5.1 Energia, tecnologia e contesti storici. Per una sostenibilità integrata
Coordinatori: Marco Pretelli (Alma Mater Studiorum – Università di Bologna), Valeria Pracchi (Politecnico di Milano), Bianca Gioia Marino (Università degli Studi di Napoli Federico II), Maria Antonietta De Vivo (Alma Mater Studiorum – Università di Bologna), Sara Mauri (Politecnico di Milano), Daniela Pagliarulo (Università degli Studi di Napoli Federico II) Email:marco.pretelli@unibo.it
L’immagine della città è sempre stata fortemente legata al grado di avanzamento tecnologico raggiunto dall’Umanità. Anzi, la sua stessa costituzione è strettamente relazionata alla capacità di immagazzinamento di surplus energetici, reso possibile dal passaggio dalla civiltà dei cacciatori-raccoglitori a quella agricola. In tempi relativamente più vicini a noi, l’emergere della rivoluzione industriale ha condotto ad un cambio sostanziale dell’immagine delle città e il susseguirsi poi di crisi energetiche ha determinato altre variazioni, destinate a mutarne nuovamente la morfologia, tra le quali va fatta rientrare, proprio nell’arco di tempo in cui stiamo vivendo, quella originata dalla cosiddetta “sostenibilità”. Negli ultimi anni, al fine di raggiungere una crescita sostenibile delle città, le politiche europee stanno sempre più spingendo verso l’adozione di strategie di decarbonizzazione quale la sostituzione delle fonti fossili con quelle rinnovabili e l’aumento dell’efficienza energetica del settore edilizio. Sviluppare una riflessione critica su come i nuovi sistemi energetici e le nuove tecnologie si rapportino con le città ed il paesaggio storici e i valori di cui sono portatori, plasmando i nostri futuri contesti di vita, è la sfida più ardua ma anche la più impellente nel panorama attuale. Infatti, il tema non solo richiede un alto grado di consapevolezza dei termini in gioco nella loro declinazione concettuale, ma anche di concepire una sostenibilità che sia ‘ampliata’, cioè integrata, con una prospettiva di lavoro basata sull’incontro oggi necessario tra le istanze conservative del patrimonio e quelle del contenimento energetico. La sessione vuole essere dunque un’occasione di confronto sulla tematica della gestione e del contenimento energetico delle aree urbane e periurbane, rivolta a coloro che, urbanisti, tecnologi, storici, restauratori, o studiosi di fenomeni sociali, intendono illustrare casi significativi o hanno svolto le proprie ricerche in questo campo di indagine per esporne i risultati.
5.2 Retoriche e antiretoriche nella città fragile
Coordinatori: Giuseppina Scavuzzo (Università degli Studi di Trieste), Sara Basso (Università degli Studi di Trieste) Email:gscavuzzo@units.it
Con sempre maggior insistenza, discipline legate al progetto architettonico e urbano sono chiamate ad affrontare il tema delle disuguaglianze, nel tentativo di contrastarle o mitigarle. La difficoltà di trovare risposte adeguate, capaci di integrarsi entro una più complessiva visione di città ‘giusta, sana, inclusiva, sicura e resiliente’, evocata da programmi europei e non solo, continua però a lasciare ‘spazi di eccezione’ nel corpo della città: luoghi in cui l’intreccio tra vulnerabilità sociali, fragilità ambientali e assenza di adeguati standard di abitabilità, alimenta forme di distanza e/o esclusione sociale. Intento della sessione sarà indagare come, oggi come nel passato, le retoriche che accompagnano alcune visioni formulate per la città del futuro, rischino di rimanere adesione a luoghi comuni, talvolta abusati fino ad assumere la superficialità di slogan. Una volta tradotte al suolo, confrontandosi con gli scenari di fragilità e incertezza della città, tali retoriche