1.1 Ingegneri militari e la pianificazione urbanistica per sani porti coloniali, 1750-1850 |
Coordinatori: Pedro Luengo (Universidad de Sevilla)
Email: pedroluengo@us.es
Tra il 1803 e il 1806 ebbe luogo la spedizione di Balmis, una missione sanitaria che permise all’impero spagnolo di vaccinare milioni di abitanti nell’America e nelle Filippine contro il vaiolo. Questa impresa era in tandem con i lavori di ingegneri militari che miglioravano l’organizzazione urbana di queste città dal punto di vista sanitario. La loro precedente attenzione su fortificazioni ed edifici civili era stata ampliata per includere la costruzione o il potenziamento di ospedali, mercati, macelli, giardini pubblici e cimiteri. Anche l’organizzazione interna degli edifici era stata influenzata, poiché sono state progettate nuove latrine, cucine e negozi. Inoltre, si prevedeva che l’approvvigionamento idrico e la distruzione delle mura urbane fossero effettuate per ragioni sanitarie simili. Sia nelle Americhe che in Asia, gli ingegneri militari hanno svolto un ruolo chiave nello sviluppo urbano e nella costruzione di questi edifici, poiché erano gli unici rappresentanti tecnici della Corona nelle colonie responsabili della salute e dell’incolumità della popolazione. Esempi degni di nota di queste iniziative sono già stati analizzati nella pianificazione urbanistica dei nuovi quartieri dell’Avana. La città murata fu ampliata con passeggiate come Tacon e Belascoain, dove furono costruiti nuove strutture sanitarie, tra cui la Casa de Sanidad Garcini e l’ospedale psichiatrico. Nell’ambito dello stesso sforzo furono progettati altri edifici, tra cui il macello e vari cimiteri. Oltre a identificare queste strutture, è necessario fornire un’interpretazione urbana su come tutti questi nuovi servizi sono stati organizzati spazialmente. Certamente, studi precedenti hanno affrontato questo argomento, considerando come gli ideali europei furono trasferiti o adattati nell’ambiente coloniale. Ciononostante, questa sessione mira a chiarire come le credenze locali sulla morte e le tradizioni riguardanti la cucina potrebbero aver influenzato lo sviluppo del movimento per l’igiene pubblica. A tal fine, la sessione incoraggia gli autori a fornire contributi basati su nuovi materiali d’archivio incentrati sugli spazi coloniali durante il suddetto periodo (1750-1850). Sono particolarmente incoraggiate proposte fortemente interpretative, ad esempio quelle che includono confronti trans-imperiali o trans-continentali.
1.2 Storia, memoria e oblio nei processi di trasformazione urbana in età contemporanea: memorializzazione, cancel culture, difficult heritage |
Coordinatori: Annunziata Maria Oteri (Politecnico di Milano – Dipartimento di Architettura e Studi Urbani), Nino Sulfaro (Università Mediterranea di Reggio Calabria)
Email: annunziatamaria.oteri@polimi.it
La cosiddetta cancel culture, recente e controverso fenomeno che tende a ostracizzare fatti e personaggi del passato sgraditi o rifiutati dalle comunità, ha riportato al centro del dibattito problematiche storico-memoriali associate a particolari avvenimenti storici, fra i quali soprattutto schiavitù e colonizzazione. Oggetto dell’annullamento più frequente sono i segni che occupano lo spazio pubblico: il déboullonage di statue di politici e personaggi storici, ad esempio, rivela un malessere generalizzato, originatosi da una forte crisi economica e culturale, ma soprattutto da questioni irrisolte di mancate pacificazioni storiche e sociali, di discriminazioni sempre più profonde, sulle quali è mancato un attivo intervento dello Stato nella doppia veste di agente memoriale e di educatore. A questi temi si associano quelli inerenti il cosiddetto difficult heritage che negli ultimi anni ha portato al centro dell’attenzione i processi di conservazione, valorizzazione e fruizione di patrimoni controversi.
Tali tematiche, tuttavia, non sono legate in via esclusiva all’attualità: l’età contemporanea è costellata di eventi che pongono al centro le questioni memoriali. Dall’iconoclastia della Rivoluzione francese, alla propaganda delle guerre mondiali, fino alla caduta dei regimi totalitari del Novecento, il rapporto con la storia e la memoria – ed il loro uso pubblico – ha inciso profondamente sulle trasformazioni dello spazio urbano e sull’adattamento delle città agli eventi traumatici.
La sessione proposta si pone come obiettivo di indagare gli esiti di tali processi dalla rivoluzione francese ai nostri giorni con particolare riferimento a uno o più dei seguenti possibili argomenti:
Difficult heritage: processi di conservazione, valorizzazione e fruizione di patrimoni controversi.
Odonomastica: regolamenti e normative, revisioni di stradari, cambiamenti dovuti ad eventi storici, recupero della toponomastica storica, etc.
Processi di rinnovamento urbano: demolizioni, restauri e/o ricostruzioni del patrimonio architettonico, realizzazioni di opere celebrative, rimozione di segni ereditati dai regimi totalitari e autoritari, etc.
Forme e processi istituzionali: commissioni istituzionali, programmi educativi, politiche culturali, amnistia, pacificazione sociale, commemorazioni, riconciliazioni, azioni civili, etc.
Il ruolo delle comunità: comitati e movimenti, manifestazioni e proteste, processi di partecipazione e inclusione, processi di esclusione, conflitti, etc.
1.3 Processo di acculturazione e i “Due Mediterranei”: Affiliazioni culturali in epoca moderna nelle città portuali del Mediterraneo e del Mar della Cina |
Coordinatori: Filomena Viviana Tagliaferri (ISEM-CNR)
Email: filovivi@gmail.com
Lo scopo di questa sessione è quello di costruire un confronto tra le città portuali mediterranee della prima età moderna come spazi plurali braudeliani e le enclavi coloniali del Mar della Cina dello stesso periodo. Il nostro obiettivo è di porre l’accento su come si possa osservare ed analizzare il processo di nei comportamenti quotidiani dei gruppi stranieri e dei migranti nelle città portuali dei “Due Mediterranei”, in equilibrio tra ibridazione e differenziazione dei comportamenti stessi.
Le città portuali in epoca moderna sono spazi plurali poiché le comunità vivono l’una accanto all’altra pur mantenendo le loro caratteristiche specifiche e sono parte di un sistema che le riconosce come diverse. La visibilità dello straniero è quindi centrale nella configurazione degli insediamenti urbani ed è altrettanto determinata dall’aspettativa di identificabilità propria delle autorità statali, visibilità che implica la riproduzione di pratiche materiali che danno forma alla vita quotidiana, permettendo di studiare ciò che uno specifico gruppo culturale considera come significativo. In questa prospettiva, l’identità è intesa come “modo di essere e fare”, ovvero è un modo di fare le cose nella vita quotidiana che coinvolge pratiche materiali, una identità concreta che porta gli individui ad auto-posizionarsi in relazione ad altri individui che vengono riconosciuti come simili o diversi in base al loro modo di fare le stesse cose.
Non avendo accesso a fonti orali per l’epoca moderna, la materialità è particolarmente significativa nello studio del pluralismo culturale deve essere intesa come la possibilità di ri-materializzare i principi della nostra conoscenza, raggiungendo una migliore comprensione del nostro rapporto con le cose. L’uso delle pratiche materiali come rivelatori della identità culturale permette di fare luce sui possibili modi in cui l’affiliazione culturale è stata incanalata nelle forme visibili della vita quotidiana.
I contributi dovranno essere incentrati sul modo in cui la coesistenza ha preso forma in diversi ambienti, attraverso l’analisi delle pratiche materiali in diverse città portuali. Lo scopo ultimo di questa sessione è quello di identificare un possibile modello per cui il pluralismo culturale tipico delle città portuali del XVII e XVIII Mediterraneo possa essere condiviso nello studio delle città portuali asiatiche interessate da un forte movimento di comunità straniere dovuto anche agli interessi coloniali degli europei.
1.4 La fotografia del trauma |
Coordinatori: Giuseppe Bonaccorso (Università di Camerino), Nicolò Sardo (Università di Camerino)
Email: giuseppe.bonaccorso@unicam.it
La sessione proposta, dal titolo “La fotografia del trauma”, cerca di indagare attraverso il medium della fotografia (ma anche dei video, dei reportage documentaristici e della filmografia) la cronaca dei terremoti, delle alluvioni, degli incendi e delle distruzioni dei recenti conflitti armati, che hanno provocato un improvviso cambiamento della morfologia del tessuto urbano delle città, dei borghi e dei territori durante il Novecento nell’area mediterranea.
In realtà l’intenzione è di narrare, attraverso le immagini, alcuni casi emblematici che possono essere messi a confronto nell’immediatezza sia post-sisma di località quali Messina (1908), il Friuli (1976), l’Abruzzo (1915, 2009), l’Irpinia (1980), l’Umbria e le Marche (1997) ancora le Marche, il Lazio e l’Umbria (2016), ma anche Skopje (1963), Zagabria (2020), sia post-eruzioni vulcaniche (Eolie nel 1930 e nel 1949) e post-alluvioni (Belice, Firenze, Venezia) oppure dopo le distruzioni causate dai bombardamenti o dalle campagne aeree nella prima e seconda guerra mondiale, nelle dispute sui Balcani (Dubrovnik) e nel Libano (Beirut).
Uno dei focus della sessione riguarda la “comparazione”. Quindi da un lato analizzare attraverso le immagini la situazione che si viene a creare nell’istantaneità del trauma ma, successivamente, il rispetto o meno dei programmi di ricostruzione, dopo un termine intermedio di circa un decennio. Sino a documentare poi, come alla fine del processo di ricostruzione il territorio sia stato riedificato, modificato o riadattato. Con la messa in evidenza anche di possibili insuccessi come, ad esempio, le case ancora oggi abbandonate e dirute degli esuli nei piccoli borghi istriani, oppure i paesi abbandonati a traccia di sé stessi come a Pescara del Tronto nelle Marche, oppure la trasformazione di luoghi pubblici quali musei o rotonde sul mare dopo le distruzioni della seconda guerra mondiale (il museo delle Navi romane a Nemi, o la rotonda di Ostia Lido). O ancora i campi minati nella ex-Jugoslavia, oppure i ponti costruiti, demoliti e ricostruiti nel nostro continente o la riedificazione di muri di confine entro i recinti europei dopo la crisi dell’immigrazione.
Quindi la fotografia, ma anche il video, quale forma di testimonianza e di studio della difficoltà della ripartenza in particolari teatri urbani (e paesaggistici) del trauma naturale o del trauma provocato dall’uomo.
1.5 Urbs e/o civitas. Città e cittadinanza alla prova dei cambiamenti traumatici |
Coordinatori: Simone Mollea (Università degli Studi di Torino), Elisa Della Calce (Università degli Studi di Torino), Alberto Crotto (Università degli Studi di Torino), Ermanno Malaspina (Università degli Studi di Torino)
Email: simone.mollea@unito.it
Fin dall’antichità, le città si sono trasformate per effetto dei cambiamenti di cui sono state, a un tempo, soggetti attivi e oggetti diretti. Ma che cosa si intende per “città”? Gli antichi Romani distinguevano tra civitas e urbs, indicando con la prima la comunità sociale degli abitanti e con la seconda la conformazione architettonica dell’abitato. Nel corso della storia, questi due concetti non sono sempre stati in sintonia. In particolare, nei momenti di crisi, si è spesso privilegiato uno dei due. Nel passato di Roma, ad esempio, lo storico Tito Livio racconta che l’eroe nazionale Camillo dissuase la cittadinanza (intesa come civitas) dall’abbandonare l’Urbe devastata dall’invasione dei Galli e dal trasferirsi in altra sede, perché questa scelta avrebbe comportato la perdita dell’identità nazionale romana. Per contro, la città (urbs) può essere sacrificata per il bene superiore della civitas, come fu il caso della Mosca di età napoleonica. Venendo a tempi più recenti, il trauma patito da una civitas può trasformarsi in un’occasione di memoria della vecchia urbs, come simboleggiato dal Cretto di Burri, costruito per tenere vivo il ricordo di una Gibellina pre-terremoto.
Alla luce di tali considerazioni, si invitano proposte di intervento riguardanti l’impatto che le modifiche della città hanno esercitato sulla cittadinanza e i suoi valori fondanti. Queste alterazioni potrebbero dipendere da cambiamenti traumatici a livello storico, socio-politico, ambientale, culturale e religioso. Approcci multidisciplinari relativi al periodo che va dall’antichità all’età contemporanea, sia in Oriente sia in Occidente, sono caldamente incoraggiati.
1.6 Le città-porto nella nuova geografia adriatica post Grande guerra (1919-1939) |
Coordinatori: Antonello Alici (Università Politecnica delle Marche), Francesco Chiapparino (Università Politecnica delle Marche), Patrizia Dogliani (Università di Bologna), Guido Zucconi (Università Iuav Venezia)
Email: a.alici@univpm.it
Le città-porto nella nuova geografia adriatica post Grande guerra (1919-1939) Con la caduta dei due grandi imperi (asburgico e ottomano), con la nascita di nuovi stati (la Jugoslavia e l’Albania) si crea un nuovo quadro politico ed economico entro il quale le città-porto ridefiniscono il proprio ruolo e il rapporto con il territorio circostante. A questo si aggiungano altri fattori, come le mire italiane sulla cosiddetta “terza sponda” e la definitiva presenza greca nella porzione di sud-est: tutto ciò favorisce il rimescolamento di ruoli e funzioni soprattutto nei centri portuali posti lungo la riva orientale dell’Adriatico. Trieste e Fiume perdono il grado di “porti privilegiati”, Pola non è più la principale base della Marina asburgica, Spalato diventa il porto della nuova Jugoslavia, Zara diventa una modesta enclave ultramarina, Bar, Valona ed Igoumenitsa si aprono a nuove prospettive di sviluppo. All’interno della nuova geografia adriatica, il vento della trasformazione investe anche le città-porto della sponda occidentale, specie quelle che hanno maggiori contatti con l’altra riva. Sui due lati si progettano nuovi scali (Venezia, Ravenna, Bar, Valona), mentre Ancona, pur con alterne fortune, conferma il suo ruolo strategico nei rapporti con l’Oriente. Per le città di entrambi i fronti, solleviamo le seguenti questioni: ciascuna città-porto si è adattata al nuovo quadro, come è cambiata la sua topografia, e la vita economica-sociale? In quale misura ne ha ricavato ragioni di espansione e, al contrario, quali sono stati i riflessi un declino temporaneo o definitivo? Come si modificano i rapporti tra centro, aree portuali e quartieri di espansione, quali modelli di pianificazione vengono adottati? Questa proposta, a nostro avviso, è coerente con il tema generale “le città di fronte ai grandi mutamenti epocali”.
1.7 Il mercato come struttura pubblica tra continuità, adattabilità e cambiamento, a partire dal XIX secolo |
Coordinatori: Nadia Fava (Universitat de Girona)
Email: nadia.fava@udg.edu
Il mercato pubblico: tra continuità, adattabilità e cambiamento. Il mercato, come spazio urbano di scambi e relazioni, è stato interpretato come una delle istituzioni pubbliche che sostengono il ruolo storico della città in stretta relazione con il territorio produttivo agricolo e industriale. Questa istituzione, vincolata alle politiche pubbliche di consumo, non solo ha plasmato il suo spazio, ma ha anche dato forma, funzione e valore sociale a intere parti della città. Questa istituzione di origine antica persiste, si ristruttura e si modifica nelle forme, nei formati e nei ruoli che si sono evoluti fino ai giorni nostri, esemplificando i luoghi della vita quotidiana e della convivialità. L’analisi del contesto urbano, socio-politico, storico, normativo e scientifico-tecnologico ci permette di comprenderne le singolarità e, allo stesso tempo, di individuare aree di studio comparativo. Adesso che la crisi sanitaria ha messo in evidenza la fragilità globale del sistema alimentare e del commercio al dettaglio, questa sessione si interroga, in primo luogo, su quali siano stati i momenti di crisi dei mercati pubblici, sedentari o settimanali e, in secondo luogo, quali siano state le ragioni di questa capacità di adattamento e, viceversa, quali siano stati i momenti di cambiamento o di innovazione in risposta alle crisi e come questi “movimenti” abbiano influenzato la vita commerciale circostante, la forma della città e le pratiche sociali legate al consumo e il cibo. L’ipotesi è che le cause siano da ricercare nel rapporto tra il “modello” di mercato e la vita urbana in fattori di differenti categorie come la cultura e i sistemi sociali della città, la struttura di governo, il livello di ricchezza, la dimensione della città, i sistemi di trasporto esistenti, gli standard di igiene e sicurezza, il rapporto città-campagna, l’emergere di nuovi sistemi di vendita al dettaglio, la presenza del turismo e altri elementi comparativi. La sessione si chiede anche come questa istituzione, grazie alla sua adattabilità non solo nel tempo ma anche nello spazio e nella società, sia stata oggetto di trasmissione di modelli urbani, sociali o architettonici in contesti culturalmente diversi, ad esempio nel Meditteraneo o el Mar de la Cina, e quali siano stati i risultati di queste creolizzazioni e come abbiano apportato elementi di innovazione o di rottura.
1.8 L’impatto della ricostruzione degli edifici ecclesiastici dopo le distruzioni belliche |
Coordinatori: Michela Pirro (Università degli Studi ‘Gabriele d’Annunzio’ di Chieti)
Email: michela.pirro@unich.it
Mentre è difficile da definire il “senso del luogo”, i ricordi di questo sono spesso associati all’ambiente costruito e sono fissati nella memoria visiva di chi li abita. Gli edifici religiosi, in particolare, sono simboli sociali e culturali e luoghi in cui la stratigrafia storica e la memoria collettiva si sono consolidati. Sono artefatti urbani chiave per la città e la comunità, eppure sono stati – e sono tutt’oggi – costantemente colpiti da eventi catastrofici naturali e antropici. L’ambiente costruito storico richiede cure immediate dopo questi eventi, ma in molti casi approcci rapidi di ricostruzione, per riportare in vita questi luoghi, sono stati guidati più da fattori economici e politici. La ricerca propone una indagine sulla tematica della ricostruzione degli edifici ecclesiastici, nelle regioni dell’Italia centrale quali l’Abruzzo e il Molise, a seguito del Secondo Conflitto bellico, guidata dalla Pontificia Commissione Centrale per l’Arte Sacra in Italia. La Commissione seppe inserirsi nel fervente dibattito sulla ricostruzione del secondo dopoguerra, grazie alla presenza tra i suoi consultori di nomi rilevanti nel campo delle già affermate teorie del restauro, e che seppero riaffermare la propria presenza, le proprie idee e trovare un nuovo ruolo all’interno della Commissione. La ricostruzione delle chiese ebbe un significato profondo: ricostruire non solo edifici, ma l’intima anima di un paese sconvolto dagli accadimenti bellici. Un punto di partenza necessario per sanare le ferite di guerra e riprendere la vita nelle comunità. La ricostruzione delle chiese, parte di una visuale fissata nella tradizione, fu considerato un punto imprescindibile per la rinascita, e anche quando prive di valore artistico così strettamente legate al passato da diventare forma rappresentativa e carica di significato. Gli esiti che ne scaturirono furono i più disparati. La lunga ricostruzione delle chiese danneggiate, oltre che con grande varietà di soluzioni, condotte con una carenza di indirizzi metodologici unitari ha dato vita ad un quadro complessivo frammentato, discontinuo e ricco di progetti e realizzazioni con episodi di qualità variabile. La ricerca mette in luce come questi diversi approcci alla ricostruzione abbiano avuto un impatto sui valori sociali di questi luoghi, e come i ripristini abbiano invece consolidato il senso del luogo, rafforzando il concetto di memoria ed identità urbana come un modo di rinascita fisica, sociale e culturale.
