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6.1 L’architettura della città. Intersezioni culturali urbane in età moderna
Coordinatori: Heleni Porfyriou (Consiglio Nazionale delle Ricerche, CNR-ISPC-Roma); David Grahame Shane (Columbia University, NY)
Email: helpor1@yahoo.it
Descrizione sessione
Questa sessione si concentra sull’impatto che le “intersezioni” culturali (in tutte le forme di acculturazione, colonizzazione o esposizione all’altro) potrebbero aver avuto sull’architettura della città, in tutto il mondo.
Tra questi incontri ibridi, la sessione propone di concentrarsi sull’impatto che diversi modelli urbanistici, forme urbane, o tipologie edilizie visti all’estero o importati da élite potenti hanno avuto sul contesto urbano, nel corso dell’epoca moderna.
I casi di studio possono concentrarsi su ricerche originali ma anche rivisitare casi ben noti (di piani urbani o parti di essi, architetture o teorie) per evidenziare come idee architettoniche e forme urbane viaggiavano o venivano incontrate lungo le numerose rotte commerciali, vie della seta o rotte marittime.
Lo scopo più profondo è quello di ampliare il dibattito sui trasferimenti culturali urbani su scala globale e sulle molteplici configurazioni del prendere e dare, dello scegliere e implementare, del trasferire e trapiantare, del prendere in prestito e trasformare, mettendo in discussione sia le culture importate che quelle locali.
Tra le altre, la sessione pone domande come:
- Qual è il rapporto tra la forma ibrida dell’Arcade/Passage/Galleria (“la nuova tipologia edilizia europea”, secondo J.F. Geist) e quella del bazar, khan, stoa?
- Quali sono i collegamenti tra le decine di varianti delle casa-bottega Qilou in Cina e altrove nel sud-est asiatico, sia con le culture locali che con il modello coloniale del five-foot-way di Stamford Raffles?
- Quali sono state le tracce urbane lasciate dalla diffusione su scala globale del modello haussmanniano, della città giardino, del parco urbano e del modello modernista delle New Towns?
- Questi sono alcuni dei tanti casi noti che possono essere indagati con la lente delle “intersezioni culturali urbane”, per valutare, infine, il loro impatto a lungo termine su concetti come spazio, spazio pubblico, memoria o identità.
6.2 Crocevia linguistici tra “moderno” e “altro moderno”
Coordinatori: Fabio Guarrera (Università degli Studi di Palermo)
Email: fabio.guarrera@unipa.it
Descrizione sessione
Tra gli anni Venti e gli anni Trenta del XX secolo la cultura architettonica europea è stata interessata da un rinnovamento linguistico imposto dalle perorazioni del Movimento Moderno: una spinta al cambiamento dettata dalla produzione industriale e dall’evoluzione tecnologica iniziata a partire dalla seconda metà del XIX secolo.
Sulla scia del linguaggio “forestiero”, introdotto da Gropius, le Corbusier e Mies, la ricerca architettonica italiana della prima metà del secolo XX ha subito dei condizionamenti, al punto da generare una risposta “contrattata” finalizzata ad attenuare il portato delle trasformazioni linguistiche imposte dal “grado zero” modernista, in nome di una dialettica attenta ai connotati storici della città tradizionale.
In quasi tutte le principali città d’Italia si sono formati due sostanziali schieramenti: da un lato quello degli architetti più innovativi ed attenti al percolare delle sperimentazioni d’Oltralpe, dall’altro quello dei “tradizionalisti” che accettavano l’ipotesi di un rinnovamento, a patto che quest’ultimo si manifestasse in seno alla tradizione.
Gli esempi possono essere molteplici: all’immagine della Milano “razionalista” di Luigi Figini e Gino Pollini si contrapponeva quella “novecentista” di Giovanni Muzio; alla Roma “purista” di Adalberto Libera, quella “baroccheggiante” di Innocenzo Sabbatini; alla Napoli “mediterranea” di Luigi Cosenza, quella “classicista” di Marcello Canino; alla Catania “modernista” di Giuseppe Marletta quella “tradizionalista” di Francesco Fichera, ecc, ecc.
La sessione si propone di indagare il crocevia ideologico che si è istaurato tra “modernisti” e “altro- modernisti” alla luce del rapporto espresso dal tema riferibile alla “immagine della città” e alla “forma urbana”. Un approfondimento che si declina – più che sulla generica narrazione storiografica (già per altro abbastanza consistente) – sull’interpretazione linguistico-compositiva di esperienze progettuali che si sono manifestate in fatti urbani concreti, espressi ad esempio dall’esito di concorsi di idee, o da adiacenze costruttive che esplicitano con chiarezza i due contrastanti punti di vista.
6.3 Croci di chiese, croci di strade, croci di croci: simboli protettivi e di modernità fra città e contado
Coordinatori: Rosario Chimirri (Università della Calabria)
Email: rosario.chimirri@unical.it
Descrizione sessione
Sin dall’epoca paleocristiana si afferma nelle comunità europee, come Milano, Roma, Halberstadt, Treviri, Goslar, Lüttich, Hildesheim, Utrecht, Hoorn, la necessità di collocare gli edifici religiosi secondo un ordine non casuale in rapporto sia col territorio che coi nuovi valori simbolici cristiani.
Si concreta, così, la croce di chiese, la più antica e originale espressione del cristianesimo calato in una realtà urbana, che consiste nella disposizione cruciforme di quattro edifici sacri, idealmente collocati ai quattro punti cardinali, ‘funzionali’ alla protezione dei cittadini da ogni possibile calamità, e nel posizionamento centrale della cattedrale o comunque della chiesa rappresentativa della comunità urbana; molto significativa in quest’ottica risulta la disposizione delle chiese degli Ordini mendicanti.