possono dare luogo a semplificazioni, effetti paradossali, contraddittori o ambigui, producendo nuove e più articolate forme di disuguaglianza, perpetuando la negazione di diritti, accentuando divari sociali e generando processi di gentrificazione o isolamento. Attraverso riflessioni teoriche, analisi di casi studio, esperienze di ricerca o di azione in contesti specifici, anche in una prospettiva storica, la sessione intende esplorare tali questioni suggerendo alcune linee di indagine – ma non limitandosi ad esse: – la prima orientata ad affrontare il tema delle opposte retoriche dell’accoglienza e della sicurezza che attraversa gli spazi dei migranti e dei richiedenti asilo nelle nostre città, segnati dall’ambiguità tra ragione umanitaria e ragione securitaria, comunque spazi di segregazione o esclusione; – la seconda orientata a esplorare gli effetti spaziali delle retoriche legate ai temi della transizione – energetica, alimentare – e dell’efficientamento che, pur innescando dinamiche positive, rischiano, nel lungo termine, di escludere fasce della popolazione urbana svantaggiate e non in condizione di accedere realmente ai benefici della città green; – una terza prospettiva suggerisce una riflessione sulle strategie di inclusione delle disabilità, specie sensoriali e cognitive, che vedono contrapposte retoriche di autonomia – con rischi di isolamento e solitudine di persone e famiglie – e retoriche comunitarie con esiti estremi e controversi come nel caso dei villaggi Alzheimer.
Nel 1970, sui muri di Roma appare per la prima volta il Manifesto di Rivolta femminile: con lo slogan “il personale è politico”, il collettivo pone l’attenzione sulla specificità dell’oppressione femminile, caratterizzata dal controllo totale della società sul corpo delle donne. Il riconoscimento femminile della propria fisicità e della sua alterità rispetto ad un canone egemone rappresenta, tuttavia, un pensiero diffuso ben prima delle lotte degli anni Settanta e prende avvio, in molti casi, dall’analisi degli spazi domestici, fino ad ampliarsi all’indagine dell’intero organismo urbano. È il caso delle narrazioni positiviste che, a partire dal XIX secolo, costruiscono la nuova scienza dell’economia domestica – in larghissima maggioranza ad appannaggio femminile – con una produzione teorica e pratica che non investe solo gli spazi del privato ma anche quelli pubblici; si espande sino agli sviluppi del scientific management, che al volgere del secolo colonizza sia la progettazione urbana a varie scale, sia il governo della casa. Di carattere più propriamente sperimentale, altri filoni di pensiero propongono nuove soluzioni sociali, spaziali, tipologiche e distributive, che hanno sempre come punto di partenza corpi, esperienze e vissuti femminili. Dalla formula delle kitchenless houses alla cosiddetta Einküchenhaus, ovvero condomini con appartamenti forniti di grandi cucine comunitarie, al cooperative housekeeping proposto da Melusina Fay Peirce, fino ai pensionati e ai women’s clubs che segnano l’emergere di professionalità femminili. Proposte come quella dell’americana Charlotte Perkins Gilmans, che nella sua narrazione utopica Herland (1915) descrive una città pianificata da una comunità femminile, si affiancano ad esperienze pilota e visioni distopiche, approcci riformisti e nuove progettualità. La sessione si prefigge l’obiettivo di aprire un ampio dibattito – trasversale tra storia e progetto contemporaneo – sulle indagini, le sperimentazioni e le visioni urbane, che hanno posto e pongono al centro la misura, le esigenze e i desideri dei corpi femminili, quale mezzo di conoscenza, attenzione e progetto nella costruzione degli spazi urbani.