1.9 Frammenti per ricostruire la memoria. Sopravvivenza, riuso e oblio del patrimonio dopo la catastrofe (XV-XVIII sec.) |
Coordinatori: Armando Antista (Università degli Studi di Palermo), Gaia Nuccio (Università degli Studi di Palermo)
Email: armando.antista@unipa.it
Nelle città europee e mediterranee segnate in età moderna dai violenti traumi arrecati da disastri naturali e non, le architetture del passato, o le loro parti superstiti, costituiscono spesso autentiche cicatrici, cui è affidato il compito di custodire e tramandare la memoria nel cambiamento, come anelli di congiunzione tra la condizione urbana precedente e quella successiva al trauma. Tali segni sono esito di processi decisionali non sempre lineari, mutevoli nelle diverse fasi della ricostruzione, riflesso di un sentimento comunitario ma soggetti all’oscillazione dei rapporti di forza e alle vicende politiche e amministrative che governano il cambiamento. La sessione proposta intende esplorare le modalità attraverso cui i contenuti simbolici e identitari attribuiti dalla comunità ai manufatti architettonici sono in grado di orientare le scelte di natura architettonica e urbanistica, interferendo con le logiche di convenienza e rapidità di intervento, con le istanze del rinnovamento e con i meccanismi sociali, politici, economici e culturali di reazione all’evento traumatico. Tali dinamiche si offrono, infatti, quale motore per il travagliato processo di riconoscimento del valore di “patrimonio” da parte della collettività a fabbriche, o frammenti, da mantenere, trasformare, o smantellare dopo la catastrofe. L’interesse è rivolto, dunque, a contributi che mettano in luce il ruolo dell’architettura quale dispositivo di memoria nei processi di ricostruzione delle città e dell’identità collettiva. Tra le possibili tematiche: – il valore materiale e simbolico della rovina integrata nella fase di ricostruzione o dell’elemento architettonico risemantizzato in un nuovo contesto; – le ricadute nelle scelte operate alla scala urbana; – i luoghi della città come serbatoio di memoria; – il peso delle architetture del passato nell’immagine della città; – la natura comunitaria dei dibattiti sorti intorno agli interventi progettuali; – la capacità delle architetture scomparse di condizionare le forme della ricostruzione.
1.10 Trasformazioni della cultura urbana levantina: dall’apertura del Canale di Suez alla fine dell’Impero ottomano |
Coordinatori: Paolo Girardelli (Boğaziçi University), Guido Zucconi (Università Iuav di Venezia), Malte Fuhrmann (Leibniz-Zentrum Moderner Orient)
Email: girardel@boun.edu.tr
Con l’apertura del Canale di Suez (1869), un nuovo regime di sviluppo commerciale, e le dinamiche semi-coloniali implicite in un accesso elitario alla tecnologia e ad altre risorse, trasformano molti centri costieri del Mediterraneo orientale in città – emporio. I contributi a questa sessione discuteranno criticamente la natura di questo spazio plurale, valutandone le dinamiche di incontro e di tensione, le costruzioni spaziali dell’identità, il legame fra spazio urbano e mobilità socio-culturale.
1.11 Ri-costruzioni. L’Italia sismica da Messina 1908 a oggi |
Coordinatori: Federico Ferrari (École nationale supérieure d’architecture de Nantes / UMR AUSser-ACS École nationale supérieure d’architecture Paris), Malaquais Alessandro Benetti (Université Rennes 2), Emma Filipponi (École Spéciale d’Architecture – Paris / UMR AUSser-ACS École nationale supérieure d’architecture de Paris Malaquais)
Email: federico.ferrari@paris-malaquais.archi.fr
Il fenomeno sismico rappresenta l’evento traumatico per antonomasia. Momento di crisi imprevedibile, esso si fa rivelatore delle problematiche di un territorio e delle strategie messe in campo per rispondere a uno sconvolgimento generalizzato e improvviso, tanto nelle sue forme materiali che in quelle immateriali. In questo quadro, per la frequenza e l’entità dei sismi che hanno colpito il paese, il “caso italiano” acquisisce un valore emblematico, perché permette di mettere in luce l’evoluzione delle pratiche, emergenziali e non, attraverso le quali la società ha saputo reagire e reinventarsi. Le successive ri-costruzioni hanno sempre comportato un’importante componente simbolica e il progetto architettonico, urbano e territoriale è stato chiamato frequentemente, da molti degli attori in campo, a incarnare questa volontà di rinascita.
Ricerche puntuali e approfondite sono state dedicate a questo tema da numerose discipline,
a testimonianza della ricchezza degli approcci possibili. Sebbene d’indubbio valore, la maggior parte di queste riflessioni sono state sviluppate a caldo, dopo ogni singolo evento sismico. Ci sembra mancare, al contrario, uno sguardo d’insieme, che testimoni al contempo della profondità storica della questione e delle diversità dei territori investiti da tali fenomeni profondamente traumatici. Da Messina nel 1908 al Centro-Italia nel 2017, dal Friuli-Venezia Giulia al Belice, è oggi necessario e urgente elaborare una visione comparativa che si sviluppi lungo tutto il secolo. Paese palinsesto, ibrido e stratificato, sfuggente a tentativi interpretativi di tipo formale e storicamente univoci, l’Italia costituisce l’ambito geografico di riferimento inevitabile e ideale per questa sessione.
Saranno privilegiate in questa sede proposte dedicate a casi-studio specifici e/o a comparazioni tra casi-studio, provenienti da diversi ambiti disciplinari: analisi storiche con una forte componente interpretativo-progettuale legata ad un sito ben preciso; o proposte teorico-progettuali informate ad un atteggiamento analitico dallo spesso sostrato storico.
Le proposte potranno inquadrarsi in uno o più dei tre ambiti di riflessione qui elencati e riferirsi alle loro parole chiave. Tali ambiti non sono da considerare in alcun modo limitanti o esaustivi:
- Ambito storico-culturale: luogo, identità, paesaggio
- Ambito sociologico-politico: abitanti, processi decisionali, politiche
- Ambito architettonico-tecnologico: architettura, patrimonio, tecnologia
1.12 Enclave extraterritoriali nei circuiti della globalizzazione del XIX secolo e della prima metà del XX secolo |
Coordinatori: Cristina Pallini (Politecnico di Milano), Vilma Hastaoglou Martinidis (Aristotle University of Thessaloniki)
Email: cristina.pallini@polimi.it
La presenza di enclave extraterritoriali nelle città porto del Mediterraneo, documentata dal Medioevo, era basata sulle Capitolazioni: accordi bilaterali che regolavano l’insediamento delle minoranze allogene organiche al commercio internazionale. Grazie alle Capitolazioni, gli individui godevano di una condizione di extraterritorialità, sotto la giurisdizione di un’autorità consolare per ogni controversia giudiziaria, tra stranieri o con la popolazione locale. Per cogliere gli effetti di questo regime sullo spazio e l’ambiente costruito, basta pensare a San Giovanni d’Acri, dove sono ancora presenti i quartieri delle repubbliche marinare italiane.
Nella maggior parte degli stati musulmani affacciati sul Mediterraneo le Capitolazioni determinavano l’habitat della popolazione in transito. Presero forma definitiva con il negoziato fra il Sultano e la Francia (1536), e proliferarono nel XVIII secolo, conformando gli Scali del Levante allo sviluppo del capitalismo mercantile, sostenuto dalla creazione di società e compagnie che, sul posto, beneficiavano dell’appoggio dei consoli e degli ambasciatori. In questo contesto, le “enclave extraterritoriali” non devono essere confuse con le colonie instaurate con l’uso della forza militare.
Spostando l’attenzione dalla specificità dei contesti geografici, alle ragioni insediative, proponiamo un confronto tra il Mediterraneo e l’Estremo Oriente. Queste “isole nelle città” – riservate al commercio, al culto, all’istruzione o all’assistenza – ci spingono a interrogarci anche sulla loro specifica caratterizzazione e possibile attualizzazione.
Dando risalto alla spazializzazione dei termini giuridici dell’insediamento, questa sessione si concentra sugli assetti spaziali e architettonici, gli aspetti innovativi degli ”innesti urbani” e gli attori (individui e società) ai cui possono essere ricondotti.
Invitiamo i partecipanti a concentrarsi su quanto segue:
- la relazione tra enclave extraterritoriali e impianto infrastrutturale (porti, ferrovie e strade);
- Il trapianto di modelli, per la residenza, gli spazi pubblici, le strutture commerciali e produttive, gli edifici comunitari (culturali / educativi / assistenziali);
- La differenza rispetto alla realtà locale (nuove tipologie, tecniche e materiali costruttivi);
- Gli aspetti di queste enclave che possono essere attualizzati.
1.13 Ripensando alle strategie urbane dopo la crisi petrolifera degli anni settanta. Nuove sfide, nuovi tipi di mobilità alla luce della svolta ecologica |
Coordinatori: Marianna Charitonidou (Faculty of Art History and Theory of Athens School of Fine Arts, Athens), Massimiliano Savorra (Università di Pavia), Guido Zucconi (Università Iuav di Venezia)
Email: charitonidou.marianna.think@gmail.com
Nel 1973, in seguito alla decisione di decuplicare il prezzo del petrolio, sia gli specialisti sia l’opinione pubblica ebbero l’impressione di trovarsi alla fine di un’epoca, quella segnata dal modello di sviluppo illimitato. L’anno prima, da un rapporto firmato da un misterioso “Club di Roma” e intitolato “I limiti dello sviluppo”, erano emerse drammatiche conclusioni circa l’insostenibile rapporto tra le risorse (limitate) e l’aumento (esponenziale) della domanda: nessuno mise in discussione lo studio che era il frutto di una ricerca compiuto dall’MIT con l’ausilio di un elaboratore elettronico. Già nel 1961, con il libro The Life and Death of the Great American Cities, Jane Jacobs aveva messo sotto accusa la tendenza alla crescita dei sobborghi americani e al contemporaneo abbandono delle aree centrali. Poi negli anni settanta, in una fase di disorientamento con punte di panico, venne anche il tempo per una più meditata riflessione con ampie ricadute su molti settori: dal controllo dell’economia nazionale alla pianificazione urbanistica; il riferimento era in particolare ad un uso più saggio delle risorse disponibili, ivi incluso il patrimonio edilizio e l’ambiente naturale.
In quegli anni, il dibattito internazionale si divise tra una critica serrata modello di “slum clearence” e “urban renewal”, e la ricerca di un più equilibrato rapporto tra attività umane e risorse disponibili nel nome di un nuovo concetto: “l’ecologia”. Verranno poi le proposte basate su di una “nuova mobilità” con incentivi al trasporto pubblico e disincentivi all’uso del mezzo privato. Partendo da queste premesse, le proposte dovranno vertere su alcuni quesiti:
• Quale è stato l’impatto della crisi petrolifera sulla città e come è cambiato il modo di leggere la struttura urbana?
• La proposta di riuso del patrimonio edilizio -come nel piano di Bologna del 1974- ha rappresentato una vera alternativa allo sviluppo illimitato?
• Quali sono stati i riflessi di tutto questo nelle politiche per la casa?
• Possiamo parlare di continuità con quanto oggi si afferma in materia di risparmio energetico?
• I modelli per una “nuova mobilità” hanno avuto un peso effettivo nel mutare il rapporto tra mezzi pubblici e privati nella geografia degli spostamenti quotidiani?
• In che modo l’attuale crisi ecologica può avvalersi di esperienze passate e in che modo la tecnologia può dare un efficace contributo?
1.14 Il lavoro femminile come fattore di adattamento alle trasformazioni industriali |
Coordinatori: Paola Lanaro (Università Ca’ Foscari Venezia), Giovanni Fontana (Università degli Studi di Padova)
Email: lanaro@unive.it
Il lavoro femminile ha svolto un’importante funzione come fattore di interconnessione col mondo rurale e di graduale adattamento alle trasformazioni dei contesti di vita e di lavoro indotte dai processi di industrializzazione. La sessione intende affrontare questa tematica in tutta la sua complessità e in una prospettiva di lunga durata: dal lavoro domestico nei sistemi di industria a domicilio alle grandi manifatture degli Stati moderni (come le manufactures royales o l’Arsenale di Venezia, prima forma di grande impresa, dove lavoratori maschi e donne operaie, le velere, lavoravano in contiguità), dall’insediamento delle prime grandi fabbriche del settore tessile allo sviluppo di fondamentali comparti come quello della filatura serica. Si tratta di mettere a fuoco ruoli e funzioni, competenze (ad es. nella filatura) e attitudini fisiche (ad es. nel ricamo) e comportamentali, meccanismi di inserimento nei processi produttivi, vantaggi competitivi assicurati dal lavoro femminile (ad es. in termini di migliori prestazioni e minore costo del lavoro), compatibilità con l’organizzazione familiare, forme di disciplinamento, relazioni interne alla fabbrica e conflittualità sul lavoro. Saranno apprezzati contributi su tutti questi temi, specialmente se basati, per l’età contemporanea, su materiali visuali, memorie e fonti orali.
1.15 Benefattori ed Euergetes in Oriente e in Occidente. Il loro ruolo nella modernizzazione delle loro terre d’origine (1830-1930) |
Coordinatori: Heleni Porfyriou (CNR – Istituto di Scienze del Patrimonio Culturale), Vilma Hastaoglou-Martinidis (Aristotle University of Thessaloniki), HAN Jie (Xiamen University)
Email: heleni.porfyriou@cnr.it
AISU Panel
Con la dichiarazione di indipendenza della Grecia nel 1821 e la costituzione del nuovo stato molti greci della diaspora (fra cui Σινα, Ζαππας, Τοσιτσας, ecc.) decisero di prendere parte alla costruzione della nazione con azioni filantropiche e attività euergetiche (cioè, contribuendo al edificazione di strutture pubbliche a fronte di pubbliche onorificenze). “Lo scambio di benefici per onori”, come Gygax (2020) definisce l’euergetismo, era un’istituzione diffusa nell’antichità greca e romana. L’euergetismo nazionale, diventa un fenomeno ben noto e ampiamente studiato in Grecia, con una propria festa il 30 settembre e una serie speciale di documentari (https://www.ert.gr/ellinika-docs/diaspora-paroikies-eyergesia-ert/) prodotta in occasione del 200° anniversario dell’indipendenza greca.
Fenomeni simili hanno probabilmente riguardato altri importanti movimenti diasporici, come quello armeno ed ebraico, per citare i più noti nel Mediterraneo europeo, o quello della Cina meridionale (delle regioni del Fujian e del Guangdong) nel ‘Mediterraneo orientale’ (noto come mar della Cina). I forti legami che i cinesi d’oltremare avevano mantenuto con le loro città natali sono ben documentati e il loro contributo allo sviluppo delle città natie, in termini economici, sociali e culturali ampiamente riconosciuto. Studi recenti sull’argomento hanno anche rivelato il loro ruolo nel periodo di transizione intorno alla fine del secolo scorso quando, con la caduta della dinastia Qing, l’obiettivo di modernizzazione della patria riportò molti di loro a casa.
Lo scopo di questa sessione è di evidenziare i contributi urbani, architettonici e amministrativi che le persone della diaspora hanno dato alla costruzione di nuovi stati-nazione o alla modernizzazione delle loro terre d’origine, sia in termini ideologici, che economici e di trasferimento culturale. Invitando proposte per paper dai ‘due Mediterranei’, la sessione mira a promuovere un approccio di ricerca comparata e a mettere in discussione l’uso esclusivo del concetto di euergetismo – un’istituzione tipica della Grecia antica — utilizzandolo pure in altri contesti.
1.16 Nuove tipologie di edifici commerciali nel Mediterraneo orientale: 1840-1930 |
Coordinatori: HAN Jie (Xiamen University), CAO Chunping (Xiamen University)
Email: hj@xmu.edu.cn
Gli anni tra il 1840 e il 1930 nel sud-est asiatico e più precisamente nel sud della Cina sono caratterizzati da un forte movimento di modernizzazione e trasformazione urbana, dovuto principalmente alla colonizzazione e all’apertura dei Treaty ports. In questo periodo di transizione, significativi scambi culturali, fra est e ovest, sono verificati in diversi campi.
Questa sessione si concentra sull’emergere di una nuova tipologia edilizia ad uso misto ampiamente nota come Qilou. Alla tipologia di Qilou appartengono le così dette “case lunghe a cinque piedi”, nate dalla contaminazione di modelli locali e stranieri; gli edifici porticati allineati lungo strade commerciali — o che incorniciano mercati — ospitanti usi residenziali ai piani superiori e commerciali a piano terra.
Sebbene la bibliografia sull’argomento sia ricca, restano aperte diverse questioni, riguardanti non solo l’impatto della cultura locale (in termini edilizi, architettonici e spaziali) sui modelli importati, ma anche il ruolo dei cinesi d’oltremare (Straits Chinese) in questo processo di acculturazione e dei loro riferimenti culturali regionali. In questo senso, la sessione si propone di affrontare i seguenti temi:1) scambi interculturali: percorsi di scambio, forze trainanti e sviluppi locali e regionali; 2) tipologia edilizia: prototipo, tipologie e processo tipologico, modalità e modelli; 3) adattamenti e acculturazione: adattamenti locali dovuti al clima, al sistema sociale, ai modelli commerciali, alla tecnologia, alle tradizioni spaziali e alle gerarchie di layout, alle tecniche costruttive, ai materiali e all’artigianato.
La ricerca sulle suddette questioni di fertilizzazione incrociata è estremamente importante, al giorno d’oggi, per promuovere un futuro più sostenibile e adattivo e un confronto significativo tra l’Asia orientale e il Mediterraneo europeo.
1.17 Tabula rasa: le reazioni ai traumi della ricostruzione tra Occidente e Oriente |
Coordinatori: Pina (Giusi) Ciotoli (Università di Roma La Sapienza), Marco Falsetti (Università di Roma La Sapienza)
Email: ciotoligiusi@gmail.com
I primi cinquant’anni dello scorso secolo hanno visto l’emergere delle potenze Orientali. Prima il Giappone, dunque la Cina, l’Oriente ha più volte dato prova di possedere gli strumenti per operare una risposta alle criticità politico-economiche del momento. Si prenda il caso del Giappone, che all’inizio del secolo soffre le conseguenze di una terribile catastrofe naturale – il terremoto del Kanto, che quasi completamente distrugge Edo – per poi rinascere e affrontare la crisi socio-economica che ne è seguita attraverso politiche di modernizzazione della città, investimenti sulle linee infrastrutturali e finanche, attraverso una svolta militarista e coloniale. All’estremo opposto, un vasto segmento dell’Europa nord-orientale che comprende gli Stati Baltici, la Prussia orientale (oggi parte della Federazione Russa), la Polonia e la Germania, ha visto più volte minacciata la propria esistenza dagli eventi politico militari scaturiti dalla dissoluzione dei grandi imperi prima, e dalla seconda guerra mondiale poi.
