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2.1 L’appropriazione dello spazio urbano: architettura, immagini e sociabilità nella città medievale e moderna

Coordinatori: Isabel Ruiz Garnelo (Universidad Nacional de Educación a Distancia); Sonia Jiménez Hortelano (Universitat de València); Carlos Enrique Navarro Rico (Universidad Internacional de la Rioja-Universitat de València)


Email: isabel.ruiz@geo.uned.es

Descrizione sessione

Negli ultimi tempi, nel campo delle scienze umane e degli studi storici, si è rafforzata la concezione della città come un’entità costruita attraverso la presenza e le interazioni tra individui e collettività. Questa sessione esplora come i diversi gruppi sociali abbiano occupato e trasformato lo spazio urbano.
Questo fenomeno si è manifestato, da un lato, in modo fisico, attraverso la costruzione di spazi di rappresentanza municipale, palazzi, abitazioni, luoghi di svago ed edifici religiosi. Dall’altro lato, si è verificato anche in modo simbolico, mediante l’organizzazione e la partecipazione a straordinari eventi festivi o liturgici. Saranno valorizzati studi che esplorino l’interazione tra le diverse comunità e la loro influenza nella configurazione dell’ambiente urbano e della sua cultura materiale e visiva, considerando aspetti come la multiculturalità, le dinamiche di potere e le gerarchie sociali.
In questa sessione saranno accolti studi che affrontano:
• L’appropriazione dello spazio urbano da parte di élite, confraternite, corporazioni e altri collettivi.
• Lo studio dell’abitazione tra diversi gruppi sociali, sia come vetrina urbana sia come contenitore di oggetti che esprimono l’identità e il gusto dei loro proprietari.
• Il ruolo delle celebrazioni pubbliche, delle processioni e dei rituali nella costruzione delle identità urbane.
L’obiettivo è quello di instaurare un dialogo arricchente da una prospettiva interdisciplinare, coinvolgendo ambiti come la storia, la storia dell’arte, l’architettura, la storia urbana, la musica e altre discipline affini.


2.2 Le immagini urbane e le loro imprevedibili narrazioni 1450-1950: gli stakeholders, le autorità e gli “altri”

Coordinatori: Linda Stagni (ETH Zurich); Davide Ferri (University of Bern)


Email: linda.stagni@gta.arch.ethz.ch

Descrizione sessione

Le città sono state a lungo luoghi complessi di intersezione, conflitto e negoziazione. Le loro rappresentazioni visive – siano esse mappe, vedute, dipinti, incisioni, ecc. – hanno spesso articolato con attenzione i diversi contesti, interessi e strutture di potere che operano nelle città. Queste rappresentazioni, lungi dall’essere neutre, sono state direttamente plasmate dalle prospettive dei loro creatori e dai contesti elaborati di cui facevano parte. All’interno di questa tensione, erano però in gioco altre narrazioni.
Partendo dall’immagine, ci proponiamo di capire come la rappresentazione delle città sia stata un atto politico capace di normalizzare i poteri e, allo stesso tempo, un modo per catturare l’intrinseca natura indisciplinata dello spazio urbano replicata per un pubblico più ampio. Come si è articolato il potere nelle immagini in risposta all’imprevedibilità della vita urbana (quotidiana)? In che modo le immagini servivano a esprimere, rafforzare o contestare l’autorità? In che modo queste rappresentazioni istigano narrative di intersezioni, scontri, continuità e rotture?
Questa sessione considera come le espressioni di potere e l’appropriazione simbolica siano incapsulate nell’immaginario urbano, concentrandosi sugli “attori” e sui concetti di stakeholder, proprietà e alterità. Sono graditi interventi che esplorino, in via non esclusiva, le seguenti domande:
“Chi” commissiona le rappresentazioni urbane – individui, gruppi, comunità, autorità o organi di governo? “Chi” afferma l’autorità attraverso le immagini sulla creazione e l’interpretazione dello spazio urbano e delle sue comunità?
Come immaginano, inquadrano e raffigurano, “loro”, non solo la “propria” città, ma anche la “città degli altri”? Come sono state costruite e immaginate le identità e le alterità? Quali narrazioni e contro-narrazioni esse sono state in grado di negoziare?
Quali dinamiche di potere emergono in queste visualizzazioni, quali dinamiche di inclusione ed esclusione?
Invitiamo a presentare contributi che esaminino il modo in cui le città sono state rappresentate, ad esempio, da poteri statali, religiosi, imperiali o coloniali; autorità di governo; artisti, commercianti e viaggiatori; nonché clan familiari, minoranze, comunità emarginate o segregate. Si accettano proposte che prendano in considerazione casi relativi a tutti i media visivi, generi e formati e a diverse geografie. Siamo interessati a comprendere i processi che vanno dalla prima età moderna alla prima metà del XX secolo.


2.3 Lo spazio del potere in Italia Meridionale tra Due e Trecento

Coordinatori: Arianna Carannante (Sapienza Università di Roma); Fabio Linguanti (Politecnico di Torino)
Email: arianna.carannante@uniroma1.it

Descrizione sessione

Nel Duecento l’affermazione delle monarchie nazionali, la nascita delle prime realtà comunali, l’incremento demografico e i cambiamenti economici ebbero un notevole impatto sulla produzione architettonica e artistica della penisola italiana.
Nel Mezzogiorno e in Sicilia la resistenza di un potere centralizzato limitò la nascita di autorità cittadine stabili, ostacolando la costruzione di sedi amministrative locali. Tuttavia, il dinamismo sociale favorì la nascita di specificità amministrativo-territoriali, come i “sedili”. Le principali iniziative architettoniche furono legate soprattutto al potere monarchico, ma non mancarono quelle promosse dall’autorità vescovile, dalle nobiltà locali e, sul finire del secolo, dagli ordini mendicanti.
Gli interventi architettonici divennero espressione delle strategie politiche di nuovi “attori” attivi in città, ponendosi in continuità o in rottura con il tessuto urbano preesistente. La riconfigurazione dei castelli, nonché la costruzione di nuovi edifici, plasmarono l’assetto urbano delle città del Regno. Un caso emblematico riguarda Napoli, divenuta sede della corte angioina dopo la perdita della Sicilia, dove alla fine del Duecento l’avvio di numerosi cantieri portò a una completa trasformazione del suo aspetto originario.
La sessione intende indagare il rapporto tra lo spazio urbano e l’architettura civile, religiosa, militare e nobiliare promossa dai menzionati “attori” – il sovrano, il vescovo, le famiglie nobiliari, gli ordini mendicanti – in un periodo compreso tra l’inizio del XIII e il XIV secolo. La call è rivolta a storici dell’architettura, dell’arte, della città e delle istituzioni, che analizzino, attraverso le metodologie proprie delle diverse discipline, come gli incroci e le sovrapposizioni di potere abbiano contribuito a modificare l’identità e l’organizzazione spaziale delle città.