Di poco successiva sembra la strutturazione della croce di strade, che si rinvigorisce nell’Inghilterra medievale inizialmente riutilizzando i castra romani abbandonati, per poi divenire un sistema di progettazione ex novo molto efficace, con croce aperta ed equivalente nelle quattro direzioni dello spazio, affermandosi, quindi, nell’ età moderna sia per motivazioni ideologiche e simboliche, sia per la concreta funzionalità della croce in rapporto alle necessità commerciali, viarie, antisismiche e di ‘ordine’ urbano. Ne saranno espressione Cittadella, Modena, i Quattro Canti palermitani, numerose addizioni post-medievali, le città illuministiche calabresi successive al terremoto del 1783.
Non si esclude il discorso sulla città ideale, fra corrispondenze cosmologiche relative alla perfezione del cerchio o comunque della forma poligonale regolare e del simbolismo della croce, che trae ispirazione dalla Gerusalemme ‘celeste’ medievale, intrisa anche di culture semitiche, comunque espressione dei valori di perfezione veicolati dalla sua ripartizione cruciforme.
Un significato protettivo viene assunto anche dalle croci di croci, poste solitamente sui principali percorsi di collegamento urbano, come nella Bologna medievale, o dai sistemi di edicole votive o cappelle.
Il fenomeno, nato dalla necessità di sacralizzare nuove aree abitative, di respingere forze negative, di abitare uno spazio significativo e intellegibile, ha nel tempo definito molteplici spazi esistenziali, a piccola e grande scala, in un substrato storico di ampio spessore, che fonderà in ambito europeo, mediterraneo, e nelle Americhe tradizione e innovazione.
6.4 La forma della città, un crocevia di progetti e applicazioni
Coordinatori: Renzo Riboldazzi (Politecnico di Milano)
Email: renzo.riboldazzi@polimi.it
Descrizione sessione
I piani regolatori delle città italiane del secondo dopoguerra sono stati spesso l’occasione per sperimentare modelli insediativi alternativi all’espansione compatta delle città, questo tanto per quanto attiene la forma urbana nel suo insieme quanto per ciò che riguarda il disegno degli spazi pubblici. Essi sono stati l’esito di una cultura urbanistica maturata sostanzialmente tra le due guerre, per esempio nei Congressi Internazionali di Architettura Moderna (CIAM) o nei congressi dell’International Federation for Housing and Town Planning (IFHTP). Le loro radici, tuttavia, arrivano a quegli approcci di matrice sanitaria della fine dell’Ottocento che vedeva nell’igienicità dei contesti uno degli obiettivi principali della pianificazione. Al tempo stesso, essi sono stati l’espressione di visioni politiche, logiche economiche, programmi occupazionali e residenziali che nel loro interagire hanno dato corpo alle città in cui viviamo. La sessione intende indagare i modelli insediativi proposti dalla pianificazione italiana del secondo dopoguerra, anche in relazione a quella internazionale. E, al tempo stesso, riflettere sui loro impatti sociali, igienici, economici e politici.
6.5 Il patrimonio storico militare come crocevia del futuro e frontiera di innovazione, pace e rigenerazione urbana
Coordinatori: Giovanna Badaloni (Sapienza University of Rome)
Email: giovanna.badaloni@uniroma1.it
Descrizione sessione
Nelle complesse trasformazioni urbane e territoriali contemporanee, le opere di difesa dismesse e abbandonate si rivelano una risorsa strategica e dinamica, capace di adattarsi, rivitalizzare e riqualificare la città e la sua identità storico-culturale. Questa sessione mette in luce come questi spazi possano diventare avamposti creativi di idee, esperienze e innovazioni, attraverso la loro riconversione da luoghi di conflitto a spazi di condivisione, cultura e pace. L’obiettivo è promuovere un dialogo multidisciplinare sul potenziale del patrimonio militare nella città crocevia tra passato e futuro, contribuendo a definire nuove urbanità maggiormente inclusive e resilienti.
Temi chiave
Valorizzazione e riuso: Definire metodi innovativi per il recupero e il riuso delle infrastrutture militari, integrandole nel tessuto urbano in modo funzionale e simbolico.
Città e Architetture per la Pace: Trasformare luoghi di guerra in spazi di cultura e incontro che promuovano la pace, il dialogo e la coesione sociale.
Innovazione e Sostenibilità Urbana: Promuovere il dibattito progettuale e tecnico, convertendo le infrastrutture in laboratori di idee per la rigenerazione, lo sviluppo urbano e la sostenibilità.
Buone Pratiche: Presentare casi di successo di recupero e valorizzazione, evidenziando le prospettive e i benefici sociali, economici e culturali.
6.6 Mura crocevia di idee e sperimentazioni urbane. Il destino delle cinte murarie dopo la loro caduta funzionale
Coordinatori: Paola Porretta (Università Roma Tre); Sara D’Abate (Università Roma Tre)
Email: paola.porretta@uniroma3.it
Descrizione sessione
Le cinte murarie sono state per lungo tempo uno degli elementi più caratterizzanti i paesaggi urbani italiani. Oltre alla primaria funzione difensiva, hanno rappresentato per secoli anche il confine materiale e immateriale delle città, contribuendo a plasmare l’immagine e l’identità di molti centri abitati.