Sebbene siano due ambiti culturali distinti quanto singolari, è interessante affrontare il duplice tema distruzione/ricostruzione in una prospettiva comparata dalla quale confrontare le difficoltà e le risposte espresse attraverso i numerosi progetti architettonici proposti, espressione di una singolare volontà critica ma anche di una congenita adattabilità.
Il confronto proposto attraverso la presente sessione intende mettere in luce, attraverso un approccio interdisciplinare, le diverse politiche sociali, urbane, e anche gli studi sulla città che sono stati affrontati nei due ambiti di riferimento dagli anni Cinquanta in poi, mettendo in evidenza la differente risposta alla tabula rasa.
La sessione è rivolta a studiosi interessati ad evidenziare le diverse risposte dei contesti presi a riferimento (Giappone, Nord-Europa, Italia) rispetto al trauma della distruzione, con particolare riferimento alla natura e alla validità delle “immagini” della ricostruzione, al rapporto tra memoria collettiva e memoria architettonica e finanche, al tema del “centro storico” inteso quale attrattore civile e culturale della comunità.
1.18 Spazio pubblico ed estetica urbana nelle città del secondo dopoguerra: ricostruzione, trasformazione e innovazione |
Coordinatori: Adele Fiadino (Università degli Studi “G. d’Annunzio” di Chieti-Pescara), Lucia Serafini, (Università degli Studi “G. d’Agmail.comnnunzio” di Chieti-Pescara), Carolina De Falco, (Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”)
Email: fiadino@unich.it
“La città non è fatta solo di addizioni di alloggi. La città è fatta anche di servizi, attrezzature, infrastrutture, spazi vuoti, spazi aperti, giardini […] e l’abitare avviene nell’insieme di queste attività svariate” sosteneva Giancarlo De Carlo nel secondo dopoguerra. L’importanza dei luoghi sociali, riscoperta anche durante la pandemia, si rafforza sempre a seguito della sua interdizione per eventi traumatici, come quelli bellici.
La sessione intende quindi accogliere contributi per riflettere sulla questione dello spazio pubblico secondo un’ampia casistica (ricostruzione/trasformazione/restauro/adattamento/creazione) in rapporto al più generale processo di cambiamento della città, come articolato da Piccinato durante il Comitato Internazionale Rencontre des Architectes tenutosi a Varsavia nel 1954, basato su tre linee: la ricostruzione di città danneggiate e distrutte; la trasformazione di città esistenti; la costruzione di nuove città, o anche quartieri.
Del resto, lo spazio pubblico, dalla piazza fino alla strada commerciale pedonalizzata, come il Lijnbaan a Rotterdam, è frutto di esiti comuni che uniscono, in un rapporto relazionale, struttura sociale, urbanistica e architettura. Ogni società, come sostenuto anche da Le Corbusier e Sert, dovrebbe forgiare lo spazio in cui vive in relazione alla propria cultura e al proprio contesto ambientale.
I partecipanti sono inoltre invitati a soffermarsi non solo sugli aspetti storici, ma anche sui criteri progettuali o di restauro adottati negli eventuali casi di studio, valutandone criticamente gli impatti, positivi o negativi, che essi hanno eventualmente innescato nella cultura urbana della città contemporanea.
Macrosessione 2. Adattabilità sul lungo periodo e in circostanze normali |
2.1 “Megastrutture”, fra welfare e nuove forme dell’abitare. Enclave o spazi di resilienza sociale e insediativa? |
Coordinatori: Patrizia Montuori (Università degli Studi dell’Aquila, Dipartimento di Ingegneria Civile, Edile-Architettura e Ambientale (DICEAA)), Patrizia Battilani (Università di Bologna), Paola Rizzi (Università di Sassari)
Email: patrizia.montuori@univaq.it
Gli interventi per fornire un alloggio, temporaneo o permanente, alle fasce sociali svantaggiate sono molteplici nelle diverse epoche storiche: dagli alberghi dei poveri, ai falansteri, alle case popolari. Spesso il loro disegno è parte di una progettazione più ampia di welfare state locale/nazionale, sia d’iniziativa pubblica sia privata, che comprende anche altri servizi (educativi, culturali, ricreativi etc.). Inoltre essi hanno contribuito alla costruzione o ridefinizione di parti della città storica e contemporanea. Molti di questi interventi sono accomunati da una “polifunzionalità iscritta entro una struttura-cornice che racchiude tutte le funzioni di una città o di una sua parte” (Maki F., 1964), e da una “evidenza megasegnica e monumentale in un contesto territoriale dato” (Crispolti E., 1979). Caratteristiche di quelle che, sulla scia del plan Obus per Algeri di Le Corbusier (1932), dagli anni Sessanta s’inizia a definire “megastrutture”. Si tratta, infatti, d’interventi di grande dimensione, che comprendono varie funzioni (residenza e servizi) e che sperimentano un nuovo modello di convivenza con fini assistenziali per i più “deboli”: i poveri degli alberghi sei-settecenteschi e anche contemporanei, come la Citè de Refuge di Le Corbusier; gli operai delle strutture residenziali/produttive (höfe, fabbriche modello, villaggi industriali etc.); gli inquilini dei quartieri di edilizia pubblica (INA-Casa, P.E.E.P., housing sociale). “Città nelle città” idealmente autosufficienti ma, spesso, anche enclave integrabili con difficoltà nel contesto urbano. Il concetto di megastruttura sottende una molteplicità di aspetti (architettonici, urbanistici, economici, sociali) che percorrono “trasversalmente” la storia dell’architettura, della città e del welfare. La sessione vuole proporre una lettura estensiva di tali megastrutture, stimolando un approccio comparativo e di lungo periodo con l’obiettivo di comprendere: -le differenti relazioni con la città storica e/o contemporanea e il loro grado di adattabilità architettonica, insediativa, economica e sociale; -a quali concezioni di rapporto tra le classi sociali e disegno delle politiche di welfare fanno riferimento; -il loro ruolo attuale nella città storica e/o contemporanea (enclave o spazi di resilienza sociale e insediativa) e le strategie di recupero/ riuso/integrazione attuate o da attuare.
2.2 Norme e regole, tra adattamento e resistenza, nella città e negli insediamenti: la documentazione d’archivio e la costruzione reale |
Coordinatori: Chiara Devoti (Politecnico di Torino), Enrica Bodrato (Politecnico di Torino), Zsuzsanna Ordasi (Università Károli Gáspár della Chiesa Riformata Ungherese, Budapest)
Email: chiara.devoti@polito.it
AISU panel
La sessione parte dal presupposto della imprescindibilità della documentazione, in particolare quella d’archivio (anche recentissima) per la lettura dei processi di trasformazione delle città e degli insediamenti, proponendo una interpretazione che – sul lunghissimo periodo e sulla più vasta estensione geografica – leghi documenti, scritti, disegni, norme e regolamenti alle reali soluzioni nell’ambito di città, o parti di questa, insediamenti e poli territoriali. Particolare attenzione sarà assegnata alla verifica della rigidità di alcune disposizioni (politiche, sociali, amministrative, religiose, cultuali e culturali, …), apparentemente indeflettibili, e viceversa alla loro capacità di mutare e adattarsi nel contesto reale e soprattutto nello sviluppo degli insediamenti stessi, a cominciare proprio da quello urbano, dove le istanze si moltiplicano, intersecano tra di loro e possono, evidentemente, entrare in conflitto. Margini e termini che appaiono contraddistinti da una ben precisa regola (luoghi esenti, di matrice civile e religiosa, spazi riservati a settori specifici della popolazione come monasteri e conventi, nosocomi, caserme, luoghi di formazione, istituti, etc.) possono essere stati l’emblema della applicazione di una norma e quindi essere apparsi rigidissimi, per poi invece dimostrare una insospettabile adattabilità in condizioni di crisi, ma anche e soprattutto, nel contesto della naturale trasformazione delle logiche insediative e delle esigenze della società. Dei processi che definiscono le regole e le prescrizioni, così come della loro applicazione e del loro eventuale adattamento non manca la documentazione, rintracciabile in luoghi disparati, allargando la nozione stessa di archivio, che in questa sessione non si intende solo nell’accezione di luogo fisico di raccolta di documenti, ma nel senso più ampio di serbatoio di memoria. La sessione si pone quale finalità primaria di costituire uno spazio aperto alla presentazione di ricerche concluse, in corso, intuizioni che si vogliano mettere a confronto, in qualsiasi sezione storica e contesto territoriale, in una logica compartiva e con approccio critico, anche a carattere multidisciplinare.
2.3 Uno “Stato nello Stato”: città e Ordine di Malta tra persistenza e nuove adattabilità |
Coordinatori: Federico Bulfone Gransinigh (Università “G. d’Annunzio” di Chieti-Pescara), Valentina Burgassi (Politecnico di Torino –École Pratique des Hautes Études, Sorbonne)
Email: federico.bulfonegransinigh@gmail.com
L’Ordine di San Giovanni vanta indiscutibilmente una storia millenaria: tale istituzione, vero e proprio “Stato nello Stato”, dalla duplice natura religiosa e militare, sopravvive ancora oggi. Proprio per questa sua versatilità, l’Ordine si è saputo adattare nei secoli superando di volta in volta condizioni assai complesse: dalla sua costituzione a Gerusalemme, poi a Cipro, a Rodi e infine a Malta, nel 1530, dove trovò finalmente una patria grazie all’imperatore spagnolo Carlo V. Più tardi, con l’arrivo di Napoleone, si ruppe il conquistato equilibrio, il che costrinse gli Ospedalieri a migrare in luoghi più sicuri. Durante i secoli, a natura fortemente gerarchica sia a livello centrale, a Malta, sia a livello periferico, attraverso le commende, consentì all’Ospedale di riorganizzarsi e di recuperare un proprio assetto. Ci possiamo allora domandare, in una prospettiva a lungo termine, quali siano state le scelte in ambito territoriale, urbano ed architettonico attuate dall’Ordine in contesti geografici tanto diversi tra loro e, al contempo, come il cambiamento sia stato affrontato dalle città stesse. La sessione vuole favorire un dibattito internazionale e uno studio trasversale e anche interdisciplinare, attraverso un approccio di tipo comparativo, delle situazioni in cui l’Ospedale operò nei diversi contesti e, al contempo, delle modalità in cui si è rapportato alle condizioni preesistenti, siano esse urbane, politiche, sociali ed economiche. Si richiedono, pertanto, contributi che prendano in esame la committenza, il sistema culturale formato dalle commende e le ricadute sul territorio, la gestione e gli interventi su complessi cultuali, su strutture territoriali ed urbane complesse, per le quali la presenza dell’Ordine di Malta abbia definito schemi e scale di valori tali da modificare interi isolati o piccole porzioni di città e territorio. O ancora, contributi che, partendo dall’analisi di un’architettura o di un complesso gerosolimitano, possano fornire strumenti utili per l’analisi dei sistemi di adattabilità con ricadute a varie scale. Sono benvenuti anche studi che permettano un’analisi comparativa della gestione/progettazione a scala territoriale e urbana in seno all’Ordine Gerosolimitano e a istituzioni simili, quali per esempio l’Ordine Teutonico o l’Ordine Mauriziano. Questa proposta s’inserisce all’interno di una rete consolidata di rapporti tra docenti e ricercatori di varie università italiane e straniere, che da anni lavorano su questi temi.
2.4 L’azione della “creatività urbana” nella città contemporanea: gli effetti sui contesti |
Coordinatori: Ornella Cirillo (Università della Campania Luigi Vanvitelli), Maria Teresa Como (Università Suor Orsola Benincasa), Luca Borriello (direttore INWARD Osservatorio Nazionale sulla Creatività Urbana)
Email: ornella.cirillo@unicampania.it
L’azione della “creatività urbana” nella città contemporanea: gli effetti sui contesti Quanto oggi è riunito nel termine “creatività urbana” si riferisce ai differenti fenomeni culturali, creativi e artistici del (graffiti) writing, della street art e del (nuovo) muralismo. Alla loro radice c’è una relazione peculiare dell’autore con il contesto pubblico, urbano, per l’esigenza di lasciare un segno, esporre un disagio o raccontare una storia, agendo intenzionalmente sul luogo. Negli ultimi cinquant’anni, questo incontro autore-contesto ha trovato espressione in aree marginali, in spazi collettivi o su superfici comuni, e generalmente in luoghi in sofferenza chiusi al proprio interno. Negli ultimi vent’anni queste pratiche sono state diversamente formalizzate e acquisite, e nella declinazione più attuale vengono interpretate, sostenute e gestite da associazioni e amministrazioni come interventi di ‘rigenerazione urbana’: quartieri di periferia, aree industriali dismesse, luoghi emarginati, ma anche borghi – nuove centralità periurbane e ulteriori ambiti in crisi – con tali gesti sono portati a risignificarsi e forse a ricevere nuove attenzioni, ma di certo sono sollecitati ad attivare la propria capacità di adattamento. Pertanto, l’ampia diffusione, la pervasività e l’estensione, anche temporale, del fenomeno nelle sue forme richiedono di analizzare la risposta adattativa dei diversi luoghi all’introduzione delle opere di arte e creatività, per valutare la loro incisività nella storia urbana. Ribaltando il più usuale punto di vista, si ritiene opportuno osservare le azioni della “creatività urbana” privilegiando i contesti, per analizzare le risposte che essi restituiscono in merito a vari aspetti, tra cui: i cambiamenti nella lettura e fruizione del paesaggio urbano; le modifiche nell’ambito cittadino adiacente; gli effetti sul quadro sociale; l’eventualità di un avvio microeconomico; l’integrazione di valore – materiale o immateriale – acquisita dal manufatto edilizio e/o dal luogo; la predisposizione a successivi progetti di trasformazione. E in che modo è stato possibile il rispetto o la deroga degli strumenti normativi deputati al controllo dell’azione sul patrimonio edificato? La sessione punta a costruire un osservatorio sulle capacità (o incapacità) di adattamento dei contesti in presenza degli interventi di “creatività urbana”, facendo emergere le modalità e specificità con cui ciascuno di essi ha voluto o dovuto reagire a queste novità culturali.
2.5 Città e architetture per l’infanzia |
Coordinatori: Sara Di Resta (Università Iuav di Venezia), Giorgio Danesi, (Università degli Studi di Udine), Chiara Mariotti, (Università Politecnica delle Marche)
Email: sara.diresta@iuav.it
«La politica sociale – dicono gli architetti – è la politica per i figli, per la loro nascita, la loro salute, la loro istruzione, il loro avvenire […]. Gli asili devono essere una dotazione diffusa e perfetta d’ogni nucleo abitato e concretare i metodi didattici ed educativi più avanzati […]. Non si deve sbagliare più nell’edilizia, ma specie nell’edilizia scolastica. Si sa ormai come debbono essere le scuole, come deve essere la loro insolazione e sanità. Le scuole ricevano sviluppi immensi: l’analfabetismo prima, l’insufficiente istruzione poi, sono combattuti con la costruzione di scuole, di scuole e di scuole: la politica edilizia scolastica deve essere preminente […]. Gli istituti superiori siano nella loro costituzione architettonica degli strumenti perfetti. Ciò è la loro bellezza e fa parte della loro funzione educativa».
G. Ponti, Politica dell’architettura, 1944
Scritto nel pieno della II Guerra Mondiale e riproposto su Domus cinque anni più tardi, il testo di Gio Ponti affronta la questione dell’infanzia come tema politico, sociale e architettonico.
In un Paese che non si è mai dotato di una reale politica edilizia scolastica, il tema del benessere dei più piccoli è sollevato a più riprese e con sempre più espliciti riferimenti all’idea di città. Vivaio della società di domani, l’architettura per l’infanzia è espressione di un’organizzazione sovraindividuale consapevole della necessità di creare nuovi spazi basati sulle esigenze del bambino.
Dall’istituzione dell’ONMI nel 1925, il dibattito politico si sarebbe riacceso negli anni ’60, avviati con la XII Triennale “La casa e la scuola”. Nel XX secolo la scuola sarebbe divenuta in qualche caso il cuore di nuovi settori di città.
Questo patrimonio è oggi segnato da cambiamenti sociali, crisi demografica e scarsi investimenti che ci consegnano un’eredità manomessa dal succedersi scoordinato ed emergenziale di interventi. In piena emergenza pandemica, la scuola e la sua adattabilità al cambiamento sono diventate campo di battaglia dello scontro politico e sociale.
Ma in che misura questo patrimonio si sta dimostrando adattivo in prospettive che prescindano da accadimenti eccezionali? Come tali mutamenti influenzano il contesto urbano e sociale? La sessione invita a riflettere sui modi in cui l’architettura per l’istruzione riesca a fronteggiare processi di larga scala e lunga durata, affiancando alla documentazione dei fenomeni i possibili scenari di tutela.
2.6 Autorità centrale e potere locale: dialoghi per l’adattabilità delle città |
Coordinatori: Elena Gianasso (Politecnico di Torino), Maria Vittoria Cattaneo (Politecnico di Torino)
Email: elena.gianasso@polito.it
Adattabilità è termine che, dall’etimo latino, deriva da “adattare”, unione della preposizione “ad”, nel significato di scopo o fine, e “aptare”, aggiustare, accomodare, rendere atto o conveniente. In un dialogo intorno a tempi e sfide della città flessibile, l’adattabilità implica, quindi, la possibilità di rendere le città idonee ad affrontare cambiamenti sviluppati in un arco cronologico ampio, trovando negli mutamenti le risposte ai momenti di crisi. In questo contesto, il rapporto tra l’autorità centrale e il potere locale segna, spesso profondamente, la reazione ai cambiamenti. Lo stesso rapporto diventa processo, trasformazione in sequenza non di un fatto storico specifico, ma di due forme di governo della città che segnano l’adattabilità ai cambiamenti strutturali. Indagata in una lunga prospettiva storica, la relazione tra centro e locale restituisce pure il mutare del rapporto tra le istituzioni, trovando nel momento del cambiamento una cesura che è al tempo stesso inizio e fine di un periodo, punto per valutare, attraverso piani e progetti discussi e realizzati, il grado di adattabilità della città. Considerando situazioni normali e, pertanto, filtrando gli eventi storici eccezionali, il confronto tra le tante declinazioni di governo centrale e locale (Stato e Municipalità, Stato e Corte, Corte e Municipalità, Corte e notabilato, Municipalità e corpi/élites professionali, Chiesa e autorità locale) restituisce esiti progettati e costruiti da dibattere. La sessione, privilegiando l’età moderna e contemporanea, si interroga sul ruolo assunto dai tanti poteri che governano la città, riflettendo sulle modalità in cui il dialogo e la contrattazione tra le parti segnano il livello di adattabilità delle città alle trasformazioni strutturali e, pertanto, variano il disegno dello spazio urbano. Temi e domande derivano da una lettura, anche multidisciplinare e interdisciplinare, degli esiti delle relazioni tra poteri: – Autorità centrale e potere locale: dibattito, relazioni, ruoli e protagonisti per una città flessibile – Quali progetti, esito di accordi tra governo centrale e locale, restituiscono l’adattabilità delle città? – Quali progetti, esito di una lunga e complessa contrattazione tra autorità centrale e locale, restituiscono l’adattabilità delle città? – Governo civile e potere religioso: quali progetti per l’adattabilità? – Tra Stato e Municipalità / Tra Corte e notabili / Tra Chiesa e governo locale: piani e progetti per l’adattabilità.