2.4 Tracce di modernità: (ri)conoscere l’architettura dei regimi totalitari nelle città di provincia e nelle realtà minori

Coordinatori: Simona Talenti (Università di Salerno); Annarita Teodosio (Università di Salerno)
Email: stalenti@unisa.it

Descrizione sessione

Durante il Ventennio (1922-1943), le città italiane subiscono profonde trasformazioni a livello politico, economico, sociale e non solo. Per Benito Mussolini, infatti, l’architettura e l’urbanistica diventano i principali strumenti di propaganda e concorrono all’obiettivo di modernizzare il Paese e consolidare il potere del Regime. Imponenti edifici – spesso connessi alle attività del Partito (Palazzo Littorio, Casa Gil e del Fascio) o destinati a funzioni pubbliche (palazzi delle Poste, uffici statali, sedi INFPS e INA, sanatori antitubercolari) – introducono tecnologie costruttive innovative e linguaggi architettonici nuovi più in linea con il razionalismo europeo. Piazze, slarghi per parate o adunate, assi stradali monumentali, rinnovano profondamente i disegni urbani delle nostre città. Così, trame inedite, scaturite dal progetto politico fascista, si intrecciano ai tessuti consolidati creando nuove spazialità e intessendo relazioni talvolta problematiche con le preesistenze. Ai casi più celebri delle grandi città (Roma, Napoli, Firenze, ecc..) si aggiungono tanti esempi di realtà minori, spesso meno conosciuti, ma altrettanto esemplificativi delle tendenze in atto. Queste realizzazioni, per l’interesse dei relativi progetti, meritano opportune indagini.
La sessione accoglie approfondimenti su interventi architettonici e urbani realizzati durante il Ventennio nella provincia italiana senza escludere, tuttavia, proposte incentrate su analoghi casi europei ed extraeuropei connessi alla presenza di regimi totalitari. L’intento è quello di focalizzare l’attenzione su casi meno noti per contribuire a (ri)conoscere e preservare questo patrimonio architettonico e urbano stimolando, inoltre, comparazioni e riflessioni critiche consapevoli.


2.5 La campagna civilizzata. La villa come strumento di disegno del territorio (XV-XVIII secolo).

Coordinatori: Daniele Pascale Guidotti Magnani (Università di Bologna); Giulia Becevello (Università degli Studi di Padova)
Email: daniele.pascale2@unibo.it

Descrizione sessione

«La villa non può essere compresa prescindendo dal suo rapporto con la città. Essa esiste infatti non per assolvere funzioni autonome ma per controbilanciare valori e vantaggi della vita urbana, e la sua condizione economica è quella di un’entità satellite» (Ackerman, La villa, Torino 1992, p. 3) Partendo da questo assunto, si può notare come al nocciolo della progettazione della villa sia sempre radicata, pur in diversi contesti storico-geografici, una questione di potere: la classe dirigente urbana costruisce ville per il controllo del territorio, non solo in senso economico e produttivo, ma anche sociale, politico, religioso, come evidenziato da Bentmann e Müller. Il paesaggio agrario è progettato per mettere a frutto questa politica del controllo: la villa diventa un cardine nella modellazione del paesaggio, sia con la creazione di nuove vie di collegamento e di nuove tappe lungo i percorsi tra città e campagna e tra diverse città, sia come elemento accentratore per la formazione di nuovi insediamenti, che possono diventare a loro volta spazi in espansione e crocevia in una rete di scambi e intersezioni.
I temi sui quali ci proponiamo di indagare sono dunque relativi al ruolo della villa come nodo di una maglia di tracciati fisici di comunicazione ma anche di relazioni immateriali di portato simbolico e ideologico. Quali sono le forme di collegamento tra villa e città, tra villa e strutture agricole? In che modo la costruzione della villa è prodromica alla costruzione di nuove strade? Come si pone la villa nel disegno del paesaggio agrario e di bonifica? Come si relazionano le ville alle vie di comunicazione, non solo stradali, ma anche acquee (fiumi, canali, laghi e lagune)? L’architettura della villa (facciate, organizzazione dello spazio interno…) rispecchia in qualche modo il disegno del territorio circostante? Come si colloca la villa rispetto al sistema viario e idraulico preesistente? In maniera adattativa o al contrario diventa perno di modifica della situazione esistente, magari in un’ottica più monumentale?
Saranno discusse proposte che affrontano temi generali ma anche singoli casi studio, prevalentemente nell’ambito della penisola italiana in età moderna (XV-XVIII secolo). Saranno vagliate anche proposte relative ad altri contesti territoriali e cronologici per sviluppare confronti. L’approccio multidisciplinare è consigliato, per valutare il tema anche sotto i profili della storia economica, socio-politica, artistica, letteraria.


2.6 “Quod desiderium nostrum cives intelligat”. Architettura, committenza e regie urbane nelle provincie e nei centri minori della Penisola, fra XV e XVII secolo.