A partire dal XIX secolo, le mura hanno progressivamente perso la loro funzione difensiva e sono presto diventate presenze obsolete e ingombranti. Proprio nei decenni in cui la maggior parte delle città italiane subiva una crescita esponenziale e radicali trasformazioni, anche le antiche mura entrarono nei dibattiti sullo sviluppo urbano, andando incontro a sorti molto diverse. In alcuni casi, furono parzialmente o interamente demolite perché considerate un ostacolo alla crescita urbana: le loro tracce sono talvolta completamente sparite o, al contrario, sono ancora oggi chiaramente riconoscibili nelle strade di circonvallazione e nei sistemi di spazi pubblici che ne hanno ricalcato il perimetro. In altri casi sono stati aperti varchi accidentali o puntualmente progettati; in altri ancora sono state oggetto di riusi o abbandoni parziali. Infine, quasi sempre – sebbene in momenti storici diversi da caso a caso – le cinte urbiche sopravvissute sono state oggetto di studio e in tempi più o meno recenti di attenzioni conservative e azioni di patrimonializzazione che le hanno reinserite nei processi di crescita, rigenerazione, risanamento o riconfigurazione (anche in chiave simbolica). Crocevia di molteplici idee progettuali, le cinte dismesse sono state negli ultimi due secoli terreno di sperimentazioni che hanno intercettato e interagito con più ampie questioni di sviluppo urbano.
La sessione intende raccogliere contributi che esplorino, anche in prospettiva storica, i diversi processi di trasformazione che hanno interessato le cinte murarie dopo la loro caduta funzionale. L’obiettivo è indagare e mettere a confronto le tante storie di oblio, conservazione, demolizione, patrimonializzazione e risemantizzazione e le conseguenze di tali processi nella costruzione della forma della città.
Saranno accolti contributi che affronteranno il tema attraverso analisi panoramiche o singoli casi studio, relativi sia a contesti italiani che internazionali.
6.7 La Variazione come regola organizzativa della città moderna
Coordinatori: Anna Riciputo (Sapienza Università di Roma); Monica Prencipe (Ricercatrice indipendente)
Email: anna.riciputo@uniroma1.it
Descrizione sessione
La musica, per descrivere la propria struttura, utilizza l’espressione “architettura musicale”: ricambiando la cortesia, lo studio e la progettazione dell’architettura e della città possono mutuare il significato di “variazione musicale” prendendo in prestito significati e significanti per descrivere la capacità degli insediamenti e dei loro edifici di deviare dalla regola per adattarsi a luoghi e culture diversi da quelli della matrice originaria. La variazione, intesa come scostamento dalla regola, inserisce un dinamismo all’interno di una struttura fenomenologica rigida, permettendo, insieme alla modificazione della forma, la modificazione del significato dell’architettura stessa. Rafael Moneo ci informa che il modello può essere considerato come «la cornice all’interno della quale la variazione opera, un elemento necessario alla dialettica richiesta dalla storia».
Nella Sessione si studieranno quei casi relativi alla storia del XIX e XX secolo in cui, partendo da un modello urbano classificabile e distinguibile, il progetto della città o di una sua porzione ha subito delle modificazioni formali, ma soprattutto concettuali, sia per interpretare il genius loci inteso come insieme delle caratteristiche imprescindibili del territorio, del clima e della tradizione costruttiva; sia per rispondere alla necessità del modus vivendi del popolo a cui è destinata o da cui è realizzata (esemplare la “tropicalizzazione” dei modelli europei avvenuta in Brasile a partire dagli anni ’30 del XX secolo).
La sessione offre l’opportunità di porsi delle domande sulla validità formale e concettuale di talune invarianti del progetto architettonico e urbano super-spaziali e super-temporali (Zevi le definiva “super- personali”), che riguardano temi ontologici (come lo stare al mondo da soli e con gli altri; l’abitare la terra nel passato e nel futuro; la ricerca dell’identità di individuo e di Nazione; la rappresentazione del qui e ora); temi gnoseologici (come la conoscenza del sé stesso in continua transizione – tema dei popoli passati e presenti attraverso fenomeni di colonialismo e colonialità; conoscenza del mondo altro rispetto a quello a cui/da cui si proviene); e temi fenomenologici, che traducono in forma e materia i precedenti, attraverso principi insediativi, tettonici, espressivi.
I casi studio presentati si sostanzieranno nella tensione instaurata tra le resistenze del modello e il dinamismo della variazione, nella ricerca di un costante equilibrio tra l’essere e l’essere in potenza all’interno dello spazio-tempo: i temi della continuità, della variazione, del modello e del suo superamento sono solo apparentemente antinomici perché derivano tutti dalle potenzialità offerte dalle preesistenze, per cui nessuna tabula rasa può esserlo sia fisicamente sia culturalmente allo stesso tempo.
6.8 Trasmettere e trasformare i patrimoni edilizi urbani: attori, pratiche, processi (XII-XXI secolo)
Coordinatori: Michela Barbot (CNRS-Ecole Normale Supérieure Paris-Saclay); Federica Masè (Université d’Évry Paris-Saclay); Roberta Morelli (Ecole Nationale Supérieure d’Architecture Paris-Belleville)
Email: mbarbot@ens-paris-saclay.fr
Descrizione sessione
Questa sessione si propone di affrontare il tema del progetto della e sulla città a partire da uno specifico angolo di osservazione: il ruolo giocato dai proprietari immobiliari urbani nell’orientare e nell’influenzare le trasformazioni degli edifici e degli spazi che li accolgono. Che si tratti di conservare, rinnovare o modificare un immobile o un complesso architettonico più ampio, le scelte e le azioni compiute da quanti ne detengono la responsabilità (siano essi individui, famiglie o istituzioni) possono incidere sensibilmente sugli esiti finali di questi processi, affiancandosi – o entrando a volte in collisione – con i piani, i progetti e le forme di regolazione immaginati dai poteri pubblici. Pensiamo, in particolare, alle scelte in materia di gestione e di trasmissione patrimoniale: diversi studi hanno mostrato che le strategie di devoluzione ereditaria (testamenti, doti, fedecommessi, ecc.) e le modalità di concessione dei diritti immobiliari (contratti enfiteutici, locazioni di lunga durata, affitti brevi, subaffitti) sono quanto mai gravide di conseguenze sulla preservazione dell’integrità fisica e dell’unità architettonica dei patrimoni edilizi. Considerazioni simili, ma di segno opposto, valgono per il rovescio della medaglia, ovverosia per le situazioni nelle quali l’inazione di proprietari e abitanti, e la rinuncia alle loro prerogative (è questo il caso, ad esempio, delle successioni vacanti o dei beni abbandonati), diventano fattori di fragilizzazione, se non vere e proprie minacce ai progetti di conservazione e di rigenerazione urbana.