2.7 Mura, guasto, infrastrutture: la città mediterranea e i suoi margini |
Coordinatori: Emma Maglio (Università di Napoli “Federico II” – DiARC)
Email: emma.maglio@unina.it
Questa sessione accoglie contributi incentrati sui processi di trasformazione – o di resistenza alla trasformazione stessa – che interessano la città mediterranea di età moderna in una prospettiva comparativa e di longue durée, nonché sulle forme della loro rappresentazione fino al presente (iconografia, cartografia, piani…). Le città di età moderna vengono generalmente identificate da un recinto fortificato e, nei casi dei centri urbani collocati sulle isole o sulle alture, dagli elementi orografici che costituiscono la loro difesa naturale. Questi sistemi complessi hanno costruito nei secoli il paesaggio urbano, hanno modificato il territorio circostante e a loro volta sono stati investiti dalle alterazioni di quest’ultimo, anche opponendo una forte e duratura resistenza. Esempi rilevanti sono legati alla creazione di nuove infrastrutture dentro ma anche intorno alla città: le operazioni di guasto, mirate all’ammodernamento o all’ampliamento delle mura, che causarono la demolizione di ampie parti di tessuto urbano e di borghi extraurbani; i nuovi progetti di fortificazioni “alla moderna”; la demolizione parziale o totale delle fortificazioni stesse, condotta con esiti diversi per favorire l’espansione della città oltre i suoi confini; la creazione di nuove strade e di reti di comunicazioni via mare o su ferro, destinate a infrangere in vario modo le originarie difese urbane e a connettere il sistema-città con il suo intorno. Si tratta di processi non necessariamente scaturiti dalle emergenze o da circostanze eccezionali, ma anzi per lo più legati allo sviluppo socio-economico, urbano e territoriale che ha interessato in modi e tempi assai diversi il bacino mediterraneo: uno sviluppo che gli strumenti di pianificazione, dall’Ottocento fino ai nostri giorni, hanno provato e provano tuttora a governare, strutturare e orientare, perseguendo ora l’aggiornamento ora la conservazione della città, del suo tessuto urbano e sociale e del suo patrimonio storico-architettonico, e promuovendo in tal modo un confronto-scontro continuo fra adattabilità e resistenze, trasformazioni e permanenze nei margini urbani.
2.8 La regola, l’adattamento, la resilienza: trasformazioni di spazi e funzioni dei complessi per la vita religiosa |
Coordinatori: Andrea Longhi (Politecnico di Torino), Arianna Rotondo, (Università di Catania)
Email: andrea.longhi@polito.it
AISU panel
La committenza degli ordini e delle congregazioni – ossia di quelle istituzioni che propongono esperienze di vita comune improntate a regole e consuetudini religiose – ha costruito e trasformato il volto delle città che si sono sviluppate in regimi di cristianità. La consistenza di tale patrimonio è in molti casi determinante nella formazione di spazi e tessuti urbani. La sessione propone una lettura delle trasformazioni di tali complessi – fenomeni ben noti nella letteratura storico-religiosa e architettonico-urbanistica – secondo le categorie di interpretazione proposte dal congresso e su una diacronia ampia. In particolare, la fedeltà dei complessi monastici o conventuali a una regola o a una spiritualità determina una certa rigidità funzionale e strutturale rispetto a possibili adattamenti: questa è la ragione della moltiplicazione – e dell’attuale ridondanza – di chiese e case religiose, la cui specifica natura “regolare” ha impedito o ostacolato il passaggio tra ordini, o tra usi comunitari religiosi e civili.
Il rapporto tra adattività e resilienza è dunque al cuore dei processi trasformativi: in che modo i grandi contenitori religiosi, adattandosi talora a nuove funzioni ecclesiali o civili, hanno conservato – in modo resiliente – la natura o l’identità religiosa originaria? Quali elementi di continuità e permanenza, inscritti in modo sia immanente sia ostentato nell’architettura, hanno garantito la riconoscibilità dello stile di vita o del carisma, nel quadro di trasformazioni condotte da una pluralità di attori? Paradossalmente, la storiografia ha rilevato come molto patrimonio religioso si sia conservato materialmente proprio grazie ai processi di secolarizzazione.
La letteratura locale ancora troppo spesso considera l’originaria vita religiosa di tali complessi come la “vera” storia, cui sarebbero seguiti semplici “rimaneggiamenti” (termine che svilisce i successivi interventi), o riplasmazioni, i cui paradigmi trasformativi sono spesso trascurati. Serve dunque ripuntualizzare come le logiche selettive dei processi di adattamento siano in sé un tema di studio, utile a indagare il rapporto tra forme architettoniche e vita comune “regolare”, evidenziando strategie adattive di comunità diverse (religiose e secolari) e dinamiche di resilienza degli aspetti spirituali e culturali caratterizzanti i principi formativi degli spazi.
Il tema è continuità la sessione del congresso di Bologna 2019 su “Istituzioni religiose e costruzione della città”.
2.9 Forme di controllo e resistenza nella città tra Ottocento e Novecento. Casi di studio attraverso l’analisi delle fonti espresse dal territorio urbano |
Coordinatori: Lidia Piccioni (Sapienza Università di Roma), Maria João Vaz (Instituto Universitário De Lisboa)
Email: lidia.piccioni@uniroma1.it
Tra Ottocento e Novecento, le città hanno accolto in modo crescente una popolazione molto diversificata per provenienza e articolazione sociale che spesso ha sperimentato difficoltà a diversi livelli nel suo inserimento in uno spazio sempre più regolato. La sessione intende analizzare e porre a confronto diverse forme di “controllo e resistenza” espresse dalla città contemporanea, nell’interazione tra “alto” e “basso”, tra i poteri che regolano la vita in città e coloro che ci vivono e lavorano, restituendo la complessità di situazioni e risposte messe in campo. Lo sguardo del panel vuole dunque essere diacronico e articolato, proponendo riflessioni e casi di studio che si muovono tra Ottocento e Novecento, contemplando diverse geografie e contesti storici. Gli ambiti possibili a cui prestare interesse sono quelli molteplici della vita urbana nella sua quotidianità, con attenzione al gioco continuo tra istituzioni e potere pubblico da un lato e attori della realtà sociale dall’altro. Gioco che ridefinisce costantemente la “normalità” della città. Quindi, per fare degli esempi tra le potenziali problematiche da esplorare ed analizzare: mondo del lavoro e della produzione nel suo complesso e nei suoi diversi protagonisti; realtà abitative immaginate e progettate, conquistate e vissute; infanzia e adolescenza nel rapporto tra rete dell’istruzione e territorio; criminalità e antagonismo sociale; la città come luogo del movimento: dinamiche e gestione della mobilità in ambiente urbano. Rispetto a tutto questo la sessione vuole in particolare focalizzarsi sulle possibili fonti che emergono dal tessuto urbano stesso, provando a mapparne le diverse tipologie, a partire da quelle consolidate – come la documentazione espressa da archivi pubblici e privati, le fonti della memoria orale e scritta, le fonti audiovisive – fino alle più recenti risorse del web o quant’altro emerga ripercorrendo singoli casi di ricerca.
2.10 L’industria e il territorio: politiche industriali e trasformazioni urbane nell’Europa del secondo Novecento |
Coordinatori: Ilaria Zilli (Università degli Studi del Molise), Maddalena Chimisso (Università degli Studi del Molise)
Email: zilli@unimol.it
Dopo la II Guerra Mondiale L’Europa fu interessata da una serie di politiche territoriali che i governi nazionali attuarono per favorire lo sviluppo economico da implementare attraverso l’industria. La pianificazione di nuove zone industriali pensate dai governi centrali o il rimodellamento di aree industriali già esistenti possono essere letti come la concretizzazione di una più ampia politica volta a favorire la crescita e lo sviluppo economico. L’esperienza italiana, con l’istituzione della Cassa per il Mezzogiorno e la promulgazione della Legge Pastore (n. 634/1957), rappresenta senza dubbio un caso emblematico di industrializzazione assistita che, nella compartecipazione di investimenti pubblici e capitali privati, vide la nascita di nuovi paesaggi industriali. La comparazione con altri contesti europei – quali la Francia dei pôles de croissance teorizzati di Francois Perroux o i gli impianti industriali finanziati dal governo in Irlanda – rappresentano un possibile punto di partenza per indagare i processi sequenziali di industrializzazione, deindustrializzazione o conformazioni altre assunte dagli spazi produttivi che lo Stato “dirigista” aveva avviato.
La sessione è aperta a contributi che, con un approccio multidisciplinare, riflettano sull’attitudine adattiva o meno di contesti urbani e/o regionali e i loro sviluppi, interpretando o re-interpretando i modi in cui le città (e i territori) hanno affrontato, gestito, sfruttato o subìto i processi di cambiamento economico indotti dalle politiche pubbliche.
no di contesti urbani e/o regionali e i loro sviluppi, interpretando o re-interpretando i modi in cui le città (e i territori) hanno affrontato, gestito, sfruttato o subìto i processi di cambiamento economico.
2.11 Fabbriche e città in rapporto di reciproca adattabilità |
Coordinatori: Simona Talenti (Università di Salerno – Dipartimento di Ingegneria Civile), Annarita Teodosio (Università degli Studi di Salerno)
Email: stalenti@unisa.it
Cambiamenti socio-economici e rinnovamenti di processi produttivi hanno indotto il declino di vaste aree industriali ormai inadeguate e inutilizzabili per la loro funzione originaria. Enormi complessi manifatturieri, spesso dotati anche di alloggi e servizi per gli operai, inizialmente collocati ai margini del tessuto urbano, costituiscono oggi luoghi di forte criticità e grandi potenzialità per le città che, in periodi più o meno lunghi, hanno finito per inglobarli. Le esperienze finora condotte in tutto il mondo hanno attestato le differenti strategie di rigenerazione possibili per queste aree che vanno dal mantenimento dell’identità produttiva conservando le originali forme architettoniche, alla trasformazione in quartieri urbani ad uso misto o in nuove ‘fabbriche’ di cultura o divertimento, ecc… Appare inoltre evidente che, mentre gli alloggi operai e le relative infrastrutture sono riusciti più facilmente ad attraversare più indenni il cambiamento conservando una continuità d’uso, gli opifici hanno dimostrato, invece, una più difficile adattabilità derivante probabilmente dalle loro caratteristiche intrinseche (dimensioni, materiali, ecc..). La sessione, senza porre limiti temporali e geografici, intende indagare sulla adattabilità di vecchi luoghi di produzione in disuso promuovendo inoltre una riflessione a scala urbana sulla capacità adattiva delle città (dal punto di vista architettonico, economico, sociale) in risposta ai cambiamenti strutturali connessi alla immissione e successiva dismissione delle attività industriali.
2.12 La ricerca della giusta dimensione. Progettare la città e il territorio per unità spaziali ‘adeguate’ |
Coordinatori: Carolina Giaimo (Politecnico di Torino), Sara Bonini Baraldi (Politecnico di Torino), Silvia Beltramo (Politecnico di Torino), Enrica Bodrato (Politecnico di Torino), Claudia Cassatella (Politecnico di Torino), Chiara Devoti (Politecnico di Torino), Andrea Longhi (Politecnico di Torino), Gabriella Negrini (Politecnico di Torino), Angioletta Voghera (Politecnico di Torino)
Email: carolina.giaimo@polito.it
La sessione intende raccogliere casi studio e riflessioni inerenti le dinamiche insediative e i processi di modificazione, trasformazione e adattamento, con particolare, ma non esclusiva, attenzione ai contesti territoriali che oggi definiamo “metropolitani”, riconoscendone matrici e ragioni generatrici della morfologia attuale sotto il profilo storico, urbanistico, ambientale, paesaggistico e socio-economico.
Esperienze che focalizzano la ricerca di regole compositive dello spazio urbano e territoriale con l’intento di rendere gli insediamenti più ‘adeguati’ alle caratteristiche dei modelli di sviluppo da perseguire, e di migliorare le condizioni di vita nelle città.
Entro questo frame si inscrivono esperienze che nel corso del secondo Novecento, e alle diverse scale della città e del territorio, riguardano, a titolo esemplificativo:
- la teoria dei “poli di sviluppo” e l’idea di “città-regione”, per affrontare i problemi posti dal conflitto città-campagna (esito dei processi di crescita industriale post-bellica) e con l’obiettivo di contenere i movimenti dalla campagna alla città, promuovendo il decongestionamento dei poli di più forte attrazione;
- le proposte di costituzione di unità spaziali e comunità satelliti autosufficienti sotto il profilo dei servizi e dotate di un’efficiente rete di comunicazioni stradali;
- la dimensione comprensoriale come sub-articolazione del territorio vasto (regionale e provinciale), caratterizzata da un polo attrattore su cui gravita il territorio circostante.
In sintesi, si intende intercettare studi, visioni, strumenti e pratiche relative a tentativi di definire, entro una prospettiva di ordinarietà, soluzioni/modelli di organizzazione (e ordinamento) spaziale finalizzati ad accrescere il benessere delle comunità e della società nelle sue varie forme organizzative.
Una ricerca della giusta dimensione che, con evidenza a partire dal secondo Novecento e con continuità fino ad oggi, caratterizza la storia delle città e le teorie e gli strumenti dell’urbanistica.
2.13 La riqualificazione urbana, architettonica e tecnologica degli spazi scolastici e di formazione. Definizione di nuovi parametri prestazionali |
Coordinatori: Ernesto Antonini (Università di Bologna), Andreina Milan (Università di Bologna), Kristian Fabbri (Università di Bologna), Lia Marchi (Università di Bologna), Adele Ricci (Università di Bologna)
Email: ernesto.antonini@unibo.it
La sessione propone una riflessione aperta e critica sugli spazi della didattica, sollecitata dall’esperienza pandemica e post-pandemica, che ha introdotto modifiche rilevanti e repentine degli assetti e dei luoghi stessi dell’apprendimento. Da spazio fisico delimitato all’interno dell’edificio scolastico, l’aula è diventata – spesso e per molti – un “non-luogo” virtuale, mentre l’architettura in cui svolgere l’esperienza didattica è sovente stata la cucina e o la stanze da letto delle abitazioni. Le esigenze di distanziamento hanno indotto ad utilizzare, ad uso didattico, spazi dell’edificio scolastico diversi dalle aule, sia all’interno (atrii, corridoi), che all’esterno (cortili, giardini, aree scoperte pertinenziali), utilizzando financo ambiti extra-scolastici (piazze, parchi urbani, altri edifici). In altri termini, il contesto pedagogico si è diversificato e ampliato rispetto al passato: una condizione probabilmente destinata, almeno in parte, a mantenersi, e che perciò richiede una riflessione su come progettare oggi gli spazi didattici, includendovi quelli virtuali o esterni all’edificio. Come svolgere una lezione nelle aree pertinenziali della scuola, in un parco urbano, in un altro edificio della città? Come raggiungerli? Dove sedersi? Quale il comfort offerto? I contributi attesi dalla sessione sono: studio di casi reali, restituzione documentata di interventi realizzati o di circonstanziate proposte progettuali, che affrontino non solo i luoghi deputati alla trasmissione della conoscenza e dell’educazione – aule, laboratori, auditori – ma altresì gli spazi considerati “accessori” (corti, giardini, aree urbane circostanti) e le modalità didattiche “informali” che essi possono ospitare, esplorando le problematiche architettoniche, tipologiche, funzionali fruitive e tecnologiche indotte da questi nuovi contesti pedagogici.
2.14 Abitare il cambiamento. Studiare le transformazioni ordinarie del patrimonio residenziale urbano |
Coordinatori: Filippo De Pieri (Politecnico di Torino), Gaia Caramellino (Politecnico di Milano)
Email: filippo.depieri@polito.it
AISU panel
Negli ultimi anni gli studi storici sull’housing hanno dedicato una crescente attenzione all’osservazione delle trasformazioni dello stock residenziale urbano su periodi medio/lunghi, in relazione con diversi processi di mutamento fisico e sociale dei luoghi. Si possono considerare queste trasformazioni come “ordinarie” se le si contrappone ad altre trasformazioni indotte da fatti storici improvvisi o di breve durata (costruzione di nuovi quartieri, demolizioni, grandi eventi, rivolgimenti politici, crisi economiche, catastrofi, ecc.). Soffermarsi sul cambiamento ordinario può consentire di portare in primo piano eventi che si svolgono in modo cumulativo, portando gradualmente a esiti significativi, e di mettere in discussione con maggiore ricchezza di informazioni alcune interpretazioni del patrimonio residenziale che hanno talvolta voluto associare la permanenza delle forme materiali o degli impianti tipologici a una analoga stabilità delle culture e delle pratiche dell’abitare. La sessione si propone di osservare e confrontare casi in cui un mutamento nelle forme fisiche, negli usi sociali o nel valore economico dello stock residenziale prende forma nel tempo in risposta a (o viceversa, come fattore scatenante di) più ampi mutamenti storici leggibili a diverse scale (urbana, globale, ecc.). Si accettano contributi relativi a tutti i periodi storici e tutti i contesti geografici, a partire da una pluralità di ambiti disciplinari. Si invitano i proponenti a porre al centro della propria analisi le relazioni tra spazio fisico e pratiche abitative. I paper potranno concentrarsi su casi studio specifici (dal singolo edificio al quartiere), intesi come punto di partenza per una comparazione ad ampio raggio e per una discussione di alcune domande di fondo, relative in particolare all’interpretazione dei concetti di “ordinario” e “straordinario” e “breve” e “lunga” durata negli studi storici sull’housing urbano.
2.15 Cambio di passo. La fruizione del patrimonio architettonico dopo la pandemia |
Coordinatori: Marco Pretelli (Alma Mater Studiorum – Università di Bologna), Andrea Ugolini (Università di Bologna), Leila Signorelli (Università di Bologna), Alessia Zampini (Università di Bologna), Maria Antonietta De Vivo (Università di Bologna)
Email: marco.pretelli@unibo.it
AISU Panel
Il legame tra i fruitori e il patrimonio è in continua evoluzione, così come il concetto stesso di Cultural Heritage. Il periodo di pandemia da Covid-19 ha accelerato il ritmo di alcuni aspetti di questo cambiamento, interessando in particolar modo il patrimonio culturale tangibile: sintomo più evidente è stata l’assenza dei visitatori nei luoghi della cultura durante lunghi periodi. L’effetto della pandemia ha portato inoltre ad una difficoltà nella gestione delle attività di conservazione, sia quelle programmate – causando ritardi nel calendario delle attività – che quelle “d’urgenza”. In questo quadro complesso, emerge con maggiore evidenza come una buona gestione del bene comprende prima di tutto buone pratiche di conservazione che possano mettere al sicuro il patrimonio da eventi imprevisti: se le condizioni del contesto di conservazione sono ottimali per la “salute” del bene, infatti, la necessità di interventi d’urgenza decresce. Inoltre, se la vita – anche economica – dei siti della cultura dipende come fattore principale dal numero di visitatori che possono percorrerli e goderne, la ricerca scientifica deve proiettarsi a trovare le migliori soluzioni per garantire la presenza delle persone in sicurezza. Tra queste vanno privilegiate le nuove tecnologie per l’accesso e per il controllo dell’ambiente indoor. Uno dei sistemi per ovviare alla lunga assenza delle persone nei musei è stato quello di aumentare e migliorare la divulgazione culturale e scientifica tramite le piattaforme informatiche: il digitale come mezzo di “fruizione a distanza” e suoi effetti (tra questi quello di aver accelerato la transizione digitale) dovranno essere studiati nel lungo periodo, per capire come questa modalità possa coesistere ed esaltare la necessaria fruizione in presenza. Il virtuale inteso come “simulazione” della realtà capace di prevedere e testare scenari (sistemi BIM, GIS, Cloud, ecc…) è diventato uno strumento di supporto vincente, sia nella previsione/gestione del rischio che nella possibilità di affinare le tecnologie prima che esse siano applicate al reale, e si configura come un “cambio di passo” notevole. In questa sessione verranno quindi accolti e presentati contributi che mettano l’accento sui nuovi modi di fruizione del patrimonio e il ruolo di tecnologia e digitalizzazione, utilizzando questi ultimi anni difficili come matrice di un cambiamento necessario.