5.4 Fare e disfare patrimonio, o del reinventare l’urbano
Coordinatori: Giovanni Caudo (Università degli Studi Roma Tre), Mauro Baioni (Università degli Studi Roma Tre), Federica Fava (Università degli Studi Roma Tre), Annalisa Cicerchia (ISTAT), Flavia Marucci (Università degli Studi Roma Tre) Email:giovanni.caudo@uniroma3.it
La nuova condizione urbana richiede sempre più uno spostamento sul riuso dell’esistente e sul suo adattamento rispetto alle urgenze del contemporaneo. Questa differente prospettiva impone di riflettere da un lato sui lasciti dell’attività antropica e, dall’altro, su azioni di cura fortemente centrate su dinamiche relazionali, immateriali se non sottrattive. In questo nuovo scenario, le comunità si rendono protagoniste di iniziative di trasformazione e di messa in valore dei manufatti esistenti contribuendo attivamente alla costruzione di patrimonio, tangibile e intangibile. Al di là del formale riconoscimento culturale dei beni in oggetto, è dunque possibile osservare modalità di produzione della futura eredità culturale che, letta in una prospettiva storica, permette di interrogare l’evoluzione del concetto di patrimonio, intercettandone retoriche e traiettorie operative, nuove e antiche. Si tratta dunque di incrociare valori e sentimenti radicati nel territorio, nei processi di riconoscimento culturale che le comunità svolgono, e che delineano tratti di (dis)continuità tra passato, presente e futuro. La sessione intende riflettere sulle implicazioni prodotte da questo cambio di prospettiva attraversando teorie, pratiche e politiche di heritage-making and un-making, cioè iniziative situate che si svolgono in modo dinamico e aperto, attraverso la continua rielaborazione dell’esistente. Più specificamente, si intendono esplorare i seguenti aspetti: – ridefinizione del concetto e dei valori del patrimonio – orizzontalità nella produzione e rielaborazione del patrimonio – processualità attivate dal riuso adattivo del patrimonio – innovazione nel rapporto tra istituzioni (deboli) e gruppi (vulnerabili) – abilitazione/affermazione di nicchie di azione – valutazione della natura multidimensionale degli impatti prodotti dalle pratiche di heritage-making and un-making
5.5 Oltre il Rinascimento: le città ideali
Coordinatori: Elena Svalduz (Università degli Studi di Padova), Mario Bevilacqua (Sapienza Università di Roma) Email:elena.svalduz@unipd.it
Il dibattito sulle città ideali nasce tra Otto e Novecento, in un momento in cui gli insediamenti urbani conoscono una fase di rapida trasformazione: l’idealizzazione del passato finisce per limitare la complessità del fenomeno racchiudendolo in una specifica categoria storiografica. In questo contesto Pienza rappresenta un caso esemplare di “città ideale del Rinascimento”, riscoperta nel secondo Ottocento, analizzata e proposta come modello estetico e di armonia sociale. A volte si tratta di città “fatte per pensare” (secondo la definizione proposta da Fabio Isman) con caratteri che spesso si accompagnano a una tensione ideale e filosofica, o a una forte carica utopica; altre volte di insediamenti urbani (progettati, o solo immaginati, solo in rari casi messi in pratica) il cui disegno riflette, secondo uno schema prevalentemente geometrico, criteri e principi astratti di razionalità e funzionalità. Non c’è dubbio, tuttavia,che a partire dal Quattrocento l’esperienza teorica e pratica della “città ideale” fu tanto intensa da fare del tema uno dei grandi snodi ispiratori su cui si concentrò la riflessione delle discipline, che ambivano a coniugarvi esigenze funzionali e sensibilità estetica, elementi di utopica armonia e di totale controllo sociale da parte del potere centrale. La sessione intende proporre un’ampia riflessione e un confronto tra casi di “città ideali”, con particolare riferimento a centri di piccole o medie dimensioni che in un momento preciso hanno assunto una loro configurazione propria, con una notevole complessità di funzioni, come esito di interventi coordinati. Il confronto con le realtà europee dall’antichità all’età contemporanea è auspicato, così come quello con altri temi di riferimento a prassi e teorie della città di nuova fondazione e del paesaggio tra medioevo ed età contemporanea. La sessione propone di confrontare la storia e la teoria delle “città ideali” anche al fine di elaborare una “piattaforma” di informazioni condivise, in futuro implementabile anche con l’ausilio di strumenti digitali, ai fini della conoscenza, tutela e valorizzazione di un patrimonio storico-urbano oggi più che mai valido come riferimento per l’elaborazione di nuovi modelli di sviluppo sostenibile.