Privilegiando comunicazioni incentrate su singoli casi di studio, analizzati in un’ottica comparativa e su un lungo arco cronologico (dal Medioevo ad oggi), la sessione si interrogherà sul potere trasformativo di queste pratiche sociali e sui conflitti e le tensioni che esse possono suscitare al crocevia fra sfera privata e sfera pubblica.
6.9 Città, natura e spazio aperto. Il vuoto urbano come crocevia di idee per la città
Coordinatori: Paolo De Marco (Università degli Studi di Palermo)
Email: paolo.demarco@unipa.it
Descrizione sessione
Lo spazio aperto urbano, in particolare quello definito da architetture e monumenti, spesso si stabilisce come l’immagine più rappresentativa della città. Come osserva Costantino Dardi, si tratta di un luogo in cui i “complessi passaggi della memoria individuale e dell’immaginario collettivo […] coesistono raggiungendo la più alta densità e concentrazione” (Dardi 1992, 35). Se dal punto di vista dei caratteri spaziali, la piazza è un “luogo assolato, misurato e limitato” (Nencini 2012, 25), la sua morfologia rappresenta invece una necessaria rarefazione nella quale la città si riconosce e che sta al centro della stessa idea di forma urbis (Purini 2012, 8).
Al contempo – nonostante i miti antichi narrino di ideali città-giardino – l’archetipo della città stabilisce una netta separazione tra l’ambiente naturale e quello urbano, delimitando lo spazio abitativo rispetto al territorio circostante attraverso un recinto. La città, dunque, nel suo principio, esclude e separa, includendo la natura nella struttura urbana solo come un frammento (Espuelas 2004, 50).
In un’epoca in cui appare sempre più urgente ripensare i modi dell’abitare in relazione alla natura, questa sessione intende raccogliere studi e riflessioni sul rapporto tra città e vegetazione attraverso lo spazio aperto. L’obiettivo è contribuire a una migliore comprensione delle trasformazioni e dei fenomeni che hanno caratterizzato i luoghi più significativi delle città contemporanee. Il vuoto urbano viene dunque inteso come un crocevia di idee progettuali, un suolo stratificato su cui si manifesta la cultura di una società.
6.10 Ripensare il progetto della natura nelle storie dell’abitare collettivo: attori e dibattiti, norme e narrazioni.
Coordinatori: Gaia Caramellino (Politecnico di Milano); Nicole De Togni (Politecnico di Torino)
Email: gaia.caramellino@polimi.it
Descrizione sessione
La storia dell’abitazione collettiva è fortemente radicata nello studio del costruito, in termini di scelte tipologiche, articolazione delle unità abitative e dei quartieri, o di immaginari domestici, mentre la definizione dell’ambiente naturale circostante è stata raramente indagata. Concentrandosi sul rapporto tra residenzia e natura, la sessione propone di riconsiderare la storia dell’edilizia collettiva del secondo dopoguerra – pubblica e privata -, attraverso la progettazione del paesaggio, aprendo a narrazioni inedite e mettendo in discussione quadri interpretativi e storiografici consolidati.
Nel rapido sviluppo urbano del secondo dopoguerra, la pianificazione urbanistica ha concepito il paesaggio come un’entità misurabile, espressa in termini di indici quantitativi e standard, con una forte presa sulle politiche del periodo. Inoltre, gli architetti italiani avevano scarsa familiarità con il progetto del paesaggio, mentre il loro interesse era prevalentemente rivolto alla tipizzazione, standardizzazione e industrializzazione dell’edilizia abitativa, con un riconoscimento tardivo dell’architettura del paesaggio come disciplina e di istituzioni educative e professionali.
Collocando l’edilizia residenziale collettiva all’intersezione delle storie del paesaggio, della pianificazione urbanistica, dell’architettura e dell’ambiente, la sessione è interessata a indagare i diversi attori coinvolti nella codificazione di divergenti idee progettuali, modelli residenziali, visioni sociali e politiche urbane sulla progettazione integrata di abitazioni e paesaggio. Sono benvenuti contributi che affrontino momenti, luoghi e vettori significativi nel definire i lineamenti del dibattito accademico, istituzionale, professionale e tecnico, che muovano dalla microstoria degli edifici e dei quartieri, o interroghino specifiche biografie.
Se il dibattito italiano è cruciale, ci proponiamo anche di collocarlo in una prospettiva comparativa per individuare nuove direzioni storiografiche: nella scrittura della storia dell’edilizia residenziale collettiva attraverso la storia del suo paesaggio; nella comprensione dei processi di costruzione e teorizzazione della crescita urbana del secondo dopoguerra; nella storia del design urbano.
6.11 Crocevia, spazi civici e luoghi del potere (XIII-XVII secolo)
Coordinatori: Andrea Longhi (Politecnico di Torino); Elena Svalduz (Università di Padova)
Email: andrea.longhi@polito.it
Descrizione sessione
I processi di fondazione di nuovi insediamenti (o di espansione di centri consolidati) prevedono, in numerosi contesti geografici e storici, tracciamenti che pongono un crocevia e una griglia geometrica quali elementi ordinatori e propulsori delle dinamiche di popolamento. L’intersezione viaria e la maglia stradale regolare generano una pluralità di possibili schemi di impianto che, soprattutto tra il basso medioevo e la prima età moderna, costituiscono il sostrato della costruzione di paesaggi urbani che ridisegnano i sistemi insediativi in Europa e nei territori coloniali.