2.16 Spazi collettivi “introversi”: trasformazioni, mutazioni, evoluzioni del palazzo-città |
Coordinatori: Marco Falsetti (Università degli Studi di Roma Sapienza)
Email: levonraisen@gmail.com
Nel palazzo di Diocleziano a Spalato, organismo edilizio a scala urbana generatosi attraverso la trasformazione in edificio del modello polibiano di castrum, può osservarsi in modo chiaro la propensione dello spazio aperto porticato del peristilio a costituire un nodo potenzialmente coperto. Tale modellizzazione rappresenta per certi versi una prefigurazione della celebre frase di Leon Battista Alberti «la casa è come una piccola città e la città è come una grande casa» esprimendo la forza archetipica e il principio generatore della figura del recinto, che informa coerentemente tutte quelle tipologie edilizie organizzate e disciplinate dall’ idea dello spazio polare cavo. Gli attributi tettonici di tali tipologie sono infatti determinati da una qualità che riconosce quale elemento fondante della costruzione non tanto il “pieno” ma piuttosto il “vuoto”. Non è infatti difficile riconoscere nel palazzo-città l’antecedente storico di molta edilizia speciale, antica e moderna, basti pensare alla plaza mayor, o alle place royale fino ad arrivare a quei rari esempi coevi nei quali lo spazio collettivo “introverso” è declinato nelle forme monumentalizzate della residenza e della piazza. La lezione dell’antico si può caricare così di un altro elemento, del quale pare deficitare la città contemporanea, quello civico, che ha nell’ “interno urbano” la sua massima rappresentazione.
Se il tema di base (la casa a patio) è ben presente nel repertorio moderno e contemporaneo, più suggestive sono le traduzioni coeve di organismi complessi basati sullo stesso principio. Alcuni modelli recenti, in corso di sperimentazione in varie parti del mondo, sembrano dimostrare come sia possibile attraverso di essi porre un argine ai fenomeni di decomposizione della forma urbana, rivelando, ancora una volta, come la lezione dell’antico possa offrire soluzioni utili alla crisi delle nostre città.
La sessione mira pertanto ad una riflessione teorica sul principio generatore del recinto urbano, aprendo la discussione alle diverse interpretazioni (morfologica, tipologica, sociologica) dell’edificio-città.
2.17 Paesaggi funebri urbani. Restauro e riconfigurazione tra memoria e contemporaneità |
Coordinatori: Paolo Giordano (Università della Campania Luigi Vanvitelli)
Email: paolo.giordano@unicampania.it
I grandi cimiteri monumentali urbani realizzati in Europa rappresentano una preziosa testimonianza di carattere architettonico nonché di tipo artistico e letterario. La complessa coesistenza di sculture, mosaici, affreschi ed epigrafi integrate alle diverse tipologie architettoniche funebri (chiese ed ossari, congreghe in forma di edifici e singole cappelle di famiglia, sarcofaghi e tombe individuali) propone, nel suo insieme, una vera e propria funus forma urbis complementare alla città di appartenenza. Un’alterità che denota i cimiteri, allo stato attuale, alla stregua di “città dei morti” piuttosto che “città dei vivi” ovvero come potenziali luoghi urbani stratificati di grande valore e uso collettivo. I grandi cimiteri monumentali, ubicati tra città consolidata e periferia metropolitana, sono recinti urbani delimitati da mura, dotati di porte di accesso e risultano organizzati, a livello infrastrutturale, da strade, piazze, slarghi, scalinate e giardini che supportano il contesto architettonico di appartenenza formato dalle diverse tipologie funebri primarie (edifici collettivi) e secondarie (architetture private). L’ulteriore presenza di elementi artistici quali, ad esempio urne, cippi, erme, busti e steli, determinano un contesto ambientale prezioso e delicato ma, al contempo, fortemente vulnerabile. I diversi elementi infrastrutturali (tracciati) e strutturali (architetture, sculture, suppellettili) caratterizzanti i principali impianti funebri urbani italiani rappresentano realtà di difficile gestione e manutenzione anche in virtù del distacco di interesse coincidente, il più delle volte, con il tramonto del “ricordo” di generazioni non più legate alla commemorazione dei defunti ivi presenti. Eppure, il dissolvimento del “ricordo” non dovrebbe essere motivo di distacco dalla “memoria” tale da procurare desuetudine, incuria, abbandono e degrado. Se il “ricordo” appartiene alla sfera del privato, la “memoria”, come ricorda il filosofo Aldo Masullo, è prerogativa del pubblico, quindi coscienza civile collettiva. I grandi cimiteri monumentali urbani rappresentano testimonianze singole e collettive e, in quanto tali vanno protetti e valorizzati. Il rilievo, la diagnosi e il progetto di restauro (paesaggistico, urbano, architettonico, artistico e vegetazionale) rappresentano un sentiero virtuoso di ricerca per trasformare le “città dei morti” in “città per i vivi”.
3.1 Le risposte dei poteri locali |
Coordinatori: Elena Gianasso (Politecnico di Torino)
Email: elena.gianasso@polito.it
Incapacità adattiva e immobilità della città sono fenomeni che sono esito di eventi storici specifici o di periodi di difficoltà non comprese, né superate. Nella gestione delle crisi, in un percorso che si propone di indagare tempi e sfide della città flessibile, è essenziale il ruolo dei poteri locali, locuzione utile a indicare le tante declinazioni di autorità espresse a livello locale, a scala urbana o anche microurbana, dai civili (municipalità, notabili dei luoghi, altri), dai militari (per particolari eventi storici) o dalle istituzioni religiose (ordini religiosi, la Chiesa). Soggetti capaci di rispondere alle complessità, propongono soluzioni che non sempre si rivelano utili a costruire una città flessibile, ma talvolta attuano progetti che generano limiti di mobilità, chiusura. Espressioni dall’usuale interpretazione negativa, modificano il proprio significato quando diventano strumenti per superare le complessità. La sessione, senza porsi particolari limiti cronologici, si interroga sulle risposte che i poteri locali offrono alle crisi originate da emergenze sanitarie, carestie, guerre o altri fenomeni sociali, considerando sia le situazioni in cui l’immobilità è intenzionale, sia i casi in cui i progetti discussi e attuati, pur mirati all’adattamento, sono stati causa di distacco e inadattabilità sociale. Ne sono esempio i progetti per le zone cosiddette ghetto che si possono indagare anche appoggiandosi a un significato che supera la stretta definizione legata ai quartieri ebraici, in direzione di una visione più ampia che qualifica ghetti, zone inizialmente pensate come aree di espansione urbana. Immobilità e inadattabilità sociale si leggono, quindi, in positivo e in negativo. È pure possibile discutere disegni non realizzati o progetti indagati rispetto all’idea originaria esaminando, in retrospettiva, quanto rimane nella città contemporanea. Temi e domande: – La reazione ai cambiamenti che hanno segnato la trasformazione della città: quando e in che modo la risposta del potere locale ha generato limiti di mobilità e isolamento? Dibattito, temi e protagonisti – Progetti e cantieri coordinati dai poteri locali: immobilità intenzionale o causa di inadattabilità sociale? – Studi intorno ai progetti non realizzati: un’occasione mancata per il superamento dell’isolamento? – Tra potere locale e autorità centrale: risposte incapaci alle crisi – Il ghetto come manifestazione delle crisi: imposto limite di mobilità o esito non voluto
3.2 Adattare le carceri storiche alla detenzione contemporanea |
Coordinatori: Pisana Posocco (Sapienza, Università di Roma), Marta Acierno (Sapienza, Università di Roma)
Email: pisana.posocco@uniroma1.it
I carceri situati entro edifici storici monumentali devono essere mantenuti o dismessi?
È giusto utilizzare ancora come carceri edifici quali Regina Coeli a Roma o San Vittore a Milano?
E, se è giusto, quali sono le trasformazioni da mettere in atto al fine di rendere queste carceri idonee ad un uso moderno e ad una detenzione che, in sintonia con l’art.27 della Costituzione Italiana, riconosca che non sia “contraria al senso di umanità e […]tenda alla rieducazione del condannato”?
Il mantenimento della funzione penitenziaria delle carceri storiche ha determinato un logorio legato all’uso e ha impedito il riconoscimento di valore degli stessi complessi edilizi, noti più per la loro funzione che per le caratteristiche architettoniche.
Il 20% degli istituti di pena in Italia è stato costruito prima del 1900. Il 5% della popolazione carceraria vive in strutture costruite prima del 1800, il 9% in edifici costruiti tra il 1800 e il 1900. Sono monumenti storici ma sono anche carceri. Costituiscono un patrimonio edilizio in scarso stato di manutenzione, in condizioni igieniche non sempre adeguate e con una generale carenza di spazi dedicati ad attività sociali.
Essere reclusi in edifici storico monumentali ha il vantaggio di essere situati nei centri urbani e contenuti in luoghi le cui spazialità e bellezza potrebbero giocare un ruolo importante nella riabilitazione.Prendersi cura dell’edificio, e dello spazio, è anche per prendersi cura di chi entro quello spazio vive. Per i detenuti coinvolti in lavori di manutenzione e trasformazione spaziale prendersi cura dell’edificio è prendersi cura di sé.
La Sessione, quindi, intende riflettere sulle carceri storiche che ancora funzionano come luoghi di detenzione. Si intendono affrontare, tra gli altri, alcuni temi rilevanti quali: la necessità di individuare spazi per le attività trattamentali, il tipo di detenzione più appropriata a carceri situati spesso in centro città, l’adeguamento agli usi contemporanei attraverso la riduzione della capienza, l’efficientamento energetico, la capacità di individuare spazi-filtro tra detenzione e città per permettere osmosi tra le parti.La sessione nutre la speranza di riuscire e raccogliere casi di trasformazione, restauro, adeguamento in particolare nell’area europea, che raccontino sia delle trasformazioni del manufatto, sia del ruolo del lavoro carcerario nella manutenzione del manufatto.
3.3 Strutture di accoglienza e cura, strutture di confinamento. Storia e attualità |
Coordinatori: Francesca Martorano (Università Mediterranea di Reggio Calabria), Angela Quattrocchi (Università Mediterranea di Reggio Calabria)
Email: fmartorano@unirc.it
AISU Panel
La sessione intende proporre contributi scientifici che spaziano su un arco cronologico ampio sul tema delle architetture che, a partire dalla fine del XVI secolo in poi, furono dedicate all’accoglienza e alla cura dei malati ritenuti “incurabili” e delle strutture di confinamento per soggiorni temporanei in aree portuali o marginali, destinate agli infetti da morbi trasmissibili per contatto, da isolare in apposite strutture loro dedicate. Nosocomi e lazzaretti furono istituiti, solo per citare pochi esempi, a Genova, Venezia, Roma, Firenze, Napoli, Messina, non solo dalle istituzioni civiche ma soprattutto da confraternite di laici e religiosi. Tra queste le Compagnie o Oratori del Divino Amore, che operarono per la realizzazione di nuove tipologie di ospedali, in grado di rispondere meglio alle necessità di isolamento e cura, o per la riconversione di antichi complessi assistenziali. Si desidera valutare questi complessi architettonici nella loro lunga fase di vita e nelle modificazioni adattative alle nuove funzioni in termini di Cultural Heritage. Le proposte di intervento potranno indagare i legami istituiti da questi beni culturali, con le aree marginali della città, l’intorno urbano e le comunità residenti, per definire l’influenza esercitata nei processi di trasformazione ed eventuale espansione degli insediamenti.
3.4 Spazi eterotopici. Il ruolo delle architetture detentive e manicomiali nella citta’ contemporanea |
Coordinatori: Caterina Giannattasio (Università degli Studi di Cagliari), Giovanni Battista Cocco (Università degli Studi di Cagliari)
Email: cgiannatt@unica.it
AISU Panel
La crisi sanitaria generata dalla pandemia ha evidenziato bisogni conflittuali: l’isolamento e la comunità, la distanza e la vicinanza, la sicurezza e la libertà, lo spazio aperto e lo spazio chiuso, la sfera privata e quella condivisa. Conciliare queste esigenze sembra oggi una sfida di difficile risoluzione; eppure esistono luoghi che hanno inaspettatamente risposto a questo rompicapo, sublimando nello spazio i principi di segregazione, coabitazione, controllo, terapia. Sono quelli che Michel Foucault chiama eterotopie di deviazione: carceri, manicomi, “spazi assolutamente altri” concepiti per assoggettare coloro che non sono conformi alla norma richiesta, attraverso un controllo rigoroso e perverso dei corpi.
Dopo la dismissione delle funzioni originarie e ancora di più nel contesto dell’emergenza sanitaria, questi luoghi possono essere interrogati con un nuovo punto di vista, sospendendo il giudizio sullo stigma che li contraddistingue e sugli abomini che essi hanno materializzato. Infatti, la loro capacità di concretizzare, attraverso caratteri formali e tipologici, modelli abitativi individuali e al contempo collettivi, capaci di dilatare e contrarre lo spazio del singolo nello spazio di molti, induce a chiedersi se oggi essi possano offrirsi come patrimonio da riutilizzare e come repertorio di soluzioni e aberrazioni da cui trarre un rinnovato insegnamento.
In tale sessione, dunque, si intende cercare di dare risposte alle seguenti domande: 1. In quale modo l’architettura storica può mettersi a disposizione delle esigenze evidenziate dalla pandemia? 2. Esistono luoghi che hanno anticipato queste esigenze, da cui oggi possiamo trarre insegnamento o che semplicemente, essendo in attesa di risignificazioni, possono mettersi a disposizione delle forme abitative sollecitate dalla crisi sanitaria?
A partire dall’approfondimento della natura delle architetture carcerarie e manicomiali, declinata attraverso l’analisi dei caratteri storici, tipologici, formali, funzionali, sociali e psicologici, mettendone eventualmente in evidenza aspetti comuni, nonché varianti e invarianti, si intende riflettere sulle potenzialità che tali strutture possiedono per accogliere nuovi usi nella contemporaneità.
3.5 Narrazioni e riscritture. Il futuro del patrimonio detentivo storico |
Coordinatori: Valentina Pintus (Università degli Studi di Cagliari, Dipartimento di Ingegneria Civile, Ambientale e Architettura)
Email: valentinapintus@unica.it
Nel panorama attuale, il recente processo di dismissione che sta riguardando il patrimonio detentivo storico è destinato a ricoprire un ruolo sempre più centrale. Nella maggior parte dei casi, si tratta di organismi complessi di notevoli dimensioni che, originariamente dislocati in zone periferiche, oggi si ritrovano ad occupare estesi tasselli all’interno dei tessuti urbani storici (case penali). In altri casi, invece, tali organismi si sono insediati in località anche molto distanti dai centri urbani, scelte per le maggiori garanzie di isolamento e di sfruttamento delle risorse naturali (colonie penali). Tra questi due estremi esiste, però, una molteplicità di episodi minori, derivanti, ad esempio, dalla predisposizione di spazi detentivi in edifici destinati ad altre funzioni pubbliche, o, ancora, dalla obsolescenza di piccole strutture locali la cui limitata capacità detentiva è stata assorbita dalle carceri maggiori (case mandamentali). Nonostante abbia perso la funzione fondativa, tale patrimonio è ancora portatore degli originari valori culturali, storici, spaziali nonché detentore di nuove potenzialità economiche, urbane e sociali. Ma nella scelta di una nuova funzione a cui destinarle, la forte connotazione identitaria (seppure declinata in forme e dimensioni eterogenee), il portato psicologico e sociale oltre che il notevole potenziale economico, sono solo alcune delle problematiche da considerare. La sessione intende quindi raccogliere proposte che a partire dalla disamina di esperienze, dirette o indirette, sul riuso contemporaneo del patrimonio detentivo, stimolino una discussione sulle capacità adattative di tali fabbriche. In particolare, si intende discutere sulle difficoltà e potenzialità che accomunano tali interventi e che sono legati a numerosi fattori, talvolta anche in concomitanza tra loro. A titolo esemplificativo (ma non esaustivo) si possono citare gli aspetti materiali (la dimensione, la configurazione, la tipologia, …) e immateriali (le contraddizioni e le stratificazioni storiche, sociali ed emotive, …), le questioni sociali, economiche e relative alla proprietà (la necessità di investimenti considerevoli; la fattibilità e la sostenibilità della funzione scelta, le ricadute sulle comunità località, il dual/multi-use, …).
3.6 Gli ex Ospedali Psichiatrici. Luoghi in bilico tra memoria e oblio. Una rilettura operativa e strategica per la città contemporanea |
Coordinatori: Emanuela Sorbo (Università Iuav di Venezia)
Email: esorbo@iuav.it
A partire dalla legge n. 248 del 1865 le provincie sono obbligate a mantenere i “mentecatti poveri” avviando un processo di costruzione e/o conversione degli ospedali esistenti in “asili”, con una vasta copertura del territorio nazionale (uno per provincia). Questa azione politica accende il dibattito sulle tipologie architettoniche costituendo nella Italia Postunitaria un tentativo di costruire un modello che potesse determinare il ruolo della architettura come “macchina terapeutica”. La relazione tra malattia mentale e architettura si trasferisce nel piano del progetto nella adozione dei “small-village type” (manicomio-villaggio) e della tipologia “no-restraints”. Gli istituti mentali nascono come ‘piccole città indipendenti’, completamente autosufficienti e senza alcuna relazione con l’intorno urbano in una simulazione di libertà sottolineata da viali alberati, giardini e da una condizione estetica rurale combinata con le esigenze dello staff medico di vivere vicino ai centri abitati. A partire dal processo iniziato con la legge 180/1978 con la dismissione sul territorio nazionale degli OPP si genera una nuova misura di spazio urbano, nato per essere autonomo e chiuso in sé stesso, diventa frammento di architettura che partecipa della città ma essendone però di fatto negato. La posizione e le caratteristiche architettoniche così come la estensione di questi luoghi li rende naturalmente eletti a patrimoni di memoria e natura, così come sono stati classificati dal report della Fondazione Benetton del 1999. L’attuale condizione sul territorio nazionale è diversificata, alternando casi di abbandono a casi di riuso che possono essere letti in un orizzonte critico. La sessione intende riflettere sulla condizione attuale di questi luoghi: in che misura il progetto può misurarsi con la duplice esigenza di trasmissione della memoria degli ex ospedali psichiatrici con il loro essere frammenti urbani? Con quali strumenti e metodi possono essere coniugati nel riuso il valore tangibile e intangibile degli spazi? Quale è la misura della trasmissione della memoria dell’isolamento urbano in una strategia di valorizzazione e apertura del patrimonio architettonico, oggi in stato di abbandono? Questi luoghi intesi come relitti urbani possono essere considerati risorse strategiche per la città e la società contemporanea?