Coordinatori: Francesca Rognoni (Università di Bologna Alma Mater Studiorum); Federico Bulfone Gransinigh (Università degli Studi dell’Aquila)
Email: francesca.rognoni2@unibo.it

Descrizione sessione

Facendo propria l’osservazione di Le Goff, secondo cui l’esercizio del potere è istanza fondamentale del processo di costruzione della memoria collettiva — ossia della trasformazione del documento (oggetto in sé) in monumento (entità portatrice di specifici significati) — la sessione interroga il binomio concettuale “città e potere” dal punto di vista del rapporto fra spazio pubblico e potere, nei processi di formazione e trasformazione delle città italiane nei secoli XV, XVI e XVII.
Particolare attenzione sarà dedicata alle città di confine, ai centri minori, alle provincie e alle città infeudate o di proprietà di importanti famiglie, dove, nel corso del Rinascimento, lo spazio pubblico si configura sempre più come il luogo di incontro, scontro e mediazione fra le identità locali e le istanze del potere centrale. Nell’ambito del processo che portò alla formazione dei cosiddetti “stati moderni”, infatti, pontefici e sovrani, determinati a esercitare un controllo sempre più capillare sui propri territori, non esitarono a fare ricorso all’architettura quale «strumento dell’arte di governo», anche e soprattutto — per quel che qui interessa — al di fuori delle mura della capitale. In tali contesti, l’esercizio del potere e le iniziative di committenza dei governi centrali dovevano necessariamente confrontarsi con le specificità delle realtà locali.
L’architettura, in particolare, era chiamata a entrare in dialogo con le consuetudini e le tradizioni del luogo, agendo nella concretezza del suo tessuto culturale e urbano, per significare efficacemente le aspettative del governo centrale alla popolazione e alla classe dirigente locale. Nell’accentuarsi del dualismo tra potere locale e sovrano, il portato testimoniale dello spazio pubblico e dei rituali ad esso collegati risultava pertanto sottoposto a un processo di trasformazione.
Obiettivo principale della sessione è, quindi, quello di indagare, attraverso casi studio e letture inedite, le pratiche progettuali e le “regie” di trasformazione urbana con cui i principi e le amministrazioni centrali, in concerto o in contrasto con le autorità locali, si appropriarono degli spazi e dei simboli delle città di confine o della provincia, modificandone i codici espressivi e il valore testimoniale, per riaffermare la propria autorità e per imporre un cambiamento alle forze sociali in gioco. In tale prospettiva, la sessione si apre a ricerche che interessano sia specifiche iniziative edilizie e urbane, sia l’insieme di procedure diplomatiche, amministrative e giudiziarie, che venivano messe in atto per indirizzare le azioni di committenza delle oligarchie cittadine e per modificare il portato valoriale delle pratiche collettive (rituali, pubbliche manifestazioni, feste, ecc.).


2.7 Coreografie del potere. Le piazze e le strade come crocevia di spettacolo e propaganda dei regimi totalitari nel Novecento.

Coordinatori: Chiara Baglione (Politecnico di Milano)
Email: chiara.baglione@polimi.it

Descrizione sessione

Durante i regimi totalitari, le piazze e le strade furono in diverse occasioni trasformate in spettacolari crocevia della propaganda, diventando il fulcro di adunate oceaniche, parate militari, cerimonie pubbliche e allestimenti scenici dal forte impatto simbolico. Questi spazi, tradizionalmente deputati alla socialità e al commercio, vennero risemantizzati attraverso apparati effimeri, interventi architettonici temporanei e scenografie imponenti che ne ridefinirono l’identità, facendone teatri del consenso e della celebrazione del potere.
La sessione intende esplorare il ruolo delle piazze e delle strade come luoghi di incontro e scontro tra ideologia, architettura e spettacolo. In che modo l’apparato scenografico e l’uso politico dello spazio pubblico hanno ridefinito la percezione urbana? Quali strategie comunicative e dispositivi architettonici sono stati adottati per trasformare le piazze in strumenti di mobilitazione e controllo? Attraverso l’analisi di diversi casi studio, si intende indagare il dialogo tra dimensione urbana e spettacolarità politica, evidenziando come questi spazi siano stati un crocevia di rappresentazioni e ritualità collettive, in un intreccio tra potere, estetica e città.


2.8 Il patrimonio architettonico dissonante del Novecento: ideologia, contaminazione, trasformazione e risignificazione delle città

Coordinatori: Leila Signorelli (Università di Bologna); Micaela Antonucci (Università di Bologna)
Email: leila.signorelli@unibo.it

Descrizione sessione

Il rapporto tra architettura e potere è un tema complesso, che accomuna attraverso diverse geografie le opere realizzate dai regimi non democratici del Novecento, connotate da una forte valenza ideologica e simbolica che permane nel tempo. Questo specifico patrimonio del XX secolo, anziché oggetto di tutela e conservazione, diviene vettore di tensioni esacerbate, spesso con conseguenze tangibili sugli edifici attraverso una più o meno netta damnatio memoriae, tradotta in abbandono, trasformazioni non coerenti e deformazioni. Approfondire i meccanismi di contestazione della storia esercitata sulle arti figurative, manifestatisi con differenti declinazioni sin dal Medioevo (iconoclastia, demolizione, cancellazione), risulta ancora più cruciale oggi: sia nei luoghi dei conflitti bellici aperti, in cui il patrimonio architettonico e infrastrutturale diventa target militare, per i quali si torna ad affermare l’urgenza di una discussione accademica sul futuro; sia alla luce di fenomeni come la Cancel Culture o il ripensamento critico del colonialismo europeo, che stanno cambiando il volto di molte città in contesti culturali e geografici molto lontani tra loro. Il lavoro costante di ricerca e valorizzazione ha mostrato come fare rete tra i diversi centri e geografie sia un potente mezzo di costruzione di conoscenza e di valore. Questi centri sono anche crocevia di tecniche/tecnologie ricorrenti, che testimoniano degli aspetti architettonici e costruttivi spesso ingiustamente messi in ombra dalle questioni ideologiche e simboliche. Attraverso le molteplici declinazioni e accezioni associate a questo patrimonio conflittuale – dissonant, difficult, contested, uncomfortable heritage – la sessione propone di approfondire nei diversi contesti scientifici e culturali la matrice dei conflitti che vedono al centro l’uso del patrimonio come elemento di divisione e le possibili strategie valoriali per una risgnificazione/risemantizzazione/riscoperta volte alla conservazione. Tematiche di approfondimento privilegiate (ma non esclusive) potranno essere: la rappresentazione e narrazione dell’architettura dei regimi; il rapporto tra uso e riuso delle architetture moderne legate al potere politico in funzione della tutela del loro valore culturale; metodi e soluzioni di intervento per la conservazione delle architetture dei regimi totalitari; le azioni di ostracismo delle immagini e dei simboli legati a fenomeni culturali come la Cancel Culture o la revisione critica della storia dei regimi del Novecento; le strategie per la riscoperta e valorizzazione culturale del patrimonio architettonico prodotto dai regimi totalitari, esperienze e progetti, nazionali o internazionali (come la rotta europea ATRIUM, le iniziative di DO.CO.MO.MO. international o di ICOMOS)