La sessione propone di riflettere sul rapporto tra le geometrie dei crocevia di impianto e la formazione dei luoghi della collettività nei centri fondati o rifondati. In particolare, si propone di indagare quali criteri e strategie sovrintendano al rapporto tra la crociera viaria e la localizzazione dei palazzi comunali e delle sedi delle magistrature civiche, come pure delle sedi dei rappresentanti del governo dei centri fondatori, in rapporto ad altre polarità urbane e luoghi del potere (economico, ecclesiastico, religioso ecc.). Se i “signori del suolo”, secondo una felice definizione di Jacques Heers, governano i nuovi centri urbani, lottizzandoli, cosa accade nel corso dell’età moderna quando l’addizione di nuove terre comporta la sistemazione della rete viaria? Quanto questi processi incidono sull’assetto delle sedi del potere?
La sessione intende indagare in un’ottica comparativa e in un lungo arco cronologico, a partire dall’età medievale, la versatilità delle soluzioni adottate da parte dei poteri cittadini nelle scelte localizzative di palazzi comunali, in relazione alla rete viaria con particolare riguardo per gli incroci di strade.
6.12 Nuove concezioni urbane e valore della quotidianità: riflessioni sul concetto di “Common Man” nel dibattito architettonico del dopoguerra
Coordinatori: Elena Giaccone (Politecnico di Torino)
Email: elena.giaccone@polito.it
Descrizione sessione
Nel settembre del 1947, durante il primo CIAM del dopoguerra (Bridgwater, Inghilterra), J. M. Richards, primo delegato del gruppo inglese MARS, tenne un accorato discorso, esortando i presenti a riconsiderare criticamente il fallimento dell’Architettura Moderna rispetto alla sua incapacità di comunicare con “l’uomo comune della strada” (Common Man of the Street).
Il suo intervento segnò un momento importante nel discorso architettonico dell’epoca, in particolare nel contesto della ricostruzione postbellica, mentre architetti e urbanisti assumevano un ruolo cruciale nel ripensare e (ri)costruire una società più equa e democratica e le città diventavano veri e propri laboratori di sperimentazione progettuale di nuove soluzioni urbane.
Da quel momento in poi, la figura del Common Man, l’abitante ordinario della città, divenne centrale nel dibattito architettonico e urbano, fosse egli concepito quale standard universale per una pianificazione a larga scala, archetipo di pratiche di vita comunitaria o soggetto specifico descritto entro precise condizioni socio-culutrali.
In seguito, il concetto è stato ripreso, evolvendosi attraverso molteplici e talvolta contrastanti interpretazioni. Alternativamente, è stato rappresentato come the anonymous statistic of history (S.Woods, 1975), vittima per eccellenza di governi iperburocratici e dell’espansione capitalistica, o come architectes chez eux (G. Candilis, 1959), attori urbani attivi e consapevoli, capaci di incidere in modo trasformativo sul proprio ambiente di vita ed esigere una partecipazione diretta nel progetto della città. Tra le diverse interpretazioni, il concetto emerge nell’interesse di Alison e Peter Smithson tanto per l’uomo ordinario della working-class, che attraversa a piedi il proprio quartiere, quanto nella figura sempre più diffusa del cittadino middle-class che possiede e si muove in auto privata. E ancora, ritroviamo il termine nell’idea di Bernard Rudofsky di nomad o unrooted man, che incarna un modo di resistere o, invece, di soccombere alle condizioni alienanti di una società di massa.
Dibattuta di volta in volta nell’ambito delle tradizioni vernacolari, della cultura di massa, delle pratiche folcloristiche o dell’estetica pop, questa figura divenne una lente attraverso cui trasformazioni sociali più ampie venivano discusse e contestate.
La sessione intende coinvolgere ricerche che esplorino le diverse traiettorie di questo concetto in occasioni e contesti del discorso architettonico, occidentale e non, tracciandone le interpretazioni e i fondamenti ideologici.
Attraverso la costruzione di una cartografia estesa del termine, si vuole sottolinearne il potenziale come strumento per ripensare la storia urbana e architettonica del secondo dopoguerra, mettendo in luce il ruolo delle città come pricipali arene di un dialogo in continua evoluzione, dove visioni, pratiche e politiche si incontrano e scontrano, trasformando il paesaggio urbano a esse contemporaneo.
6.13 Stazione e infrastruttura ferroviaria. Funzione e simbolo nella città e nel territorio, dal XIX al XXI secolo
Coordinatori: Federico Ferrari (Ecole Nationale Supérieure d’Aarchitecture Paris-Malaquais / Université Paris Sciences et Lettres); Alessandro Benetti (Alessandro Benetti, Politecnico di Torino); Emma Filipponi ( Ecole nationale supérieure d’architecture Paris-Val de Seine)
Email: federico.ferrari@paris-malaquais.archi.fr
Descrizione sessione
Dal XIX secolo ad oggi, la stazione ferroviaria ha sempre rappresentato un’interfaccia tra flussi di natura e di scala diversa: materiali e immateriali, di persone, merci, energia ed immaginari, alla scala locale, regionale e continentale.
Architettura dotata di una sua autonomia e allo stesso tempo necessariamente inserita in un sistema più ampio, ogni stazione esiste all’incrocio tra specificità storico/locali, e modelli condivisi circolanti ad altre scale, sia spaziali che temporali. Al di fuori dei limiti materiali dell’edificio, nella città la stazione assume spesso il ruolo di perno e volano di composizioni e progetti urbani a grande scala. Infine, la stazione, fuori dalla città, è il sintomo più visibile e puntuale di un’infrastruttura lineare e reticolare a scala territoriale, come testimoniano i recenti hub extraurbani dell’alta velocità.