3.7 L’architettura di regime in Italia e nelle sue terre d’oltremare durante il ventennio fascista: passato, presente, futuro |
Coordinatori: Paolo Sanza (School of Architecture, Olkahoma State University)
Email: paolo.sanza@okstate.edu
L’immenso interesse al costruire esibito dal governo Mussolini, in particolare del moderno, cosa impareggiata nel mondo occidentale secondo l’americano Terry Kirk, autore di The Architecture of Modern Italy, ha lasciato all’Italia un immenso ed eterogeneo patrimonio architettonico. Gli eventi della seconda guerra mondiale e la disfatta del fascismo hanno fatto di molti edifici eretti negli anni venti e trenta un’eredità difficile da gestire, anche a un secolo di distanza e nonostante il rinnovato interesse a dare a questi edifici il loro valore intrinseco e non congiunto a un’ideologia politica. Durante il ventennio, altre architetture di valore non legate simbolicamente al regime, come impianti sportivi, colonie estive, o mercati coperti, e promosse da vari enti statali e para-statali, inclusi comuni e province, hanno analogamente contribuito ad arricchire il territorio nazionale e a manifestarsi come simbolo di un linguaggio architettonico strettamente italiano in linea con le aspirazioni sia dei futuristi sia dei razionalisti. L’incapacità di adattamento, la miopia, i giochi politici, il disinteresse, l’apatia, e altre forze “negative” esibite da numerose amministrazioni pubbliche (città, comune, provincia, regione, stato) del secondo dopoguerra hanno contribuito al lento degrado di molte opere fino al loro abbandono con conseguenze negative anche sul territorio circostante, privandolo, per esempio, di una propria vitalità e identità. In altri casi, l’affrettato riutilizzo ha comportato sia a gravi sfregi all’architettura originale sia a inappropriate destinazioni. L’eredità, ma anche la sua genesi, e un possibile futuro di questi “pezzi di città,” sono l’interesse di questa sessione cui invita autori e studiosi ad esprimersi e a confrontarsi.
4.1 Patrimonio religioso e catastrofi: strategie di adattamento e pretesti di resilienza |
Coordinatori: Giulia De Lucia (Politecnico di Torino)
Email: giulia.delucia@polito.it
Il patrimonio culturale religioso rappresenta la stratificazione di valori storico-architettonici, ma soprattutto memoriali e identitari per le comunità di riferimento. Il susseguirsi di eventi catastrofici sottopone periodicamente le chiese, e i relativi contesti, urbani a modifiche, danni e perdite, cui le comunità si sono sempre confrontate mettendo in atto diverse strategie di adattamento architettonico e sociale. Se la ricostruzione com’era dov’era consente la salvaguardia della memoria del passato, denotando un perseverante attaccamento – e adattamento – al luogo, in altri casi gli interventi post-catastrofe tendono a monumentalizzare il segno che l’evento stesso ha lasciato nel paesaggio, sottendendo un atteggiamento resistente all’evento traumatico. In altri casi ancora, l’adattamento – o il non adattamento – prevede complesse scelte di delocalizzazioni, abbandoni, ricostruzioni ex-novo del patrimonio religioso, come del contesto insediativo, che sono dettate da aspetti culturali e devozionali delle strutture sociali comunitarie. Ad ognuna di queste scelte adattive corrisponde una diversa resilienza delle comunità, intesa quale capacità di superare il trauma e riprendere le principali attività insediative, da un punto di vista pratico ed emotivo. In effetti, in alcuni casi, l’evento si configura come pretesto per mettere in atto e accelerare processi culturali, sociali, o architettonici in nuce, stimolando la capacità reattiva delle comunità. La sessione intende documentare, attraverso l’analisi di casi studio specifici o letture sistematiche del problema, la sussistenza di un effettivo rapporto tra le strategie di adattamento che vengono introdotte per il patrimonio religioso a seguito di catastrofi e le abilità resilienti del sistema urbano e delle realtà sociali, al fine di intercettare eventuali rapporti di causa-effetto. Per tale ragione, non sono fissati limiti cronologici ma si prediligono approcci multidisciplinari volti soprattutto a meglio identificare il tipo di fonti storiche da utilizzare in ricerche ad ampio spettro come queste. La sessione si propone così di contribuire a un dibattito più ampio sulla gestione contemporanea degli eventi estremi, cercando di approfondire scientificamente un approccio del tutto intuitivo, avallato dalla normativa vigente, secondo cui la rapida messa in sicurezza e riapertura degli edifici per il culto a seguito di eventi estremi rappresenta un elemento trainante per la ripresa resiliente della città.
4.2 Venezia in una prospettiva storica: paradigma di resilienza |
Coordinatori: Elena Svalduz (Università degli Studi di Padova), Donatella Calabi (Università IUAV), Ludovica Galeazzo (Harvard Center for Renaissance Studies at Villa I Tatti)
Email: elena.svalduz@unipd.it
AISU Panel
La storia di Venezia e della sua laguna s’inscrive all’interno di una dialettica tra natura e artificio dove il superamento degli ostacoli, come quelli relativi al costruire nell’acqua, ispira nel corso dei secoli soluzioni innovative che consentono alla città di adattarsi a un contesto particolarmente fragile. In quanto straordinario patrimonio di valori ambientali, ostinatamente tenuti in vita grazie ad azioni interrelate secondo il principio di cura continua e manutenzione, Venezia nella sua millenaria esistenza può essere vista come un paradigma di città resiliente. Un ambiente antropico e naturale che, resistendo alle continue avversità, ha saputo disporre in maniera consapevole delle proprie risorse, a volte limitate, progettando luoghi abitati con densità urbana ridotta o ampia, distribuendo servizi nello spazio e nel tempo, con una visione complessiva sia a scala dimensionale che cronologica. Modello singolare di città diffusa sull’acqua, nel corso dei secoli Venezia ha sapientemente e programmaticamente inserito anche il proprio arcipelago in quelle pratiche di adattamento e flessibilità che ne hanno permesso la sussistenza. Prolungamento del cuore cittadino, valvola di sfogo alla compatta trama edilizia, le isole lagunari hanno rappresentato il luogo primigenio destinato all’agricoltura e all’allevamento, al raccoglimento di comunità religiose e straniere ma anche un cordone sanitario e militare fondamentale per preservare la salute e la stabilità politico-economica dello Stato. La sessione intende indagare in un’ottica comparativa e in un ampio arco cronologico, dall’età antica fino alla contemporaneità, le trasformazioni e i diversi processi di adattamento, resilienza e reazione indotti all’interno del tessuto urbano lagunare da eventi traumatici, come incendi, guerre o epidemie. Se, come ha sottolineato Rafael Moneo Leone d’oro alla carriera alla Biennale architettura 2021, “in nessun’altra città la complementarietà tra natura e artificio, che accompagna l’architettura, si manifesta in modo così evidente come a Venezia”, quale fu la portata effettiva dell’attività edilizia e di tecniche costruttive particolari, perché adatte alle zone umide, nei processi di riorganizzazione urbana, nella creazione di quartieri ed edifici specifici? Quale il ruolo del patrimonio culturale e ambientale e la sua capacità di rigenerarsi anche di fronte alle più forti istanze di modernizzazione?
4.3 Spazio urbano e architettura in Italia meridionale nel Medioevo: fenomeni di adattamento e resilienza al mutare degli scenari politici |
Coordinatori: Arianna Carannante (Politecnico di Torino)
Email: arianna.carannante@polito.it
La sessione intende indagare il rapporto tra lo spazio urbano e l’architettura civile, religiosa e militare promossa dai differenti sovrani in Italia meridionale in un periodo ampio che va dal consolidamento del dominio normanno sino all’arrivo dei regnanti angioini nella parte peninsulare e la successiva conquista aragonese della Sicilia. Uno scenario mutevole per l’intera parte meridionale della penisola che vede la trasformazione – adattativa o resiliente – degli abitati in relazione principalmente alle scelte politiche e strategiche dei differenti sovrani ma anche delle influenti élite nobiliari. Vi sono alcune realtà emblematiche tra le quali si può citare il caso della città di Napoli il cui volto viene modificato nel corso di un ventennio a partire dall’ultima decade del XIII secolo. L’elezione a sede della corte, dopo la perdita della Sicilia, favorì la trasformazione della facies preesistente. L’avvio contemporaneo di numerosi cantieri religiosi – vescovili e di ordini mendicanti – (San Domenico Maggiore, Cattedrale di Napoli, San Lorenzo Maggiore, Santa Maria Donnaregina ecc.), di edilizia civile e militare (Castel Capuano, Castel dell’Ovo, Castelnuovo, ecc.), e di palazzi nobiliari la rese una città molto attiva economicamente. In particolare nella relazione tra le fabbriche la configurazione dello spazio urbano assunse un valore simbolico per la «messa in scena» del potere regio. Nel quadro dei diversi contesti urbani, i relatori sono invitati ad approfondire la relazione tra la trasformazione dell’abitato, di centri minori o maggiori, e la costruzione di alcuni edifici emblematici a livello politico – non solo dei sovrani ma anche delle famiglie nobiliari – divenuti tali anche a livello urbano. Si accetteranno soprattutto contributi «trasversali» che analizzino le dinamiche insediative dei differenti «poteri» all’interno di un singolo contesto urbano. Verrà posta particolare attenzione all’analisi dell’architettura religiosa e civile divenuta strategica per la rappresentazione del potere nei differenti periodi storici.
4.4 Palazzi resilienti. L’architettura civica come specchio e strumento dell’adattabilità urbana (secoli XII-XVII) |
Coordinatori: Marco Folin (Università di Genova), Andrea Longhi (Politecnico di Torino)
Email: mafolin@libero.it
AISU Panel
Sin dal medioevo, le città italiane si sono dotate di palazzi pubblici e architetture civiche di forte impatto urbano: edifici, monumenti, infrastrutture che assolvevano a svariate funzioni d’uso collettivo e in cui poteva riconoscersi l’identità civile degli abitanti. Questi edifici hanno spesso mantenuto per secoli, in certi casi sino ad oggi, un ruolo cruciale nella vita politica e culturale cittadina, come uno dei luoghi deputati all’autorappresentazione delle autorità locali e dei loro programmi di ‘buon governo’. Questo legame forte e fondante con la storia delle collettività cittadine non è stato tuttavia privo di conseguenze: lungi dal costituire una tipologia durevole, nel corso del tempo i palazzi pubblici sono stati chiamati ad assolvere svariate funzioni materiali e simboliche, generando continui, a volte radicali processi di trasformazione non solo a livello di usi e apparati decorativi, ma anche in termini più propriamente strutturali e architettonici. Tant’è che molto spesso anche quegli edifici e modelli che si presentano come frutto di persistenze genuinamente ‘originarie’ non sono in realtà che il frutto di ricostruzioni e restauri stilistici otto-novecenteschi.
In questo contesto di lungo periodo, la sessione mira a focalizzare l’attenzione sui momenti di svolta, le cesure storiche, le fasi di ristrutturazione/riconversione dopo eventi drammatici: incendi, guerre, epidemie di peste; l’affermazione di poteri signorili o l’assoggettamento a città dominanti; la trasformazione dei consigli cittadini in organismi di ceto. Saranno particolarmente privilegiati gli approcci trasversali, capaci di mettere in luce la complessità dei processi storici nel contesto urbano e la permeabilità dell’architettura rispetto alle dinamiche politiche, sociali e culturali del proprio tempo.
4.5 Comunità resilienti del medioevo mediterraneo |
Coordinatori: Riccardo Rao (Università degli Studi di Bergamo)
Email: riccardo.rao@unibg.it
La crescente attenzione per i temi di storia ambientale negli studi sul medioevo ha portato anche a lambire il tema della resilienza. Soprattutto per il Nord Europa, sono state proposte riflessioni sistematiche sulle Resilient societies di fronte ai disastri, in particolare alle devastanti inondazioni del Mare del Nord (da ultimo, Disasters and History: The Vulnerability and Resilience of Past Societies, Cambridge, 2020). Per il Mediterraneo e l’Italia, una simile sensibilità muove soltanto i primi passi. Numerosi sono tuttavia gli interrogativi a cui rispondere:
- innanzitutto, come le comunità medievali, urbane e rurali, hanno affrontato i disastri ambientali, siano essi i fenomeni di inondazione (marina, ma anche fluviale) oppure le frane e le valanghe o ancora i terremoti? E in particolare: si può parlare, come è stato fatto per l’Europa del Nord, di risk societies, capaci di sviluppare una forma di coesistenza con il rischio ambientale, grazie a particolari caratteristiche di flessibilità? Ed esiste un rapporto, come è stato proposto per le Fiandre e i Paesi Bassi, tra lo sviluppo di efficaci sistemi di welfare e di redistribuzione della ricchezza (a partire dai beni comuni) e una maggiore resilienza di fronte al disastro?
- Inoltre, è possibile parlare di specifiche forme di resilienza per quanto riguarda le comunità della montagna (le aree che oggi noi definiamo “interne”)? Le forme di insediamento stagionale, il variare del clima (in particolare per la fase fredda dei primi secoli del medioevo, quella calda dei secoli centrali e quella di nuovo freddo-umida del tardo medioevo), l’agricoltura di montagna, l’elaborazione di strategie costruttive che prevedano forme di isolamento dal freddo, le migrazioni intese a colonizzare l’alta montagna, l’adozione di forme di gestione sostenibili delle risorse naturali, quali boschi e prati: tali fattori come hanno contribuito a sviluppare la resilienza delle comunità montane?
Su tali aspetti il panel proposto vuole sollecitare l’attenzione.
4.6 Paesaggio e biodiversità per la resilienza del territorio |
Coordinatori: Angioletta Voghera (Politecnico di Torino), Gabriella Trotta-Brambilla (École nationale supérieure d’architecture de Normandie), Benedetta Giudice (Politecnico di Torino)
Email: angioletta.voghera@polito.it
AISU Panel
La resilienza trasformativa delle città e dei territori post-pandemia è una chiave per superare le crisi ambientali, sociali, economiche e sanitarie. Queste crisi possono essere interpretate come opportunità per costruire politiche e progetti per superare le vulnerabilità territoriali, puntando sulla funzionalità ecologica dei territori, sulla valorizzazione del paesaggio e del patrimonio culturale, sulla costruzione di alleanze tra territori naturali, rurali e urbani. L’obiettivo della sessione è discutere di politiche, piani e progetti territoriali e urbani basati su una rinnovata interazione tra uomo e natura, per costruire un’alleanza ricreativa e fruitiva del sistema dei beni culturali, naturali e paesaggistici, ma anche un’alleanza “educativa”, di produzione di beni alimentari e di servizi ecosistemici. La biodiversità in ambito urbano è quindi un’opportunità per rilanciare il ruolo delle aree verdi, dei parchi urbani e delle aree protette come motore di resilienza, salute, benessere e qualità in relazione alla molteplicità delle funzioni e dei ruoli che possono assumere in ambito territoriale e urbano. Inoltre, su questi temi molteplici sono le esperienze e le pratiche innovative di co-gestione e co-progettazione in un’ottica collaborativa e transdisciplinare. La sessione si propone di raccogliere esperienze nazionali e internazionali che affrontino i temi della biodiversità in città nelle sue diverse declinazioni (reti ecologiche, infrastrutture verdi e blu, strategie e progetti di valorizzazione ecologica e paesaggistica, rinaturazione di territori urbani, riforestazione). Saranno apprezzati anche eventuali contributi che traccino l’evoluzione del pensiero urbanistico rispetto alla relazione città-natura e/o che evidenzino gli impatti di queste teorie sulla trasformazione della città nel tempo, al fine di mettere in luce la genesi degli spazi della città contemporanea (identificati e consolidati, ma anche interstiziali o abbandonati, …) che si prestano oggi a una rilettura e trasformazione in chiave resiliente.
4.7 Le capacità di adattamento delle città italiane tra XX e XXI secolo |
Coordinatori: Michele Manigrasso (Università G. d’Annunzio di Chieti-Pescara), Gabriele Nanni (Osservatorio CittàClima di Legambiente), Edoardo Zanchini (Osservatorio CittàClima di Legambiente)
Email: michelemanigrasso@gmail.com
La maggior parte delle città italiane oggi risulta impreparata e vulnerabile di fronte ai sempre più frequenti eventi meteo-climatici estremi che accelerano i processi di dissesto idrogeologico in maniera davvero significativa. Negli ultimi due decenni, abbiamo assistito all’amplificarsi di studi e ricerche su questi fenomeni, e sulle loro ricadute in termini sociali ed economici; e nonostante si siano intensificate anche le pratiche di pianificazione e progettuali atte a costruire le condizioni urbane di adattamento – per anticipare in prevenzione e ridurre gli interventi in emergenza – i risultati sono molto deludenti.
Dal 2017, Legambiente con l’Osservatorio Città Clima monitora gli impatti dei cambiamenti climatici su tutto il territorio italiano, prestando particolare attenzione alle aree urbane e alla fragilità che esse dimostrano nelle giornate di piogge eccezionali: una mappa del rischio, in costante aggiornamento, aiuta a comprendere quanto sta avvenendo, perché raccoglie ed elabora informazioni sugli impatti degli eventi estremi, mettendole a disposizione dei governi alle varie scale del territorio (si veda www.cittaclima.it).
Ma nel secolo scorso, quali città potevano essere considerate virtuose, perché costruite con sistemi intelligenti di accesso all’acqua potabile, di depurazione, di laminazione e drenaggio? Prima che i cambiamenti climatici catturassero in maniera pervasiva le attenzioni della ricerca scientifica, come erano gestiti nelle città italiane il rapporto con l’acqua e il rischio associato ad eventi occasionali? Come si sono riorganizzate (economicamente, socialmente e spazialmente) in seguito a improvvisi allagamenti ed esondazioni? Oggi, si può parlare di un “regresso delle capacità adattive”, prodotto dalla contingenza degli stress ambientali e delle bieche politiche urbane di consumo di suolo, cementificazione e pratiche progettuali obsolete?
Questa sessione intende accogliere studi, ricerche e testimonianze dai territori, per indagare, a partire dai primi anni del ’900, il processo di evoluzione delle capacità di adattamento delle città italiane alle condizioni meteo-climatiche – con particolare attenzione al rapporto con l’acqua. L’obiettivo di provare a tracciare l’andamento della curva evolutiva della resilienza urbana, incrociando l’effetto dei “fattori esterni” che si sono attivati nel tempo (cambiamenti climatici, ambientali ed economici) e l’effetto dei “fattori interni” alla città (aumento demografico, espansioni incontrollate, consumo di suolo, nuovi strumenti di pianificazione).