2.9 Gli edifici pubblici come crocevia di istituzioni nelle città capoluogo dell’Italia contemporanea

Coordinatori: Guido Vittorio Zucconi (Università IUAV di Venezia); Michela Minesso (Università degli Studi, Milano)
Email: greatzuck@gmail.com

Descrizione sessione

Dalla soppressione dei conventi (con la loro conversione a bậtiments civils), il lungo e tormentato progetto unitario di emancipazione identitaria riguarda scuole, caserme e altre sedi di funzioni pubbliche nell’Italia unificata. Sullo sfondo, l’obiettivo di dare un volto e una funzionalità adeguate alle città capoluogo a cui si riferisce questa proposta: vista con quell’ottica, la questione investe aspetti sia organizzativi, sia architettonici e pertanto rappresenta un significativo punto di incontro per diversi approcci storico critici.
Le sedi cittadine delle principali istituzioni, politiche in primis, ma anche culturali e sociali, sono protagoniste attive di tale processo secolare che si realizza mediante l’uso e il riuso di alcune strutture destinate nel tempo a funzioni e scopi anche radicalmente diversi, un percorso, illustrato da molteplici esempi, che accompagna la trasformazione istituzionale e urbanistica dei centri urbani, ridisegnando il baricentro delle città attraverso i decenni dell’età contemporanea.
In materia di edilizia, emergono risposte di segno opposto, oscillanti tra localismo e centralismo; il primo sembra prevalere nella realizzazione dei palazzi comunali, il secondo nelle sedi di prefetture e di poste centrali. A metà tra le due tendenze, si colloca l’idea di Boito per uno “stile nazionale” applicabile ai capisaldi istituzionali. Indenne da tentazioni localistiche, è invece l’edilizia ospedaliera la quale, specie dopo il 1880 si offre come grande campo di verifica per nuove formule spaziali e organizzative.


2.10 Progettare la città “giusta”: potere, spazio e politiche della cura

Coordinatori: Nadia Bertolino (Università degli Studi di Pavia); Arianna Luisa Scaioli (Politecnico di Milano)
Email: nadia.bertolino@unipv.it

Descrizione sessione

La progettazione architettonica, in quanto trasformazione che anticipa il futuro, non è neutrale (Massey, 1994): è un atto culturale e politico di controllo sociale e un’espressione di rituali e relazioni spesso gerarchici profondamente radicati nel patriarcato e nel capitalismo (Aureli, 2020). Questa sessione esplora il ruolo del progetto come atto politico che traduce i diritti in spazi, mettendo in luce l’intersezione di approcci critici rispetto ai temi di giustizia spaziale, inclusi quelli femministi, decoloniali ed ecologici. Situato nel contesto più ampio delle crescenti disuguaglianze sociali, di genere e territoriali, amplificate dalla sovrapposizione di crisi ecologiche, economiche e politiche, questo approccio riconosce le crisi interconnesse della cura (Fraser, 2017) e dell’ambiente. Queste crisi aggravano le disparità esistenti nel e attraverso il progetto, dove l’architettura assume la duplice postura di potenziale catalizzatore sia per la discriminazione che per l’empowerment. Lo sguardo di questa sessione si concentra sulle esperienze teoriche e progettuali che, dalla fine degli anni ’60 in poi, hanno contribuito a mettere in discussione e ridefinire la critica architettonica e i suoi paradigmi, con un’attenzione specifica alle prospettive femministe e al modo in cui queste hanno interrogato e trasformato la città. L’intento non è quello di limitare la riflessione a una sola area geografica, ma di promuovere un confronto su scala globale, mettendo in relazione approcci e strategie progettuali con i diversi contesti politico-culturali di riferimento. A partire dalle questioni di diritto alla città e diritto all’architettura, fino alle forme di empowerment attraverso il progetto, il dibattito si radica in una problematica storica più ampia, tracciando un filo tra le riflessioni protofemministe e femministe dei primi del Novecento e le successive trasformazioni dello spazio urbano e dell’architettura. Questa prospettiva riarticola l’architettura non come semplice oggetto, ma come strumento attivo per l’emancipazione di popolazioni invisibili, emarginate e inascoltate. Attraverso una lente femminista intersezionale, la sessione esplorerà la cura dello spazio come strategia di emancipazione (Krasny, 2019; Frichot et al., 2022), collegando materialità, simbolismo e pratiche partecipative per ridefinire il ruolo dell’architettura nel promuovere l’uguaglianza e la giustizia. Contemporaneamente, la sessione accoglie contributi che valutano criticamente le contraddizioni delle pratiche di progettazione, mettendo in discussione il modo in cui l’architettura ha storicamente rafforzato o sovvertito le strutture di potere (Rendell et al., 2000). La sessione accoglie contributi che vanno da saggi teorici e analisi di progetti storici e contemporanei, a interviste e ricerche in corso, mostrando una varietà di strategie che coinvolgono studiosi, attivisti e professionisti. Particolare enfasi è posta sull’interazione tra la materialità e le dimensioni simboliche dell’architettura, con un’esplorazione delle modalità con cui l’ambiente costruito può incarnare la cura, l’uguaglianza e l’agency collettiva. Il quadro proposto esamina il tessuto architettonico a più scale: dal corpo agli artefatti ai territori. La riflessione parte da alcune questioni aperte: – In che modo il progetto può creare spazi e dare potere ai gruppi emarginati attraverso pratiche democratiche e intersezionali? Quali strumenti e strategie sono necessari per tradurre i diritti in spazi inclusivi? – Come possono questi progetti sfidare e trascendere le definizioni, le tipologie e le norme convenzionali? Affrontando la spazializzazione dei diritti nelle sue espressioni situate ed esplorando il modo in cui lo spazio urbano incarna i valori culturali, la relazione tra le dimensioni politica, sociale e progettuale emerge come mai prima d’ora. Questa riflessione invita, infine, a riconsiderare le strutture di potere presenti e future, affidando ai progettisti il compito di trasformare radicalmente lo spazio su scala globale. A partire da queste traiettorie l’interesse è quello di comprendere quali orizzonti, scenari e possibili aperture possono prendere campo e farsi spazio all’interno della città contemporanea rispetto al progetto di architettura in una prospettiva di cura e uguaglianza.