5.6 Indagare e rappresentare il patrimonio culturale per svelare le disuguaglianze urbane
Coordinatori: Giulia Mezzalama (Politecnico di Torino), Mesut Dinler (Politecnico di Torino) Email:giulia.mezzalama@polito.it
Il patrimonio culturale può essere considerato una risorsa per il benessere individuale e sociale e uno strumento attivo per garantire uno sviluppo sostenibile inteso anche come riduzione delle disuguaglianze sociali e rafforzamento della coesione sociale. Un ruolo che è già stato evidenziato da organizzazioni internazionali come UNESCO, ONU, ICCROM, e che soprattutto nei contesti urbani può favorire l’analisi e la comprensione delle dinamiche sociali in termini di disuguaglianze e marginalità. Tali situazioni si osservano laddove il patrimonio culturale – nella sua dimensione urbana – testimonia, svela e inevitabilmente seleziona attori, fenomeni o temi della storia urbana. Le indagini, ad esempio, su come operano i processi di patrimonializzazione nei contesti urbani, o su altri aspetti quali la dimensione di genere nella toponomastica urbana, ci aiutano a comprendere come hanno operato e operano le dinamiche di potere in una società. Lo sviluppo di tecnologie digitali rende possibile una nuova comprensione del patrimonio urbano che può innescare una nuova consapevolezza delle disuguaglianze urbane. Un numero crescente di ricerche dimostra infatti come gli strumenti e le metodologie digitali possano aiutare a raccogliere, analizzare e rappresentare il patrimonio urbano in modo inedito. La sessione si propone di raccogliere, confrontare e discutere le ricerche sulle nuove narrazioni delle disuguaglianze sociali (di genere, razza, salute, etc.), concentrandosi in particolare sui contributi che mostrano come le nuove metodologie digitali possano aiutare a comprendere le dinamiche sociali attraverso la rappresentazione della città e della sua storia. Saranno presi in esame in particolare strumenti digitali come GIS e analisi spaziali, social media, digital storytelling, digital data narratives, utilizzati per mappare, comprendere e svelare le dinamiche spaziali delle disuguaglianze sociali attraverso il patrimonio urbano e per promuovere una reinterpretazione della storia urbana più equa. La sessione mira a creare una piattaforma interdisciplinare, di studiosi e professionisti, per discutere le potenzialità dell’utilizzo di nuovi strumenti digitali per svelare nuovi aspetti della storia urbana e affrontare in modo consapevole le nuove sfide sociali.
5.7 Per un «ritorno alla scala umana»: progetti, prospettive, utopie per una città accessibile ed inclusiva
Coordinatori: Giovanni Spizuoco (Università degli Studi di Napoli Federico II) Email:giovanni.spizuoco@unina.it
Nel 1949, per il primo numero della rivista Urbanistica, Lewis Mumford pubblicò un saggio dal titolo “Pianificare per le diverse fasi della vita”, in cui auspicava, da parte degli urbanisti, un «ritorno alla scala umana» e, pertanto, la nascita di una pianificazione più attenta ai bisogni degli individui e delle esigenze specifiche connesse alle condizioni di ciascuna persona. L’uscita dal periodo buio del secondo conflitto mondiale generava, in quegli anni, l’ottimistica speranza che l’architettura e l’urbanistica potessero governare a pieno i processi di trasformazione dei territori e delle società, rammagliando così le profonde fratture sociali generate dalla guerra ed appianando le differenze fra gli individui. A partire da allora, si è presa lentamente coscienza della necessità di cambiare l’approccio standardizzato alla progettazione e numerose sono state le esperienze, in campo amministrativo, sociale, urbano ed architettonico che hanno tentato, sotto il profilo pratico e teorico, di modificare lo spazio costruito, nel tentativo di appianare le differenze e di generare città più inclusive. Come evidenziato da