La stazione e la sua architettura, nonché gli oggetti infrastrutturali che ne costituiscono le propaggini tangibili a scala urbana e territoriale, incarnano dunque, a seconda dei contesti geografici e delle epoche, messaggi e retoriche spesso di tipo politico/culturale. Questa sessione intende riflettere sulla stazione e l’infrastruttura ferroviaria secondo diverse accezioni e approfondirne in particolare il valore immateriale come dispositivo retorico, interfaccia e punto di coagulo tra diversi immaginari, dal locale al globale: stilemi regionalisti o classico-eclettici, vocabolari architettonici dagli accenti monumentali o modernisti (come nel caso, uno fra i tanti, delle stazioni italiane di epoca fascista), linguaggi high-tech (come diverse stazioni landmark dell’alta velocità degli ultimi decenni).
Le proposte potranno riguardare casi-studio, confronti tra casi studio o tematiche di ambito italiano o europeo e coprire un arco temporale esteso dagli esordi della ferrovia a metà Ottocento, all’epoca d’oro fra le due guerre, sino alla recente stagione dell’alta velocità. Saranno accolte proposte provenienti da diversi settori disciplinari.
Le proposte potranno inquadrarsi in uno o più dei tre ambiti di riflessione seguenti, che non sono da considerare in alcun modo limitanti o esaustivi:
1: stazioni e linguaggi architettonici, tra funzione e simbolo.
2: la stazione come elemento multiscalare e perno di composizioni urbane.
3: l’infrastruttura e il rapporto con il paesaggio e/o la stazione extraurbana come landmark.
6.14 Palazzi del potere e spazi civici dall’Unità d’Italia al secondo Novecento: architetture, apparati decorativi e trasformazioni urbane
Coordinatori: Maria Stella Di Trapani (Università degli Studi di Catania); Lorenzo Grieco (Università di Roma Tor Vergata), Rosa Maria Marta Caruso (Politecnico di Torino)
Email: mariastella.ditrapani@gmail.com
Descrizione sessione
La sessione invita a riflettere sugli aspetti urbanistici, architettonici e artistici dei Palazzi del potere nelle città italiane tra Ottocento e Novecento. Allo scopo di interrogarsi su come i diversi poteri (amministrativo, giuridico, militare ed economico) si siano concretamente materializzati nella città. Le architetture e gli spazi civici oggetto di indagine potranno comprendere non soltanto le sedi delle amministrazioni pubbliche, comprese quelle degli enti locali, ma anche gli edifici legati agli organi giudiziari, alle carceri, alle borse, alle dogane, alle forze armate e di polizia.
Il principale focus delle proposte ruoterà intorno all’inserimento dei Palazzi del potere nel contesto di vecchie e nuove gerarchie urbane, riflettendo anche su criteri e strategie connessi alla presenza di elementi ordinatori e propulsori quali i crocevia, in un arco cronologico compreso tra l’Unità d’Italia e il secondo Novecento. Tali edifici possono insistere su tessuti urbani preesistenti, in aree di espansione del nucleo storico o in impianti di nuova fondazione, rendendo evidente il legame tra pianificazione urbanistica e definizione dei centri del potere della città. La sessione consentirà un approccio interdisciplinare, aperto anche alle trasformazioni e alle ricostruzioni legate a distruzioni belliche, catastrofi naturali o a precise scelte ideologiche e politiche. L’attenzione agli sviluppi urbanistici di realtà periferiche o poco indagate potrà favorire un nuovo interesse nei confronti di un patrimonio ancora trascurato. Ulteriori riflessioni potranno riguardare la natura spesso monumentale di questi edifici, caratterizzati da apparati simbolici precipui, con una forte valenza identitaria. L’analisi delle tipologie, dei modelli ricorrenti e dei linguaggi decorativi caratterizzanti i suddetti Palazzi rivelerà come la città, dalla metropoli al centro rurale, costituisca un organismo parlante, esprimendo visivamente poteri, identità civiche e istituzioni.
Considerando l’orizzonte italiano ma con un’apertura a proposte di casi internazionali in chiave comparativa, altri approfondimenti potranno riguardare le figure coinvolte nei progetti urbanistici, architettonici e decorativi; i rapporti tra committenti, funzionari e personalità locali; il possibile ricorso allo strumento concorsuale; il rapporto tra gli edifici e il contesto cittadino e la percezione, passata e presente, da parte delle rispettive comunità.
6.15 Le città delle donne. Pioniere e progettiste alla scala urbana e del paesaggio (XIX-XX secolo)
Coordinatori: Rosa Sessa (Università degli Studi di Napoli Federico II); Silvia Berselli (Università degli Studi di Parma); Monica Precipe (Architetta e studiosa indipendente)
Email: rosa.sessa@gmail.com
Descrizione sessione
Negli ultimi anni la ricerca ha dedicato crescente attenzione al contributo delle donne all’architettura moderna e contemporanea. Tuttavia, la narrazione dominante le ha spesso relegate ai margini della sfera pubblica, trascurando il loro ruolo attivo nel ripensamento e nella trasformazione dello spazio urbano e territoriale. Lungi dall’essere escluse, le donne—almeno a partire dal XIX secolo—hanno concepito modelli insediativi innovativi, immaginato utopie urbane e promosso realizzazioni concrete che hanno riconsiderato o direttamente influenzato il dibattito culturale e il progetto della città. Esempi significativi includono il contributo di Marion Mahony Griffin al piano urbanistico di Canberra (1912) e la visione di Alice Constance Austin per Llano del Rio (1914), le narrazioni utopiche di Herland (1915) di Charlotte Perkins Gilman, le prime esperienze di abitazioni comunitarie per madri single e il ripensamento degli spazi educativi proiettati oltre le mura scolastiche. A queste sperimentazioni si affiancano le battaglie urbanistiche di figure come Jane Jacobs, che hanno ridefinito la città come spazio più inclusivo e partecipativo. Si propone quindi una sessione che promuova nuove ricerche sul contributo delle donne alla scala del progetto urbano e di paesaggio, tradizionalmente ritenuti di competenza maschile.