2.11 Segnare lo spazio urbano: territorializzazione nell’Adriatico orientale (1400 – 1800)

Coordinatori: Petar Strunje (Università Ca’ Foscari Venezia); Jasenka Gudelj (Università Ca’ Foscari Venezia)
Email: petar.strunje@unive.it

Descrizione sessione

Durante il XV e XVI secolo l’Adriatico orientale fu teatro di profondi cambiamenti politici. I comuni autonomi lungo la costa, in precedenza sotto la sovranità nominale della corona ungherese-croata, passarono sotto il dominio veneziano, ottomano o asburgico, mentre solo la città di Ragusa riuscì a formare una propria repubblica oligarchica. Iniziò così un lungo ed eterogeneo processo di incorporazione dei vecchi comuni nelle nuove autorità centrali, osservabile nel cambiamento urbano, nella gestione dello spazio pubblico, nella committenza architettonica, nei modelli iconografici e negli investimenti infrastrutturali.
Pur rispettando formalmente l’autonomia comunale, il leone marciano e l’aquila asburgica arrivarono a dominare i simboli degli antichi poteri comunali. I palazzi municipali furono ampliati per ospitare i rettori nominati dai centri e la diffusione del linguaggio classico in architettura può essere fatta risalire alle committenze statali. Nuovi culti sacri vennero incorporati nelle celebrazioni locali e nelle antiche cattedrali. D’altro canto, l’Impero Ottomano abolì i precedenti modelli amministrativi, istituendo un sistema centralizzato di funzionari nominati da Costantinopoli che risiedevano nelle città islamizzate e dotate di infrastrutture urbane standardizzate. I centri del potere investirono notevolmente in fortificazioni e infrastrutture militari che permeavano spazi urbani come doppi indicatori di sicurezza verso l’esterno e controllo interno. Allo stesso tempo, si può sostenere che l’intero Adriatico orientale funzionasse come un mercato architettonico unito, con tradizioni e istituzioni già ben sviluppate.
Questa sessione esplora la relazione tra politica centrale e municipale nell’Adriatico orientale, così come riflessa nell’architettura, nella forma urbana e nella produzione di spazio all’interno del paradigma della territorializzazione. Più precisamente, discute l’impatto del potere centrale nella produzione architettonica e nelle trasformazioni urbane avvenute sul piano locale.
Le singole proposte dovranno riguardare gli investimenti architettonici e/o infrastrutturali, le trasformazioni urbane e la gestione dello spazio pubblico nell’Adriatico orientale, dall’Italia all’Albania, dal 1400 al 1800 circa. Inoltre, le proposte dovrebbero affrontare l’impatto visibile delle autorità centrali sulle città regionali. Si invitano anche proposte che testimoniano fenomeni in controtendenza per dibattere meglio le dinamiche eterogenee della regione.


2.12 Le Case del Fascio: espressioni di un’identità politica tra propaganda e modernità

Coordinatori: Paolo Sanza (The University of Oklahoma)
Email: paolo.sanza@ou.edu

Descrizione sessione

“È una tipologia completamente nuova, senza precedenti” dichiarava, parafrasandolo, Giuseppe Terragni all’indomani dell’incarico di progettare la Casa del Fascio di Como. Una volta realizzata, la Casa del Fascio di Terragni esprimerà un dialogo complesso tra modernità e tradizione, potere politico e spazio urbano, incarnando in modo altamente raffinato, il principio di architettura come propaganda. Nelle pagine de L’Assalto di Bologna, della futura Casa del Fascio della città emiliana si scriverà “La Casa del Fascio sarà un monumento civile”, “La Casa del Fascio esprime la grandezza antica e albergherà la futura,” e ancora “La nostra casa sorge nel cuore della città per dominarla”. Concepite come sedi locali del Partito Nazionale Fascista, le Case del Fascio rappresentano un caso emblematico nella storia dell’architettura civica in Italia. Delle oltre undicimila istituite durante il ventennio, si è stimato che non meno di cinquemila siano state costruite ex-novo. Le Case del fascio furono espressioni architettoniche di un potere autoritario, ma contemporaneamente esempi significativi di innovazione spaziale e progettuale. Esse incarnarono il rapporto tra ideologia, spazio costruito, da costruire, e comunità, e ridefinirono il paesaggio urbano, sovrapponendosi, incrociandosi, confrontandosi, e interagendo con strutture pubbliche, municipali, e religiose e con piazze e altri luoghi tradizionali di aggregazione.

Attraverso contributi di ricercatori rappresentanti architettura, urbanistica, storia, sociologia, scienze politiche, e altre discipline, la sessione mira a offrire una lettura complessa e articolata delle Case del Fascio, sia costruite che progettate, esplorando l’interazione tra potere e forme architettoniche e urbanistiche, e il loro ruolo nel contesto contemporaneo.


2.13 Oltre la campagna: il potere economico rurale come risorsa per costruire la città (Mediterraneo, sec. XIX-XX)

Coordinatori: Angela Gigliotti (ETH Zurich); Fabio Gigone (ETH Zurich)
Email: gigliotti@arch.ethz.ch

