radicale”
Coordinatori: Marianna Charitonidou (Athens School of Fine Arts), Giusi Ciotoli (Sapienza Università di Roma) Email:m.charitonidou@icloud.com
Descrizione sessione
Il tema della città ha avuto grande centralità nella cultura architettonica del XX secolo. In particolare, la sperimentazione, avviata negli anni Sessanta, di nuovi modelli di progettazione urbana ha raggiunto il suo apice nelle opere di architetti quali Archigram, Kenzo Tange, Louis Kahn, i giapponesi di Metabolismo, Yona Friedman, Constant Nieuwenhuys e Takis Zenetos. Durante il dopoguerra architetti, urbanisti e pianificatori cercarono di razionalizzare e modernizzare le città. La grande sperimentazione tipologica, già avviata dai Maestri del Movimento Moderno e portata avanti a livello internazionale, era stata affiancata da un sincero ottimismo nutrito dalle nuove tecnologie e verso i “possibili” e “futuri” modi di vita che il loro uso generalizzato avrebbe promosso. Si esprime in tal senso l’interesse di Friedman e di Zenetos per la città e la casa del futuro, oppure le visioni di città fantastiche e futuristiche ideate da Metabolismo. La sessione pone enfasi sul ruolo che la città storica ha svolto negli approcci degli architetti e degli urbanisti radicali durante gli anni ’60 e ’70. Tra le questioni che vengono indagate c’è il contrasto tra gli architetti e gli urbanisti che hanno sostenuto una logica della tabula rasa nelle pianificazioni urbane, e coloro i quali si sono impegnati nello scoprire modi per coniugare l’architettura moderna con la storia dell’urbanistica, conciliando lo studio della città storica e il progetto di architettura e urbanistica “radicale”. La sessione si propone di esplorare in che modo la pianificazione urbana possa rispondere alla necessaria riconfigurazione delle città tradizionale e della sua densità abitativa. Nello specifico, si intende porre in evidenza il passaggio dalla visione ottimistica tipica dell’architettura radicale al dibattito contemporaneo sulle città sostenibili e sui Big Data. La sessione, attraverso un approccio interdisciplinare, accoglie contributi che propongono un confronto tra le nuove città funzionali (del divertimento, del turismo, centri produttivi, luoghi per uffici, smart cities, etc) e l’utopia urbana degli anni Sessanta, ponendo particolare enfasi al cambiamento del concetto di flessibilità, agli aspetti psicologi e alle implicazioni sociali di tali visioni urbane.
3.17 Attualità e sfide della “città degli studi” nel contesto urbano contemporaneo
Coordinatori: Antonello Alici (Università Politecnica delle Marche), Nicholas Ray (University of Cambridge), Adam Sharr (University of Newcastle), Dario Costi (Universita degli Studi di Parma), Giovanni Bellucci (Università Politecnica delle Marche) Email:a.alici@univpm.it
Descrizione sessione
Questa sessione si propone di approfondire il carattere delle relazioni spaziali, culturali, architettoniche, economiche e sociali di centri urbani di varia dimensione e complessità segnate dalla presenza di una importante istituzione universitaria. Cambridge, Oxford, Bologna, Padova, Friburgo o Tubinga in Europa sono “città universitarie”, come le “college towns” di Princeton, Ithaca o Ann Arbor negli USA, o Stellenbosch in Sudafrica. Altre città,come Newcastle in UK, New York, Singapore o Zurigo, pur essendo sede di importanti atenei, hanno legato la propria identità anche ad altre funzioni. Il nostro obiettivo è un approfondimento dei caratteri della città universitaria attraverso la sua storia e la sua condizione presente. Le domande che poniamo sono: quale futuro per la città universitaria e le città che ‘contengono una università’? Qual è lo spazio dell’università nella città del 21° secolo? Spesso la presenza di un’università innesca ricerca scientifica, pubblicazioni accademiche e, in generale, crea vantaggi anche in altri settori dell’economia e della società. In altri casi, la città ha una sua propria solidità economica e l’università è considerata periferica o una istituzione utile a fornire laureati da inserire in alcuni settori di rilievo. Allo stesso tempo, poiché la natura degli studi e la diffusione delle conoscenze cresce col favore delle tecnologie emergenti, ci chiediamo se e come istituzioni privilegiate possano ancora influenzare lo sviluppo della città. Sollecitiamo l’invio di proposte capaci di esaminare, registrare e analizzare criticamente le forze della “città universitaria”: come i diversi modelli (campus americano, college britannico, città universitaria diffusa italiana, modello asiatico, africano, ecc.) hanno affrontato la città esistente? Come la società degli studenti e dei docenti utilizza la città, quali vantaggi e quali problemi arreca alla comunità, come è coinvolta nelle politiche sociali, culturali e di strategia economica? Sollecitiamo contributi che emergano da, o combinino, diversi approcci metodologici. I caratteri sociali e politici, i contesti urbani e i linguaggi architettonici di diverse culture offrono confronti fecondi tra diversi modelli di città universitaria.
3.18 Podestà, amministratori, funzioni e città. Il ruolo dei podestà e degli amministratori nelle trasformazioni funzionali delle città italiane degli anni Trenta
Coordinatori: Damiano Iacobone (Politecnico di Milano), Michela Grisoni (Politecnico di Milano) Email:damiano.iacobone@polimi.it
Descrizione sessione
Con l’istituzione della figura del Podestà nel 1926 (L. n. 237 del 4 febbraio 1926) per i comuni con più di 5000 abitanti, venne certamente a mancare la valutazione collegiale, ma in numerose città italiane il Podestà è un tecnico di formazione, il cui compito – come Giorgio Ciucci ricorda – era quello di realizzare quelle “opere pubbliche che definiscono una rete di servizi a carattere territoriale: non solo strade e ferrovie, ma anche uffici postali, giudiziari etc”. Altrettanto dicasi per la figura del Prefetto (dal 1927) con un ruolo esteso al territorio e alle sue infrastrutture. Difatti, laddove non intervengono concorsi di carattere nazionale oppure i progettisti dei vari Ministeri, il Podestà, il Prefetto e gli amministratori più in generale avranno un ruolo effettivo nel promuovere trasformazioni urbane, sia di carattere ‘estetico’ (la regolarizzazione dei prospetti di piazze, l’organizzazione degli assi viari/visuali sia di natura strettamente funzionale, promuovendo la realizzazione di nuove ‘attrezzature urbane’ per il miglioramento funzionale della città: per l’appunto, ferrovie e uffici postali per quanto riguarda le comunicazioni, ma anche sedi bancarie, concorsi per i piani regolatori, sino alle Esposizioni per ciò che riguarda le città più grandi. Dalla volontà e capacità (o meno) degli amministratori dipendono molte delle trasformazioni delle città italiane negli anni Trenta, nella direzione di una modernizzazione funzionale. A volte queste attività confliggono con l’attività di altri operatori, interpreti di altre istanze e protagonisti a loro volta, come per esempio i funzionari della tutela; le relazioni tra tutti questi soggetti – che generano il progetto – vanno dettagliatamente contestualizzate nel periodo in questione e nelle varie realtà. Si auspicano, quindi, contributi riferiti a casi specifici di città, capoluoghi ma non solo, in cui l’attività del Podestà e degli amministratori ha determinato queste trasformazioni, inquadrandole tra la scala nazionale e quella locale, tra l’ambito politico-amministrativo e quello architettonico-urbanistico.