La sessione mira a esplorare il ruolo di progettiste e gruppi di progettazione nel plasmare la città e il territorio da un punto di vista sia teorico che compositivo. Si incoraggiano contributi che analizzino:
• Pioniere (XIX secolo) e loro teorizzazioni o partecipazioni in progetti a scala urbana, comprese esposizioni universali o edifici pubblici.
• Prime laureate (1900-1945) e loro impatto su progetti urbani e riflessioni teoriche del primo Novecento.
• Piani di ricostruzione postbellica (1945-1965), con particolare attenzione al ruolo delle progettiste nei CIAM, nelle scuole di architettura e nei gruppi di progettazione.
• Programmi di riqualificazione e social housing (1966-1999).
• Parchi cittadini e parchi regionali.
Le proposte dovranno evidenziare chiaramente il contributo delle progettiste, riconoscendo il lavoro svolto in collaborazione con colleghe/i e team di progettazione e le idee innovative e originali messe in campo. La cronologia include il XIX e XX secolo, l’ambito di indagine è globale. Sarà inoltre fondamentale analizzare le dinamiche di potere coinvolte nei progetti, come le relazioni con istituzioni, investitori e abitanti.
6.16 Esperienze di rigenerazione urbana sostenibile delle città storiche
Coordinatori: Claudia Aveta (Università di Pisa); Gaspare Massimo Ventimiglia (Università di Palermo)
Email: claudia.aveta@unipi.it
Descrizione sessione
È palese che le città storiche abbiano svolto, negli ultimi decenni, il ruolo di crocevia di idee progettuali e della loro attuazione. L’obiettivo dei decisori politici e delle comunità è lo sviluppo sociale, economico e culturale dei cittadini e del territorio, ma diventa sempre più rilevante il perseguimento della sostenibilità ambientale, poiché occorre garantire il contrasto agli effetti dei cambiamenti climatici.
Ecco, dunque, che per adeguarsi alle esigenze del mondo contemporaneo vengano ricercate, declinandole in un’ampia varietà di esperienze, le soluzioni per un futuro a misura d’uomo, imperniato sui processi di rigenerazione urbana sostenibile.
Pur nel rispetto dei caratteri morfologici distintivi delle città e del loro tessuto stratificato, sembrano emergere interpretazioni diverse nel modo di affrontare le complesse problematiche, che si esemplificano in scelte modulate in relazione alla scala dei valori e delle priorità: si può dunque registrare un particolare interesse per l’innovazione tecnologica nel campo dei trasporti, per l’adeguamento delle infrastrutture viarie, per il miglioramento delle condizioni delle periferie o della fruizione dei centri storici, per la valorizzazione del patrimonio architettonico e per l’efficientamento energetico, per l’adeguamento delle infrastrutture verdi, o ancora per i temi della sicurezza e della salvaguardia occupazionale.
Partendo da tali constatazioni, la Sessione intende raccogliere le esperienze di ricerca, d’indagine, di progettazione o attuazione relative alla rigenerazione urbana sostenibile alle varie possibili scale, compiute o in via di attuazione, in ambito nazionale ed internazionale, con particolare riguardo al tessuto dei centri storici ponendone in risalto gli aspetti critici salienti e i benefici affinché possano fungere da stimolo per ulteriori attività di conoscenza, ideazione e attuazione.
6.17 I segni del passato entro la struttura della città attuale: valorizzazione, gestione e fruizione di ambiti urbani intesi come sistemi complessi.
Coordinatori: Maria Grazia Turco (Sapienza Università di Roma); Maria Letizia Accorsi (Sapienza Università di Roma); Elena Paudice (Sapienza Università di Roma); Alessandro Durantini (Sapienza Università di Roma); Serena Volterra (Sapienza Università di Roma)
Email: mariagrazia.turco@uniroma1.it
Descrizione sessione
All’interno di ambiti urbani altamente stratificati, dove il collegamento tra passato e presente si definisce e risolve entro lo spazio della città attuale, per valutare la ricaduta delle operazioni di trasformazione sugli equilibri del contesto di riferimento occorre restituire il divenire del paesaggio urbano e riconoscere le valenze storiche, culturali, fisiche e ambientali che determinano l’identità dei luoghi. Si tratta di evidenziare correlazioni e interrelazioni, dati che scaturiscono da un processo di stratificazione storica in continua evoluzione. In effetti, l’interpretazione dei segni culturali del territorio rappresenta il primo atto del programma di valorizzazione finalizzato a relazionare la salvaguardia e lo sviluppo per attivare una strategia di progetto capace di conferire armonia ed equilibrio ai processi di gestione e trasformazione urbana.
Certamente la continua evoluzione della città segna i confini di un’operatività che non riesce a risolvere pienamente le complesse problematiche della globalità del costruito, come la resilienza, l’accessibilità e l’inclusione sociale nonché una valorizzazione del patrimonio culturale. In questi termini il panorama odierno risulta estremamente ampio e problematico. Appare quindi opportuno mettere a confronto metodi e strategie d’intervento che sono chiamati a risolvere questioni complesse, sulle quali è necessario continuare a riflettere: interventi che si rivolgono alle testimonianze materiali del passato con l’intento di rispondere a nuove e più attuali istanze che investono la struttura stessa della città. Ciò che significa operare con equilibrio facendo dialogare correttamente storia e contemporaneità.
D’altra parte, riconoscere e valorizzare le testimonianze storiche come parti attive della città contemporanea rappresenta una delle sfide più stimolanti e attuali.
L’interesse si rivolge quindi a opere, non più intese come reperti da proteggere e isolare, ma come occasione-pretesto per una rilettura e riconfigurazione dell’‘insieme’ di cui tali testimonianze sono parti integranti, soprattutto nel periodo compreso tra Ottocento e Novecento.