Descrizione sessione

Questa sessione si pone l’obiettivo di analizzare come il potere economico e finanziario, derivante dallo sfruttamento intensivo della produzione agricola in territori piú o meno limitrofi a un contesto urbano, ne abbia influenzato e modificato la struttura normativa, spaziale e sociale andando oltre la storiografia contemporanea. Per quanto l’impatto del potere economico agricolo sullo sviluppo urbano infatti sia stato affrontato dagli storici dell’architettura, prevalentemente le linee di ricerca riguardano: i meccanismi di subordinazione utilizzati per colonizzare terre e persone; l’intersezione dell’architettura con le visioni scientifiche e politiche volte a combattere la fame nel mondo; le traiettorie storiche dell’architettura per indagare i modelli delle economie mono-agricole (grano, zucchero, caffè, cacao, sale, gelso, frumento, avena, riso, mais); la strumentalità della terra come meccanismo che perpetua le relazioni di potere. In questo modo, l’impatto del potere economico sul contesto urbano è stato limitato al suolo e spazializzato come un’infrastruttura volta a facilitare la produzione, lo stoccaggio e il commercio delle risorse estratte e dei loro beni post-prodotti attraverso i contesti (silos, mulini, magazzini, depositi, mercati, porti).
Questa sessione invece invita a presentare contributi che esplorino storiografie architettoniche alternative volte a indagare l’intreccio cruciale tra l’estrazione delle risorse agricole e il modo in cui l’accumulo di ricchezza delle economie corrispondenti ha avuto un impatto sull’ambiente costruito in contesti e circostanze anche molto lontani nello spazio, nel tempo, nelle istanze e persino nelle forme. Nel tentativo di ampliare e arricchire il discorso in corso sul tema, si cercano contributi che vadano oltre i risultati locali e immediati dell’estrazione di capitale dalle terre di piantagione, così come oltre le pratiche, i contesti e le temporalità coloniali conosciute. La sessione si propone di tracciare le dinamiche di potere (mandanti/riceventi) attraverso il Mediterraneo nel XIX-XX secolo, per svelare dove le economie agricole abbiano avuto un impatto sull’ambiente costruito in circostanze meno evidenti e vicine; e di evidenziare quali attori, pratiche fiscali e lavorative hanno costruito, sostenuto e promosso la reificazione del potere agricolo senza mai toccare la terra. A livello di metodo di produzione storiografica: da un lato, si intendono promuovere riflessioni che, partendo dalle economie agricole, da una prospettiva sociale, geografica ed economica, abbraccino fenomeni appartenenti a una prospettiva storica di lungo periodo e di larga scala. Dall’altro lato, partendo da questi, si intende esplorare quelle ripercussioni microstoriche che sono per definizione peculiari, anomale e finora considerate solo da un punto di vista monodisciplinare e accademico.


2.14 Il significato dei monumenti quali segni del potere nella definizione e ridefinizione della città

Coordinatori: Augusto Russo (Università degli Studi di Napoli Federico II)
Email: augusto.russo@unina.it

Descrizione sessione

In questa sessione si intende focalizzare l’attenzione sul rapporto tra la città e i monumenti quali segni del potere: immagini scolpite o dipinte dei potenti. L’ambito di studio può riguardare i contesti artistico-operativi, il linguaggio e la funzione delle opere, il loro inserimento nei luoghi, e le connesse strategie della committenza in termini di visibilità e celebrazione dei dedicatari dei monumenti: singoli regnanti (anche intere dinastie), o più in genere rappresentanti del potere politico, militare, economico. Esempio storicamente e ‘plasticamente’ forte per il discorso sono le statue equestri, di varie epoche, che tuttora connotano alcune piazze di città europee (e non solo), ma la ricerca non è ristretta a questa tipologia. Specialmente nelle capitali degli Stati, i monumenti hanno rispecchiato di volta in volta l’assetto vigente, le conquiste militari, i cambi di governo, le rivoluzioni, e più latamente, in un’accezione moderna, il sistema di valori di una società. La progettazione, l’erezione, la distruzione, la ridefinizione di questi segni del potere hanno più o meno frequentemente contribuito a determinare l’immagine pubblica delle città, coinvolgendo e mutando gli spazi urbani e/o quelli dell’edilizia sacra e/o civile. Nessun monumento ha valore neutro, e non è mai irrilevante il suo impatto nel contesto. Nei casi di studio è compreso il livello dell’effimero, della festa, e anche solo dei progetti per monumenti mai costruiti, o delle testimonianze per quelli non più esistenti. Altra chiave è la possibilità di attualizzare il tema, alla luce dei recenti fenomeni ‘globali’ di contestazione, abbattimento e/o ‘risemantizzazione’ di effigi monumentali ritenute inconciliabili con i valori democratici ed egualitari che caratterizzano alcune delle società odierne. Ambito cronologico e geografico della sessione: le proposte tratteranno argomenti compresi tra la prima età moderna (1400 circa) e l’età contemporanea, e relativi a città d’Italia e d’Europa.


2.15 Architetture civiche europee: una prospettiva di lungo periodo (XII-XVIII secolo)

Coordinatori: Marco Folin (Università di Genova)
Email: mafolin@libero.it

Descrizione sessione

Dagli ultimi secoli del medioevo tutte le città europee si sono dotate di uno o più edifici monumentali che assolvevano a svariate funzioni politiche e sociali d’uso collettivo, simboleggiando l’identità civile della società cittadina. Nei vari paesi questi edifici venivano definiti con nomi diversi – Palazzi comunali, Hôtels-de-ville, Town Halls, Rathäuser, Ayuntamientos, Stadthuitzen… – ma ovunque erano la sede deputata delle autorità municipali e costituivano uno dei fulcri dell’immagine urbana, spesso mantenendo un ruolo cruciale nella vita pubblica e nel paesaggio urbano locale sino ad oggi.
Per una serie di motivi attinenti alla tradizione storiografica dei singoli paesi, questi edifici non sono mai stati oggetto di attenzione comparativa: sono stati generalmente studiati in una prospettiva di storia locale, come espressione di uno specifico momento storico, o tutt’al più come fenomeno tipicamente ‘nazionale’. La sessione mira a superare questa visione particolaristica dell’architettura civica, proponendosi di mettere a confronto una serie di studi di caso in un orizzonte transnazionale e di lungo periodo, compreso fra il tardo medioevo e la fine dell’antico regime.
Fra gli aspetti che la sessione ambisce a mettere a fuoco ci sono:
• la collocazione urbana degli edifici e il rapporto con gli spazi circostanti (tipicamente una piazza centrale, con cui l’edificio intrattiene delle relazioni molto strette)
• gli usi sociali degli edifici (spesso non solo politico-amministrativi, ma molto vari a seconda dei periodi e dei contesti: commerciali, culturali, legati alla sociabilità aristocratica…)
• il carattere dinamico di questi usi, oggetto di continue trasformazioni nel corso del tempo, in funzione delle esigenze contingenti della società cittadina e delle relative élites
• l’eloquenza delle forme architettoniche e degli apparati decorativi, efficace strumento di comunicazione degli orientamenti politico-ideologici in auge in un dato periodo (proprio per questo però soggetti anch’essi a continui processi di ‘riscrittura’: di qui il loro frequente carattere di palinsesto)
Saranno benvenuti gli studi di caso dedicati a qualsiasi aspetto collegato alle questioni di cui sopra, senza alcuna preclusione geografica o cronologica. Si darà precedenza alle ricerche originali, proposte in una prospettiva aperta alla comparazione e al dialogo interdisciplinare.