4.8 La città e le leggi. Topografie della resilienza nell’Italia del Novecento |
Coordinatori: Fabio Mangone (Università di Napoli Federico II), Massimiliano Savorra (Università di Pavia)
Email: mangone@unina.it
AISU Panel
Le città si sono sempre adattate alle leggi. Ogni qualvolta un nuovo ordinamento legislativo ha interessato pratiche, meccanismi e gestione di strutture urbane complesse, i placemaker hanno messo in atto plurime strategie, affinché la città potesse adeguarsi alle richieste di una specifica legge. Innumerevoli sono i provvedimenti che hanno influito sul volto delle città italiane nel corso del XX secolo, a partire dalla legge Luzzati del 1903, che prevedeva la formazione di istituti autonomi di case popolari, fino alla legge 10 del 2013, riguardante lo sviluppo degli spazi verdi. Con l’obiettivo di presentare casi studio inesplorati, la sessione intende fare il punto su come le città si siano adattate, sia in senso trasformativo che conservativo, in seguito all’emanazione di alcune leggi. Quali sono stati i modi in cui queste sono state interpretate? Come hanno risposto architetti, urbanisti, amministratori pubblici, imprese immobiliari, agli obiettivi di un determinato provvedimento? In particolare, si invita a riflettere su:
L. 29/6/1909, 364 Legge Rosadi Prima legge organica unitaria in materia di tutela del patrimonio culturale
L. 4 /4/1912, 305 Provvedimento per l’esercizio delle assicurazioni (prevede, tra le altre cose, che le riserve siano investite in immobili)
L. 11/6/1922, 778 Per la tutela delle bellezze naturali e degli immobili di particolare interesse storico
L. 23/6/ 1927, 1630 Servitù aeronautiche e sistemazione degli aeroporti
L. 21/6/1928, 1580 Disciplina per la costruzione dei campi sportivi
L. 26/12/1936, 2174 Esposizione universale indetta in Roma 1941-42
L. 22/11/1937, 2105 Norme tecniche per l’edilizia, con prescrizioni per le località colpite dai terremoti
L. 29/6/1939, 1497 Protezione delle bellezze naturali
L. 17/8/1942, 1150 Legge urbanistica nazionale
L. 1/3/1945, 154 Norme per la ricostruzione degli abitati danneggiati dalla guerra
L. 28/2/1949, 43 Piano INA-Casa Provvedimenti per incrementare l’occupazione con la costruzione di case per lavoratori
L. 9/8/1954, 640 Provvedimento per la eliminazione delle abitazioni malsane
L. 18/4/ 1962, 167 Disposizioni per favorire l’acquisizione di aree per l’edilizia economica e popolare
L. 28/7/ 1967, 641 Nuove norme per l’edilizia scolastica e universitaria e piano finanziario per il 1967-1971
L. 28/1/1977, 10 Legge Bucalossi
Norme per l’edificabilità dei suoli
L. 8/8/1985, 431 Legge Galasso
Disposizioni per la tutela delle zone di interesse ambientale
4.9 Centri storici, approvviggionamento dei materiali e storia della costruzione |
Coordinatori: Daniela Esposito (Sapienza Università di Roma), Ilaria Pecoraro (Sapienza Università di Roma)
Email: daniela.esposito@uniroma1.it
Gli studiosi illustreranno gli esiti di ricerche riferite alla relazione fra fenomeni tecnico-costruttivi di lunga durata, adattamento, resilienza della storia dell’architettura nelle comunità urbane e rurali. Si potranno approfondire temi di storia del cantiere medievale e di Età Moderna, relazioni fra geositi, caratteri del sottosuolo e materiale dell’edilizia storica; cromatismi della geologia del luogo e cromie delle tecniche di finitura storiche; caratteri identitari propri di aree geograficamente omogenee, connotanti paesaggi storici intra ed extra moenia; natura ecologica e carattere innovativo delle tecniche costruttive tradizionali locali e il loro apporto negli interventi di restauro su edifici del tessuto storico.
4.10 La risposta delle città alle opere di canalizzazione idraulica. Trasformazioni geografiche, economiche e culturali nelle città d’acqua dal 1800 ad oggi |
Coordinatori: Silvia La Placa (Università di Pavia) Massimiliano Savorra (Università di Pavia)
Email: silvia.laplaca@unipv.it
La gestione della risorsa idrica affianca la storia dei sistemi insediativi fin dai tempi più remoti e, più in generale, ha condizionato lo sviluppo delle diverse civiltà. Molti territori sono interamente subordinati ai sistemi di gestione dell’acqua, le cui infrastrutture ne hanno mutato l’aspetto significando lo spazio e qualificando oltre all’immagine, la vita. Approcciare tale complessità implica il riferirsi ad un quadro multidimensionale, confrontandosi con gli aspetti legati al percorso dell’acqua e del territorio che viene attraversato, ai diversi usi che l’uomo ha fatto dell’elemento idrico e alla loro memoria. La sommatoria di tali espressioni, concretizzate in segni e cicatrici sedimentati nei luoghi, qualifica paesaggi e città d’acqua, rendendone difficile una sintesi esaustiva.
Storicamente, in tutto il mondo, le opere di canalizzazione irrigua hanno modificato i terreni paludosi in aree produttive e la conseguente crescita economica ha portato alla definizione di importanti vie d’acqua artificiali per il collegamento dei principali centri urbani con altre realtà. In alcune città l’applicazione di straordinarie capacità tecniche e invenzioni ingegneristiche sul tema permane ancora oggi, divenendone caratteristica identitaria e fulcro delle attività economiche e culturali. In altre, a partire dall’Ottocento, le esigenze di velocità hanno favorito i trasporti via terra, riducendo le grandi opere idrauliche per la navigazione a meri segni sul territorio.
Se alcuni sistemi di canalizzazione versano in una condizione precaria, che li interessa a più livelli, dai manufatti idraulici alle aree verdi di pertinenza dei canali urbani, di altri ne rimane solamente memoria.
Come è possibile recuperare, conoscere e valorizzare questi sistemi? Quali sono ad oggi le strategie più appropriate per la documentazione delle opere architettoniche e infrastrutturali legate alla risorsa idrica? In che modo è possibile salvaguardare e tramandare nel tempo il valore storico, culturale e sociale del patrimonio idraulico per la città?
I diversi approcci alla conoscenza del patrimonio materiale e immateriale, in questa sede associato ad un più generale paesaggio dell’acqua, sono occasione di confronto sulle risposte sociali alle trasformazioni antropiche di sistemi naturalistici e urbani e di valutazione dei possibili scenari futuri sulla gestione sostenibile, il mantenimento e la fruizione del patrimonio idraulico nelle città.
4.11 Paesaggi resilienti |
Coordinatori: Angela Diceglie (Università degli Studi di Bari Aldo Moro)
Email: angela.diceglie@uniba.it
Il paesaggio sia esso urbano o rurale o costiero è un sistema complesso di relazioni, plasmate nel tempo e caratterizzate da processi costruttivi, decostruttivi e ricostruttivi in cui trova espressione il continuo rapporto uomo-ambiente. Gli studiosi sono invitati ad interrogarsi sui processi di trasformazione del paesaggio, in età moderna e trovare spunto per proposte progettuali di difesa del rapporto uomo-ambiente.
4.12 Riuso adattativo del patrimonio religioso dismesso o sottoutilizzato. Progetti strategici integrati e approcci metodologici per il riuso adattivo di chiese ed edifici religiosi storici dismessi o sottoutilizzati |
Coordinatori: Mariateresa Giammetti (Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Napoli Federico II), Pasquale De Toro (Università degli Studi di Napoli Federico II) , Carla Danani (Università di Macerata), Albert Gerhards (Rheinische Friedrich-Wilhelms-Universität Bonn), Alexander Radej (Rheinische Friedrich-Wilhelms-Universität Bonn)
Email: mariateresa.giammetti@unina.it
Le Linee Guida del Vaticano del 2018 su “La dismissione e il riuso ecclesiale di chiese” raccomandano che: «[…] se l’inclusione sociale e la salvaguardia della creazione (questione ecologica) sono le due sfide fondamentali del nostro tempo, riconducibili alla più ampia sfida della «umanizzazione» della città e del territorio, anche il riuso funzionale delle chiese dismesse potrebbe costituire un’opportunità, se ricondotto al principio dell’economia circolare, che si ispira alla natura e che si fonda innanzitutto proprio sul riuso, il restauro, la rigenerazione, il riciclo». Questa riflessione ispirata alle categorie della resilienza trasformativa delle città e dei territori, pone un tema sempre più cogente anche alla luce degli effetti della crisi economica e sociale connessa all’emergenza pandemica. La sessione sarà interdisciplinare e organizzata in coordinamento tra il Dip. di Architettura Univ. Federico II, il Dip. di Studi Umanistici Univ. di Macerata e la Katholisch-Theologischen Fakultät Univ. Bonn. La sessione sarà articolata in due sub sessioni con i seguenti obiettivi: Sub-sessione 1 _ Presentare esperienze progettuali e di ricerca legate a progetti e studi sul riso adattivo, per mettere a confronto buone pratiche sviluppate sia in Italia che all’estero. Sub-sessione 2 _ Individuare tematiche utili a tracciare criteri di supporto per i processi di transizione verso la riconversione/dismissione del patrimonio culturale religioso. A titolo esemplificativo ed affatto esaustivo si riportano alcuni dei contenuti che si propone di sviluppare nelle due Sub sessioni: Sub sessione 1: – lavori di ricerca e progetti condotti nell’ambito del Corso di perfezionamento in Riuso adattivo e gestione integrata del patrimonio culturale religioso dismesso promosso dal Dipartimento di Architettura dell’Università Federico II (DIARC); – studi e progetti condotti nell’ambito della collaborazione tra il DIARC ed una delle unità di ricerca del Programma di ricerca interdisciplinare Transara Sakralraumtransformation finanziato da Deutsche Forschungsgemeinschaft (DFG). Sub sessione 2: – Riflessioni sulla trasformazione dei luoghi del sacro nell’orizzonte teoretico delle categorie di Soglia, Confine e Attraversamento sviluppate attraverso un dibattito tra studiosi di architettura, economia, filosofia morale e teologia liturgica.
4.13 Progettare lo spazio urbano. Il ruolo dei Complex Buildings nella progettazione e reinvenzione dello spazio pubblico nella città |
Coordinatori: Emanuela Margione (Politecnico di Milano)
Email: emanuela.margione@gmail.com
I Complex Buildings possono essere definiti come spazi eterotopici caratterizzati da un articolato programma di attività capace di riadattarsi nel tempo per rispondere ai bisogni della società. I primi prototipi vengono sperimentati a New York a partire dal 1916. Altri esempi sono riscontrabili sia nelle Kultur House sovietiche degli anni ’20, che negli edifici corporativisti fascisti degli anni ’30. Casi di studio più contemporanei sono invece i SESC brasiliani e i centri civici progettati nelle aree suburbane a partire dagli anni ’60.
Questi edifici, pur mostrando caratteristiche antitetiche (contesto politico in cui vengono realizzati, definizione architettonica e collocazione urbana, utenza a cui sono destinati) presentano svariati denominatori comuni che trascendono il mero aspetto funzionale. Tra questi, la ramificata rete di relazioni con l’area urbana circostante (tale da rendere difficile la distinzione tra la scala architettonica e quella urbana); il forte impatto nella rigenerazione delle aree urbane; la capacità di ospitare comunità diverse e di generare una serie di nuovi comportamenti spontanei. Diventa così chiaro quanto la loro definizione non possa più esaurirsi esclusivamente nella complessità del programma di attività ma debba considerare quegli aspetti relativi alla genesi, alla costruzione e alla resilienza dei suoi spazi capaci sia di riqualificare parti della città che di generare nuovi comportamenti sociali.
La sessione accoglie proposte in cui, attraverso un punto di vista progettuale, vengono indagati i momenti di genesi architettonica e urbana dei Complex Buildings (es. promuovendo un confronto critico tra progetti sviluppati in diversi contesti politici, storici, culturali e geografici); vengono analizzati i caratteri essenziali di una spazialità resiliente (es. descrivendo la configurazione spaziale degli edifici, le caratteristiche fisiche che rendono la forma indipendente dalla funzione, in che modo, attraverso la composizione, lo spazio si trasforma in soglia tra la dimensione architettonica e quella urbana); vengono descritte le modalità attraverso la quale la città, contemporanea e non, accoglie questo particolare tipo di architettura; viene investigato il ruolo di questi edifici come una possibile soluzione per affrontare le questioni urbane contemporanee e future (es. descrivendo il loro effetto diretto sugli spazi pubblici della città evidenziando la relazione tra definizione spaziale e nuovi comportamenti sociali).
4.14 Resilienza e patrimonio |
Coordinatori: Grazia Brunetta (Politecnico di Torino), Michela Benente (Politecnico di Torino)
Email: grazia.brunetta@polito.it
Gli studiosi sono invitati a presentare studi o ricerche che affrontino la complessa relazione tra Resilienza e Patrimonio. I temi, volti all’approfondimento epistemologico del concetto di ‘resilienza’ in relazione ai progetti di conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale, dovranno essere compresi nel quadro culturale della sostenibilità. Facendo riferimento alle dinamiche di cambiamento, si ritengono di particolare interesse gli studi volti allo sviluppo di modelli analitici incentrati sull’analisi valoriale dei beni in relazione alla definizione di strategie progettuali e di governance territoriale. L’importanza di un approccio interdisciplinare ai temi legati a innovazioni e/o sperimentazioni per la costruzione di progetti di rigenerazione e valorizzazione, si profila quale elemento essenziale in relazione alla declinazione al concetto di resilienza al patrimonio culturale. Temi riconducibili alla sessione sono: – Interpretazione dei problemi generati dagli effetti del cambiamento climatico, in rapporto al patrimonio culturale e ai progetti di rigenerazione.
Analisi e lettura critica delle componenti complesse del sistema territoriale che riguardano la resilienza del patrimonio culturale; – Interpretazione di quadri interdisciplinari di analisi delle vulnerabilità territoriali, nell’ottica dell’elaborazione di soluzioni progettuali per la resilienza del patrimonio culturale; – Presentazione di progetti “resilienti” per la valorizzazione del patrimonio culturale ovvero progetti in cui sia esplicitata la capacità di adattamento ed evoluzione del patrimonio per politiche di valorizzazione del sistema territoriale.
4.15 Anfiteatri romani e antichi edifici per lo spettacolo: sopravvivenza e adattamento |
Coordinatori: Luigi Cappelli (Dipartimento di Architettura – Università degli Studi di Napoli Federico II)
Email: lui.cappelli@gmail.com
Gli anfiteatri e gli antichi edifici per lo spettacolo di epoca romana, teatri, circhi, odeia, basati su precisi caratteri tipologici e su una stretta connessione ai loro sistemi urbani di riferimento, hanno dimostrato, nei secoli, una notevole capacità adattiva per la loro sopravvivenza, pur richiedendo significative trasformazioni architettoniche, necessarie per nuovi usi.
Anche oggi tali manufatti possono assecondare paesaggi e città in continuo divenire, prestare le loro imponenti strutture a nuove dinamiche di visita e di uso, ponendosi come fulcri di strategie di gestione e simboli di un patrimonio fragile da indagare, conoscere, preservare, “usare” e trasmettere al futuro.
4.16 La città resiliente: tecnologie digitali e patrimonio culturale, azioni di rilancio strategico tra piccoli centri e periferie estese |
Coordinatori: Carlo Vannicola (Scuola di Architettura e Design ‘Eduardo Vittoria’ , Università di Camerino), Eleonora Lupo (Politecnico di Milano), Maria Carola Morozzo della Rocca (Scuola Politecnica di Genova), Manuel Scortichini (Scuola di Architettura e Design ‘Eduardo Vittoria’ , Università di Camerino), Yanan Fu (Zhengzhou University, China), Xue Feng (Zhengzhou University China; Cao Yang, Zhengzhou University) China
Email: carlo.vannicola@unicam.it
La fruizione, diffusione e salvaguardia del patrimonio culturale materiale e immateriale, legato ai rispettivi territori di provenienza, subisce oggi una profonda trasformazione in relazione alle innovative pratiche di interazione e condivisione. La valorizzazione e la promozione dei beni culturali, attraverso questi nuovi supporti mediali, raggiunge una più adeguata inclusività sociale. L’innovazione digitale, in relazione alla resilienza degli ambienti storicizzati, mediante sistemi, servizi, processi e prodotti, influisce sulla gestione delle relazioni tra spazio e azioni in esso sviluppate. Le nuove tecnologie di studio, rilevamento, rappresentazione e diagnosi consentono una più approfondita conoscenza della memoria storica, attivando altresì l’opportunità di interazione a distanza con fonti e contenuti altrimenti non fruibili.
Queste pratiche di disseminazione mediale contribuiscono a definire nuove relazioni dialettiche, al limite tra scienza e gaming per un pubblico trasversale. Gli eventi culturali, nel ruolo di attivatori di affiliazione e interazione continua con il patrimonio, sono in grado di incrementare la relazione con turisti e fruitori locali, quale pratica fondamentale per i servizi culturali di quartiere e dei centri storici minori. La capacità adattiva di tali realtà passa attraverso la creazione di reti connesse per la gestione del patrimonio culturale, che le rendono più efficaci e sostenibili nel tempo se applicate a territori diffusi.
SINTESI
La sessione propone di avviare una panoramica multidisciplinare sulle attuali prassi progettuali urbane, legate alla salvaguardia e disseminazione del patrimonio culturale, inteso come elemento attivatore di relazioni sociali di prossimità. Tali trasformazioni, urbane e sociali, saranno lette in relazione della diffusione delle tecnologie digitali.
SOTTO SESSIONI
A. Scenari contemporanei del design per la diagnostica, conservazione e disseminazione del patrimonio culturale.
B. Nuove prassi per il design dei servizi e degli eventi per l’attivazione del patrimonio culturale.
C. Aspetti teorici generati dalle interazioni tra spazi urbani e relazioni sociali, nello scenario digitale e post pandemico.