Testimonianze e nel contempo occasioni di relazioni sociali, nel corso del tempo, durante la loro definizione, esse hanno caratterizzato parti di città divenendo luoghi cruciali per le comunità.
6.18 Oltre la mobilità. Etica ed estetica del mezzo pubblico.
Coordinatori: Costanza Paolillo (New York University / Università IULM); Francesca Santamaria (Centro per la Storia dell’Arte e dell’Architettura delle Città Portuali “La Capraia”, Napoli)
Email: cp3014@nyu.edu
Descrizione sessione
Nel contesto delle trasformazioni della città contemporanea, la realizzazione di infrastrutture di trasporto e connessione intra ed extraurbane è spesso presentata come un dispositivo di rigenerazione di aree neglette non solo per i servizi offerti ma anche per la capacità trasformativa attribuita alla qualità del design e al suo impatto visivo.
Talvolta, il valore estetico dell’infrastruttura è tale da oscurare la sua funzione primaria al punto che la sua bellezza diventa il parametro principale con cui la costruzione viene giudicata e promossa all’interno del discorso pubblico, persino quando non adempie in modo soddisfacente alla funzione cui è preposta. Ne è un esempio il controverso Ponte della Costituzione di Santiago Calatrava a Venezia, una delle poche strutture moderne della città, ampiamente contestata per i costi eccessivi, i difetti di progettazione e la scarsa accessibilità.
ln alcuni casi il valore estetico dell’infrastruttura si accompagna all’idea di un suo valore etico, come se la rigenerazione urbana dell’area implicasse in modo quasi automatico una rigenerazione sociale. È il caso della Linea 1 della metropolitana di Napoli con le sue Stazioni dell’arte, dove alla qualità estetica del mezzo pubblico è stato attribuito un potere democratizzante e con esso una nuova missione, ovvero trasformare non lo spazio ma gli abitanti. In altri casi, l’infrastruttura diventa un catalizzatore di attenzione nello spazio urbano, in grado di attrarre visitatori tanto per la sua forma quanto per la sua funzione, come accade per la stazione Toledo della metropolitana di Napoli o per l’Hauptbahnhof di Berlino.
In questo panel siamo interessate a discutere le infrastrutture di mobilità e connessione ad alto impatto estetico e monumentale (stazioni ferroviarie e metropolitane, stazioni di autobus, aeroporti e porti, ponti, ecc.) sia dal punto di vista architettonico e urbanistico che da una prospettiva socio-culturale. Le proposte potranno riguardare casi da ogni ambito geografico e aspetti – a solo titolo esemplificativo – quali l’estetizzazione, la turistificazione e la mercificazione del trasporto pubblico, il rapporto tra efficienza e dimensione spettacolare nel progetto e nell’esperienza degli utenti, gli effetti di tali costruzioni sull’identità urbana e sull’immaginario collettivo, le implicazioni sul tessuto sociale locale.
6.19 Riforme urbane nel Secolo dei Lumi: teorie, progetti, realizzazioni
Coordinatori: Riccardo Serraglio (Università della Campania “Lugi Vanvitelli”); Danila Jacazzi (Università della Campania “Luigi Vanvitelli”); Raffaela Fiorillo (Università della Campania “Luigi Vanvitelli”)
Email: riccardo.serraglio@unicampania.it
Descrizione sessione
I rinnovamenti politici e sociali del Settecento generarono plurimi e polimorfi programmi di riforma urbana. In contesti culturali e geografici differenti, sovrani, politici e intellettuali osservarono in chiave propositiva il crescente degrado delle città coeve. In effetti, l’esigenza di riconfigurare l’ambiente costruito dei maggiori centri urbani, rendendolo quantomeno salubre e decoroso, se non ameno, era avvertita come un obiettivo primario. Il modenese Lodovico Antonio Muratori, per esempio, nel trattato Della Pubblica Felicità (1749) affermò che era compito del principe consentire alla popolazione di vivere in città “ben regolate” e pulite. Il napoletano Giovanni Carafa, nella Lettera ad un amico (1750), argomentò che i sistemi urbani sorti spontaneamente in età remote erano soggetti a un decadimento ineluttabile. Di conseguenza, a suo parere la costruzione di città nuove, regolate dal raziocinio di un progetto, sarebbe stata preferibile a dispendiosi tentativi di risanamento. Sostenuti da un dibattito culturale particolarmente vivo, gli architetti del tempo furono chiamati a redigere progetti di riqualificazione di sistemi urbani obsoleti, a disegnare quartieri di espansione, a immaginare la forma e organizzare le funzioni di città di fondazione. Nel corso del secolo si susseguirono gli interventi di embellissemts delle metropoli di Londra e Parigi; la ricostruzione di Lisbona; l’ampliamento di Edimburgo; la realizzazione ex novo di Pietroburgo e Washington, giusto per ricordare alcuni casi ben noti. In un’epoca caratterizzata dalla circolazione di trattati e disegni di architettura, dall’affidamento di importanti incarichi di progettazione ad architetti stranieri da parte di diversi regnanti, dalla possibilità degli architetti di compiere viaggi di studio in altre nazioni, sarà interessante verificare in quale misura i rinnovati riferimenti teorici influenzarono le trasformazioni delle città concrete. Inoltre, è noto che talvolta i progetti rimasero sulla carta e in alcune circostanze la loro realizzazione fu incompleta o difforme rispetto a quanto predisposto. Evidentemente, i cospicui studi prodotti sull’argomento costituiscono fondamenta solide, sulle quali si potranno sviluppare nuove ricerche. In continuità con i risultati pregressi, riletture innovative di casi noti, approfondimenti di episodi precedentemente appena accennati, contributi inediti, potranno apportare avanzamenti significativi al corrente stato dell’arte.
Il XII Congresso AISU (Palermo, 10-13 settembre 2025) è organizzato da