2.16 L’Europa delle città: cooperazione urbana, democrazia locale, costruzione di reti e potere politico

Coordinatori: Paola Lo Cascio (Universitat de Barcelona); Òscar Monterde Mateo (Universidad de Barcelona)
Email: paolalocascio@ub.edu

Descrizione sessione

In epoca contemporanea, le città si sono affermate come attori principali sulla scena internazionale. Tuttavia, la loro volontà di proiettarsi a livello internazionale e di influenzare le agende globali non è un fenomeno nuovo, poiché da decenni operano in modo organizzato attraverso le reti: la prima organizzazione internazionale di città, la IULA, è stata creata nel 1913. Il fenomeno della cooperazione tra città è di natura globale, ma sicuramente è stato ed è particolarmente intenso nel caso europeo, attraverso la costruzione di reti generaliste (come Eurocities), reti tematiche o reti orientate alla costruzione di legami con le regioni vicine, come nel caso dell’area mediterranea (Medcities).
Le ragioni di questo dinamismo politico ed economico del municipalismo europeo sono molteplici. In primo luogo, vi è una ragione demografica: più dell’80% dei cittadini europei vive nei centri urbani. In secondo luogo, c’è la costanza nel tempo del dinamismo economico del fenomeno urbano. In terzo luogo, va tenuto presente che il continente – o una parte significativa di esso – ha vissuto un processo di integrazione economica e politica a partire dalla seconda metà del Novecento.
Da questo punto di vista, le città – nonostante siano prive di un riconoscimento nell’architettura istituzionale dell’Unione – sono state storicamente l’avanguardia del pensiero e delle pratiche di integrazione nella misura in cui hanno sperimentato – già a partire dagli anni Cinquanta e soprattutto dagli anni Novanta del Novecento- dinamiche di cooperazione che hanno messo in campo, attraverso gli strumenti della democrazia locale, quella costruzione politica dell’Europa che è stata così spesso apparentemente distante dai cittadini, costituendosi oggi come il grande contrappeso alle tensioni disgregative e involutive che attraversano il continente e il mondo. Questa sessione, con una vocazione chiaramente interdisciplinare, si propone di riunire ricercatori di diversi ambiti (storia, scienze politiche, relazioni internazionali, ma anche urbanismo e sociologia urbana) per analizzare il ruolo che le città hanno svolto e possono svolgere nell’integrazione europea, da un punto di vista politico, economico, sociale e di costruzione di immaginari.


2.17 Gli spazi aperti della città europea nell’epoca della Guerra fredda (1950-1970)

Coordinatori: Federico Deambrosis (Politecnico di Milano); Laura Montedoro (Politecnico di Milano)
Email: federico.deambrosis@polimi.it

Descrizione sessione

Dopo la Seconda guerra mondiale, il progetto, la ridefinizione e la risemantizzazione degli spazi urbani aperti occupano una posizione centrale nella cultura architettonica e urbanistica, così come nell’agenda di molti governanti e amministratori. La dimensione monumentale dello spazio pubblico, oggetto di nuove teorizzazioni negli anni del conflitto, si carica di nuove valenze nella cornice del confronto tra le due superpotenze. La Guerra fredda è quindi intesa qui nella duplice accezione di riferimento cronologico e di condizione che pervade il discorso progettuale e quello politico, influenzandone le traiettorie. Le piazze, i viali, le strade e i parchi progettati, costruiti o semplicemente ridefiniti e configurati in questi anni possono essere, in alcuni casi, organici allo scontro ideologico ma, allo stesso tempo, riflettono le diverse modalità di interazione, aggregazione e consumo dei due sistemi contrapposti. Tanto nella città consolidata e nelle sue aree di ricostruzione ed espansione, come nei nuovi insediamenti, i discorsi e le pratiche intorno agli spazi urbani aperti condensano e sovrappongono autorità, competenze e modelli. Tra la dimensione locale, quella nazionale e quella sovranazionale si articola un sistema di incroci, fatto di penetrazioni e resistenze (culturali, ma anche fisiche e morfologiche), che determina continuità e discontinuità con il periodo prebellico.
La sessione si propone di esplorare il tema dello spazio urbano aperto in quanto motore di intersezioni e scambi nella circolazione e nell’ibridazione dei modelli, nella dialettica tra attori locali ed esterni, nella sovrapposizione di diversi livelli e scale di autorità, in un confronto tra discipline che coinvolge anche storia e restauro. Oggetto della sessione saranno progetti, visioni e cantieri nell’Europa degli anni Cinquanta e Sessanta. Una stagione in cui la dicotomia tra le forme della ricostruzione occidentale, segnata da un più o meno evidente americanismo, e gli spazi urbani del realismo socialista si fa progressivamente meno netta e leggibile, aprendo a nuove forme di intersezione e scambio; tuttavia, l’atmosfera della città dell’Europa occidentale e di quella orientale resteranno immediatamente percepibili e profondamente distinte.
Riflessioni incentrate su luoghi e progetti, ma anche sulle occasioni di dibattito e confronto quali concorsi, conferenze, mostre e scritti potranno alimentare un’esplorazione che si auspica allargata e varia negli approcci.


2.18 Le reti della partitocrazia. Opere pubbliche e città nell’Italia del secondo Novecento

Coordinatori: Lorenzo Ciccarelli (Università degli Studi di Firenze); Lorenzo Mingardi (Università degli Studi di Firenze); Giacomo Serangeli (Università degli Studi di Firenze)
Email: lorenzo.ciccarelli@unifi.it

Descrizione sessione

Nel corso della Prima Repubblica (1946-1994) lo Stato italiano assunse un ruolo centrale come committente di opere pubbliche diventando un attore chiave nello sviluppo infrastrutturale, economico e sociale del Paese. Attraverso ministeri, enti pubblici e aziende partecipate, il governo promosse interventi che spaziavano dalla costruzione di infrastrutture come strade, autostrade e ferrovie, alla realizzazione di edilizia residenziale pubblica e strutture dedicate al tempo libero come scuole, ospedali, stadi e centri culturali. In questo contesto lo Stato non si limitava a finanziare i progetti, ma spesso fungeva da regolatore e coordinatore, coinvolgendo professionisti di alto livello, tra cui storici dell’arte, architetti e ingegneri, attraverso ferree reti di appartenenza partitocratica. Le amministrazioni comuniste, socialiste e democristiane, in particolare, tendevano a privilegiare figure professionali allineate ai propri orientamenti ideologici, favorendo intrecci tra arte, tecnica e politica. Modus operandi, ampiamente diffuso, che favorì una geografia degli incarichi legata sia all’affiliazione (genuina o di comodo) di tali professionisti ai partiti politici, che all’esercizio del potere di tali partiti in determinate città e regioni della Penisola.