Salvatore Settis, infatti, la città, ed in particolar modo la città storica, è da sempre «culla dell’alterità e patria delle differenze» e, pertanto, il modo in cui essa è pianificata e trasformata contribuisce in maniera significativa ad incrementare o ridurre, enfatizzare o celare la percezione che ogni individuo ha del suo rapporto con la collettività. Nel corso degli ultimi settanta anni, pertanto, l’attenzione al tema dell’inclusività e, di conseguenza, alle questioni dell’accessibilità, è andata costantemente crescendo, ed ha portato alla definizione ed al riconoscimento di nuove forme di discriminazione e di disabilità. Ciò ha stimolato studiosi e progettisti, favorendo la sperimentazione, con approcci multiscalari e multidisciplinari, di proposte e teorie a livello urbano, architettonico e sociale, al fine di rispondere alle esigenze di differenti fruitori e di abbandonare i dogmi della progettazione standardizzata. La sessione sollecita contributi che evidenzino in maniera critica esperienze progettuali e teoriche, nuovi scenari, utopie passate e presenti sul rapporto tra la città ed i principi di inclusività e di accessibilità, anche in relazione a nuove declinazioni dei concetti di disabilità e di discriminazione ed all’utilizzo delle nuove tecnologie, con particolare attenzione al patrimonio costruito ed alla città storica.
5.8 Città Future. Dalle narrazioni utopiche storiche alle distopie delle graphic novel
Coordinatori: Elena Dorato (Università degli Studi di Ferrara), Romeo Farinella (Università degli Studi di Ferrara), Alfredo Alietti (Università degli Studi di Ferrara) Email:elena.dorato@unife.it
Le città si sono sempre confrontate con idee di futuro in grado di promuovere mutamenti nelle dinamiche politiche e di governo, nelle strutture socio-economiche e nell’ampio campo dei processi culturali e artistici, primo tra tutti quello di produzione dello spazio urbano e architettonico. Parlare di città ha significato rappresentare la società – presente e futura – nella sua articolazione e complessità e le narrazioni utopiche ne sono un esempio significativo: da Thomas More ai socialisti utopisti del primo Novecento, si delinea l’idea di una società giusta, egualitaria e caratterizzata dal principio rinascimentale delle città ideali di ritrovare un’armonia nella tensione tra morfologia spaziale e sociale. A tale orizzonte si affianca la riflessione sulle distopie urbane. Se l’utopia descrive una società fondata sulla razionalità senza apparente connessione spazio-temporale con il presente, la distopia interpreta le tendenze esistenti in cui dominano disordine, totalitarismi, alienazione, omologazione e ingiustizia e le porta alle loro estreme conseguenze. Molte visioni contemporanee del futuro urbano eco-tecnologico vengono presentante retoricamente come immagini rassicuranti e armoniche, capaci di risolvere i conflitti esistenti nelle città attraverso forme di organizzazione (ordine) e controllo sempre più legate a derive tecnocratiche; contesti urbani proposti al pubblico e lanciati sul mercato immobiliare come forme innovative di smart city, che tuttavia in molti aspetti ricalcano le visioni distopiche tipiche della letteratura cyberpunk del secolo scorso. A partire da questa prospettiva, la sessione vuole raccogliere riflessioni in un’ottica quanto più possibile interdisciplinare sulle retoriche indirizzate al futuro delle città, sia da un punto di vista storico – in particolare, le retoriche utopiche che si sono affermate nel corso del tempo – , sia in riferimento all’analisi sulla contemporaneità e all’idea di una città futura iperglobale, tecno-regolata e, per molti versi, inumana. L’invito è di inviare contributi secondo un ampio spettro di discipline, dalla storia urbana all’urbanistica, dalla sociologia urbana all’analisi delle forme letterarie e delle graphic novel.