Un caso paradigmatico furono ad esempio i Mondiali di Calcio del 1990: uno degli eventi sportivi più significativi mai ospitati in Italia, ma anche esempio emblematico di come lo sport, la politica e il mondo professionale si intrecciarono in modo controverso. Molti architetti e ingegneri furono selezionati per progettare e realizzare tali opere non tanto per il loro curriculum o il merito professionale, quanto per la loro vicinanza ai partiti politici dell’epoca. Le amministrazioni locali e nazionali, dominate da reti partitocratiche, favorirono l’assegnazione di incarichi a professionisti legati a queste forze, creando una sorta di “geografia partitica” del lavoro tecnico e progettuale.

Facendo seguito alla sessione “Architettura e politica attiva in Italia nel secondo Novecento” organizzata all’11° congresso AISU di Ferrara, intendiamo proseguire l’esplorazione delle zone di contatto tra potere politico, burocrazia e progetto architettonico e urbano nella recente storia italiana, con il proposito di selezionare e discutere casi studio legati a singoli progettisti, opere pubbliche, o eventi in cui il legame tra architettura, città e partitocrazia si è rivelato determinante.


2.19 Istituzioni, politica e potere nelle città del Mezzogiorno medievale e moderno

Coordinatori: Salvatore Bottari (Università degli Studi di Messina)
Email: bottaris@unime.it

Descrizione sessione

Il rapporto tra le città e i poteri istituzionali e informali nella loro trasformazione costituisce un angolo visuale ottimale per leggere la storia del Mezzogiorno italiano come vicenda ampiamente iscritta nello sviluppo diacronico dell’Europa medievale e moderna. Pertanto, ci si propone di analizzare alcuni casi studio incentrati su come l’incontro/scontro delle politiche attuate da soggetti istituzionali e informali abbiano modellato le città. Pertanto, oggetto della sessione saranno le modifiche del paesaggio urbano e gli usi dello spazio pubblico strettamente connessi con le forze politiche sociali ed economiche. La trasformazione dei paesaggi urbani e degli spazi pubblici è profondamente intrecciata con le forze politiche, sociali ed economiche. In molti contesti storici, le autorità al potere hanno usato l’architettura e la pianificazione urbana per proiettare forza e legittimità. Le strutture militari, ad esempio, non servivano solo a scopi difensivi, ma si ponevano anche come simboli di dominio. Allo stesso tempo, gli attori non statali, come le corporazioni, le confraternite e le comunità straniere, hanno lasciato i loro segni sul paesaggio urbano. La loro influenza è visibile nei mercati, nelle sale di riunione, nei luoghi di culto e persino nella disposizione delle strade. Questi gruppi hanno plasmato la vita urbana attraverso l’attività economica, le osservanze religiose e le tradizioni culturali, spesso negoziando spazio e visibilità all’interno di un quadro politico più ampio. In questo senso, il contesto urbano funge come un palcoscenico dove il potere viene simboleggiato e manifestato attraverso rituali, cerimonie e segni visivi. Le città, in quanto centri di attività politica, economica e culturale, diventano naturalmente lo scenario per le manifestazioni di autorità, sia attraverso la grande architettura, i monumenti pubblici o gli eventi organizzati come parate, inaugurazioni e proteste.


2.20 Ecologia e trasformazioni territoriali. L’emergere della consapevolezza ambientale in Italia nel secondo Novecento

Coordinatori: Aurora Riviezzo (Politecnico di Torino); Alessia Franzese (Università IUAV di Venezia); Mattia Tettoni (Università IUAV di Venezia)


Email: aurora.riviezzo@polito.it

Descrizione sessione

Tra gli anni Sessanta e Settanta, sul finire del boom economico, in tutta Italia si diffonde una crescente attenzione alle questioni ambientali e territoriali, a seguito di catastrofi e crisi naturali e industriali, così come della crescente speculazione edilizia. L’affermarsi di importanti organizzazioni di massa e di movimenti ambientalisti ha avuto una forte incidenza nei processi decisionali legati alla governance del territorio. L’emergere di una coscienza collettiva ecologica più strutturata, entrata progressivamente nel dibattito pubblico, risulta sicuramente influenzata da riflessioni globali, a partire da quella proposta dal Club di Roma nel 1972 con il rapporto “The Limits to Growth”.
In questi termini, come si è evoluta la relazione tra dibattito urbanistico ed ecologia nello scambio con la cittadinanza attiva nel corso del secondo Novecento fino a oggi? A partire dalla Legge Galasso del 1985, l’introduzione di vincoli paesaggistici e di tutela ambientale hanno modificato le modalità di intervento sul territorio nazionale. Anche l’istituzione del Ministero dell’Ambiente nel 1986 e l’introduzione della Valutazione di Impatto Ambientale hanno segnato una svolta nella considerazione del paesaggio e nelle decisioni politiche per la sua tutela e valorizzazione.

La sessione è aperta a discutere progetti, vicende e riflessioni teoriche che indagano il processo di trasformazione del rapporto tra consapevolezza ambientale e sviluppo del territorio. Si accolgono contributi, anche interdisciplinari, capaci di affrontare, ma senza limitarsi a, le seguenti questioni, talvolta sovrapposte:

  • deindustrializzazione, rigenerazione del territorio e valore ecologico.
  • la relazione tra poteri e progetto secondo una declinazione ecologica, attraverso uno sguardo focalizzato alle infrastrutture ambientali;
  • la consapevolezza ambientale come forma di potere in grado di indirizzare le progettualità;
  • l’attivismo ambientalista come lettura critica delle attuali dinamiche di governance territoriale, a fronte di un appiattimento di senso nel dibattito disciplinare di architetti, urbanisti e storici dell’arte;
  • la dimensione legislativa per la tutela ambientale in relazione al progetto/piano: politiche, vincoli, limiti, opportunità;
  • la diversa interpretazione del paesaggio a seguito della consapevolezza dell’ambiente come risorsa di benessere e salute;
  • deindustrializzazione, rigenerazione del territorio e valore ecologico.

Il XII Congresso AISU (Palermo, 10-13 settembre 2025) è organizzato da