4.17 Spazio pubblico adattivo |
Coordinatori: Luigi Coccia (Università di Camerino), Antonio di Campli (Politecnico di Torino), Alessandro Gabbianelli (Università di Roma 3)
Email: luigi.coccia@unicam.it
La pandemia di coronavirus è stata un’esperienza segnante che ha imposto una discontinuità concettuale sui modi di pensare l’urbanità e su come questa si è manifestata negli ultimi due secoli. In tal senso, questa sessione intende attivare una discussione sui caratteri e sui problemi della città occidentale focalizzando l’attenzione sullo spazio pubblico. Se lo svuotamento delle piazze storiche ha accentuato la forza espressiva dello spazio aperto nei tessuti consolidati favorendo la contemplazione della bellezza architettonica, l’occupazione inusuale di vuoti residuali ha messo in evidenza l’assenza di qualità architettonica dei luoghi periferici acquisiti come nuovi spazi di relazione dalle elevate potenzialità. Si comprende l’urgenza di interpretare i fenomeni in atto e di avanzare ipotesi progettuali sul tema dello spazio pubblico, una spazialità capace di recepire le molteplici istanze espresse dalla società e di conformarsi alla variegata natura dei contesti. Ragionare sullo spazio pubblico significa sperimentare nuove relazioni fisiche e sociali tra una moltitudine di punti dispersi sul territorio, ripensare ai luoghi della convivialità capaci favorire l’incontro tra esseri viventi garantendone la distanza. Adattività e coesistenza sono termini che mettono in discussione il tradizionale discorso attorno al progetto dello spazio aperto come luogo della continuità, della porosità e della mixité sociale e formale, spostando l’attenzione verso l’invenzione di strategie utili a definire nuove interazioni, messa in contatto ma anche presa di distanza tra differenze. La pandemia ha intensificato il carattere del campo urbano come macchina differenziante, che produce differenze sociali, politiche, ecologiche. In tal senso come far fronte alle esigenze di molteplici gruppi, collettivi, ecologie? Come assembrare differenti pratiche dell’abitare e di produzione spaziale? Come ridefinire senso e valore della relazione nelle nostre città? Il nesso tra adattabilità e coesistenza esplora pertanto la ridefinizione del senso dello spazio pubblico, aperto, verde, in rapporto alle pratiche sociali post-pandemiche. Le questioni sollevate e gli interrogativi da esse scaturiti potranno trovare sviluppi e auspicabili risposte nel territorio urbanizzato: tra densità e rarefazione le indagini potranno condurre alla prefigurazione di nuovi scenari in una varietà di situazioni urbane che vanno dalle aree consolidate a quelle della dismissione e delle frange urbano-rurali.
4.18 ‘Città nelle città’. I grandi innesti urbani del fascismo nella città contemporanea |
Coordinatori: Sara Iaccarino (Università degli Studi di Napoli “Federico II”)
Email: s.iaccarino@hotmail.com
La sessione intende indagare le permanenze nella città contemporanea dei tracciati e dei grandi innesti urbani realizzati durante la stagione del fascismo in Italia. La città storica, durante il regime, è stata oggetto della sovrapposizione di un nuovo layer, con le sue regole e i suoi tracciati: essa diviene fulcro di interventi di liberazione e riscrittura, normati attraverso la definizione dei nuovi piani regolatori, nonché sede di innesti progettuali di vasta estensione atti a divenire manifesto delle ‘gesta’ e del potere del regime stesso. Varie erano le funzioni ospitate: mostre, fiere, centri universitari o sportivi nascevano con l’intento di destinare nuove ed estese aree urbane ai cittadini e, soprattutto, di creare spazi che, nella loro asettica monumentalità, contribuissero a ricreare scenografie urbane di rappresentatività.
Nel momento in cui tali complessi hanno perduto la funzione originaria e il ruolo di ‘manifesto costruito’, si è avviato un lungo periodo di decadenza e di dismissione che, ad oggi, ci mostra aree fortemente sconnesse, i cui caratteri monumentali sono lentamente degenerati in vuoti incerti e decadenti. Basti pensare al grande complesso dell’EUR di Roma: l’esasperata ricerca prospettica e monumentale condotta nella sua realizzazione ha ceduto oggi ad un immaginario fatto di spazi vuoti e atipici, scanditi da edifici immensi non pienamente sfruttati e rifunzionalizzati. Anche nella Mostra d’Oltremare di Napoli, le episodiche attività fieristiche ospitate nel complesso non hanno mai incentivato una piena rifunzionalizzazione e riqualificazione architettonica dei suoi spazi, che versano in pessime condizioni conservative e che mai sono stati restituiti completamente ad una città che perennemente richiede, tra l’altro, spazi e luoghi di comunità.
Tale condizione, dettata dalla non piena inclusione della città contemporanea di questi frammenti di città, caratterizzati da una storia e da una definizione tipologica controversa, reclamano fortemente nuove istanze di valorizzazione e di risignificazione. In un’ottica sequenziale, dunque, per la quale la città contemporanea si compone di layer sovrapposti afferenti a varie storie costruttive, urge indagare, attraverso la comparazione di vari casi, su come la città si sia gradualmente adattata a tali innesti e di come li abbia progressivamente accolti o rigettati nel suo attuale assetto.
4.19 Il recupero del paesaggio. Comunità locali tra rigenerazione e resilienza |
Coordinatori: Francesco Alberti (Università di Ferrara)
Email: francesco.alberti@unife.it
Le riflessioni sul funzionamento metabolico e le ecologie relazionali che dovrebbero strutturare la città contemporanea generano ricadute rilevanti anche sulle modalità di ripensare il progetto di valorizzazione per lo sviluppo e la crescita dei territori locali: occorre mirare prioritariamente all’attivazione di una molteplicità di interventi concatenati tra loro, anche di piccole dimensioni e costruiti dal basso, piuttosto che soltanto nuove grandi opere, per favorire processi di adattamento graduale dell’esistente, attraverso cui provare ad assorbire i mutamenti introdotti dalle innovazioni tecnologiche, sociali ed economiche. Una realtà particolarmente significativa è rappresentata dalla comunità locale del Consorzio Uomini di Massenzatica (CUM) ubicata nella parte ferrarese del Delta del Po nell’ambito territoriale del Paesaggio Mab-Unesco. La morfologia di questa parte della provincia ferrarese va fatta risalire direttamente all’origine del territorio stesso, ossia alla sua natura di territorio di bonifica. La storia delle bonifiche forse è la più particolare delle storie della trasformazione dell’ambiente naturale in paesaggio umano e dei rapporti che hanno provocato la trasformazione. A partire dal VI secolo a.c. gli Etruschi si spinsero nell’Italia settentrionale nella direzione del mare Adriatico stabilendo la propria area di controllo nel delta del Po, tradizionale area di approdo e scambio della navigazione mediterranea in particolare di quella greca. Qui fondarono la città di Spina – posizionata alla confluenza di vie di comunicazioni strategiche fluviali e terrestri (Reno, Po, Adriatico) – che ebbe lunghi e duraturi rapporti commerciali con Atene e il mondo greco. Gli Etruschi passarono da una miriade di piccoli interventi precedenti – sparsi e non coordinati sul territorio – alle prime opere idrauliche inserite entro politiche di gestione delle acque.Ed è in questo contesto che si colloca, a partire dal medioevo, la realtà del Consorzio Uomini di Massenzatica (CUM), all’interno del Delta antico ed immerso nel paesaggio del basso ferrarese, accanto alla riserva naturale orientata delle Dune di Massenzatica, sito di importanza comunitaria (SIC) e Zona di Protezione Speciale (ZPS), di estremo interesse naturalistico.
4.20 Palazzi resilienti. L’architettura civica come specchio e strumento dell’adattabilità urbana (secoli XVIII-XX) |
Coordinatori: Maria Grazia D’Amelio (Sapienza Università di Roma), Paola Barbera (Università degli Studi di Catania), Marco Folin (Università di Genova)
Email: damelio@uniroma2.it
Sin dal medioevo, le città italiane si sono dotate di palazzi pubblici e architetture civiche di forte impatto urbano: edifici, monumenti, infrastrutture che assolvevano a svariate funzioni d’uso collettivo e in cui poteva riconoscersi l’identità civile degli abitanti. Questi edifici hanno spesso mantenuto per secoli, in certi casi sino ad oggi, un ruolo cruciale nella vita politica e culturale cittadina, come uno dei luoghi deputati all’autorappresentazione delle autorità locali e dei loro programmi di ‘buon governo’. Questo legame forte e fondante con la storia delle collettività cittadine non è stato tuttavia privo di conseguenze: lungi dal costituire una tipologia durevole, nel corso del tempo i palazzi pubblici sono stati chiamati ad assolvere svariate funzioni materiali e simboliche, generando continui, a volte radicali processi di trasformazione non solo a livello di usi e apparati decorativi, ma anche in termini più propriamente strutturali e architettonici. Tant’è che molto spesso anche quegli edifici e modelli che si presentano come frutto di persistenze genuinamente ‘originarie’ non sono in realtà che il frutto di ricostruzioni e restauri stilistici otto-novecenteschi.
In questo contesto di lungo periodo, la sessione mira a focalizzare l’attenzione sui momenti di svolta, le cesure storiche, le fasi di ristrutturazione/riconversione dopo eventi drammatici: le ricostruzioni post-belliche, le fasi ‘rivoluzionarie’, la dialettica fra diversi modelli di architettura pubblica e i relativi linguaggi, o ‘discorsi’ (nazionalistici VS municipalistici, aulici VS autoctoni, storicisti VS modernisti). Saranno particolarmente privilegiati gli approcci trasversali, capaci di mettere in luce la complessità dei processi storici nel contesto urbano e la permeabilità dell’architettura rispetto alle dinamiche politiche, sociali e culturali del proprio tempo.
5.1 Eredità di chi? Siti Espositivi, monumenti, festival e musei nello spazio urbano |
Coordinatori: Shelley Hornstein (York University, Toronto, Canada)
Email: shelleyh@yorku.ca
La sessione propone di indagare su come potrebbe essere riformulato il termine “heritage” nel contesto dei processi di creazione di luoghi e delle storie di memoria generate attraverso siti commemorativi, monumenti pubblici, musei e spazi espositivi urbani. In che modo questi siti hanno contribuito o partecipato a interpellare itinerari turistici e identità locali?
5.2 Digital humanities per la storia urbana: analisi di reti, basi di dati e GIS |
Coordinatori: Rubén Castro Redondo (Universidad de Cantabria), Alfredo Martín García (Universidad de León)
Email: ruben.castro@unican.es
La presente propuesta tiene como objeto de debate los recursos que las nuevas tecnologías pueden proporcionar al estudio de la Historia Urbana y, en particular, al análisis espacial de las comunidades urbanas (culturas, estratificación, análisis socioprofesional, religiosidad, condición económica, pobreza, marginación), de su administración territorial (administración local, intramuros, capital de administración intermedia -señorial / provincial / reinal / virreinal-, independientemente de la materia de administración (territorio, hacienda, guerra, etc.), de sus ámbitos de acción e influencia (con el entorno inmediato, con su región, con otras ciudades), y de sus comportamientos (demográficos, culturales, sociales, económicos, etc.). En este sentido, interesan los contenidos metodológicos basados en las nuevas herramientas de georreferenciación espacial (GIS –SIG), entendiendo el espacio como centro de análisis histórico para conocer la distribución espacial de las variables urbanas de nuestro interés. Interesan también las posibilidades que hoy día ofrecen las más novedosas aplicaciones informáticas (bases de datos), las plataformas ligadas a la red (repositorios documentales, repositorios científicos institucionales de ciencia abierta…) y, en definitiva, todos los demás recursos que de muy variada naturaleza ofrecen lo que ha venido denominándose de manera genérica las Humanidades Digitales. El interés de esta propuesta no se limita a las posibilidades de dichas herramientas en la investigación y en el análisis de datos históricos, sino también en los recursos que el mundo digital pone a disposición del investigador a la hora de presentar sus resultados ante la comunidad científica y, por supuesto, a la hora de su publicación. En este último caso, como es lógico, se acogerán con especial interés aquellas aportaciones en torno a los principios definidos en la etiqueta Open Science, donde tienen especial acogida las publicaciones en red, digitales, libres, gratuitas y en acceso abierto. Debido a la orientación metodológica e instrumental de la mesa no se impondrán límites geográficos ni temporales sobre los cuales ejemplificar las experiencias digitales en la investigación histórica, siempre y cuando tengan el mundo urbano como centro de sus análisis. El binomio de Humanidades Digitales e Historia Urbana permite una reflexión amplia tanto en términos cronológicos -desde el Mundo Antiguo al siglo XX- como espaciales, sin ninguna limitación.
5.3 Studi di storia urbana dell’Europa occidentale vs quelli dell’Europa orientale: fine di una storiografia a senso unico |
Coordinatori: Massimo Visone (Università degli Studi di Napoli Federico II), Anda-Lucia Spânu (The Institute of Social Sciences and Humanities from Sibiu)
Email: massimo.visone@unina.it
La sessione vuole essere una tavola rotonda per studiosi alla ricerca di un approccio alla ricerca utile a far emergere nuove voci/narrazioni che mettano in crisi un modo di pensare alla storia urbana europea. È un appello a quanti sono coinvolti in progetti di ricerca o gruppi di lavoro in cui l’unione di culture distinte è alla base della messa in discussione di punti di vista consolidati, come sperimentino metodologie di ricerca condivise e scambi di fonti storiche per creare nuovi discorsi, consapevoli, accettabili e utili a entrambe le parti per superare differenze di opinione.
5.4 Strategia di adattamento urbano contro le previsioni |
Coordinatori: Fanjasoa Louisette Rasoloniaina (Université de Paris)
Email: louiz7@hotmail.com
Dagli anni 2000, ricercatori quali Neil Brenner lavorano sulla teoria dell’urbanizzazione planetaria, mentre la Cina la sta già attuando con le sue nuove vie della seta. Anche se alcuni vedono questa dimanica come lo sviluppo di un nuovo impero, si tratta del fraintendimento di una strategia sistemica.
L’adattamento delle politiche spaziali si gioca su una scala molto grande, come quella delle megaregioni, dove le unità urbane che contano sono le megalopoli. In quelle del Nord America possiamo vedere una zonizzazione sistematica dall’ambiente urbano alle riserve naturali. Questo transetto ci riporta alla sezione di valle di Geddes, che implica che gli insediamenti e le attività umane seguono il bioma; tali figure urbane sono stati di evoluzione. Da questo punto di vista, il territorio è un organismo vivente che si evolve e che può anche morire. Le megalopoli possono essere viste come un fenomeno di metropolizzazione ipertelica. In natura, questa ipertelia è un fenomeno che sfida la logica della selezione naturale; il mostruoso fa parte della “natura”.
La pianificazione cinese dell’uso del suolo sembra essere un modello più drastico di opposizione urbano-industriale contro rurale-agricolo, su una scala molto grande, e richiede più attenzione. Il Delta del Fiume delle Perle è un trompe l’oeil: la Cina sta costruendo quello che sembra un ossimoro. Un iper-rurale-urbano: un modello frattale dal rurale all’urbano transcalare. Siamo di fronte a una reinvenzione sistemica! Questo è stato reso possibile dalla struttura amministrativa dell’economia: dallo stato centrale, il potere viene trasferito alle regioni che competono in progetti di economia circolare, in modo che siano poi le autorità locali e gli enti privati a guidare l’innovazione. La Cina è nel processo di transizione verso un’economia verde. Uno dei risultati iconici di questa storia di successo è l’isola Chong Ming, nel mezzo del delta del fiume Yangtze, di fronte a Shanghai, dove si riuniscono gli uccelli migratori di tutto il mondo, comprese alcune specie in pericolo.
Questo panel esamina tutti i paesaggi urbani ossimorici che (1) sfidano le concettualizzazioni del divario urbano-rurale; città e territori che si sono adattati, contro ogni anomalia, attraverso una trasformazione radicale; l’emergere di macroregioni in diverse parti del mondo dove convergono o si scontrano diversi ecosistemi economici, sociali, architettonici, politici e statali; (2) impongono una nuova teoria e ontologia urbana basata sull’adattamento sistemico; e (3) implicano una nuova cornice concettuale e metodologia.
5.5 Smantellare il canone attraverso incontri multidisciplinari: il caso delle delegazioni diplomatiche in cittá |
Coordinatori: Angela Gigliotti (Arkitektskolen Aarhus, Denmark and ETH Zürich), Fabio Gigone (Royal Danish Academy and Copenhagen University)
Email: ag@aarch.dk
Questa sessione si occupa di architettura diplomatica (XV-XX sec.) alla luce di una necessaria revisione inclusiva della storiografia urbana. Si prediligeranno quelle fonti finora oscurate da una narrativa eroica e propagandistica legata a un’autorialità dominante (e.g. progettisti locali, collaboratori, segretari, funzionari, burocrati, lavoratori dei cantieri, costruttori, sviluppatori, stakeholders, artisti, ambasciatori), metodi di ricerca multidisciplinare e basati sull’elaborazione di archivi digitali.
5.6 Dopo il piano: eredità del moderno e pratiche di decolonizzazione nel Global South |
Coordinatori: Ines Tolic (Università di Bologna), Filippo De Dominicis (Università de L’Aquila)
Email: ines.tolic@unibo.it
AISU Panel
La conferenza di Bandung (1955) rappresentò un evento chiave per molti stati indipendenti che per la prima volta si affacciavano sulla scena globale in cerca di legittimazione. Finanziariamente instabili e tecnicamente impreparati, furono immediatamente etichettati come “sottosviluppati” per marcare la distanza che li separava dagli standard dell’occidente industrializzato.
Nei decenni successivi, “la cultura tecnica occidentale” – per usare le parole di Ernesto Nathan Rogers – diventò “una fatalità alla quale nessuna nazione poteva sottrarsi e tutti per evolvere erano costretti ad appropriarsi in una certa misura di essa”. Assistenza tecnica, programmi abitativi, sviluppo economico erano solo alcune delle promesse che i blocchi occidentale e orientale offrivano e che si sarebbero concretizzate nella produzione di insediamenti e città, ma anche in nuove forme di egemonia e controllo. Infatti, Anthony King notò come fosse “impossibile dissociare la nozione di pianificazione, a un primo livello, da una serie di argomenti correlati quali lo stile architettonico, la salute, la forma della casa, la legislazione, le tecniche di costruzione e queste, a un altro livello, dal complessivo sistema culturale, economico, politico e sociale del quale fanno parte. La costruzione di spazi “moderni” e “pianificati” nati dalle definizioni “occidentali” (e capitaliste) del concetto di civilizzazione, […] hanno ovviamente modificato molto di più che il solo ambiente fisico”.
Ponendo al centro le operazioni di planning sviluppate nel secondo dopoguerra nel Global South, attraverso metodologie di indagine proprie della storia urbana e del progetto, la sessione invita a riflettere sui processi di adattamento iniziati dopo la stesura e l’adozione dei piani con l’obiettivo di portare alla luce dinamiche e voci non ancora rivelate, e ricomporre così i duri processi di negoziazione fra ambizioni globali e bisogni locali. Approfondendo la condizione “post-coloniale” degli stati che hanno ottenuto l’indipendenza nella seconda metà del XX secolo, la sessione si propone di includere i processi di decolonizzazione all’interno della disciplina urbana e della sua storiografia. A questo scopo, studiosi e ricercatori dovrebbero ragionare sul modo in cui la modernizzazione è stata adattata e contestata dalle comunità locali per comprendere la vita delle città “dopo il piano”.
5.7 “Tra donne sole”. L’incedere paziente delle donne nelle storie di cose, di case e di città |
Coordinatori: Francesca Castanò (Università della Campania Luigi Vanvitelli), Chiara Ingrosso (Università degli Studi della Campania), Anna Gallo
Email: francesca.castano@unicampania.it
La necessaria riscrittura della storiografia canonica passa oggi per la scoperta di nuove prospettive, di cui, insieme a quella postcoloniale, di razza, ambientale, quella di genere sembra assumere una nuova, fondamentale centralità. Riscoprire archivi, rintracciare opere, architetture e progetti di donne, contribuisce in molti casi a riconfigurare le chiavi interpretative tradizionali. In questa sessione, dal titolo ispirato a una celebre opera di Cesare Pavese, si vogliono intercettare le storie al femminile esemplari di una rivoluzione culturale invisibile e tenace, le cui imprese rimangono significative e durature. Accanto ai racconti dei conflitti vissuti da intere generazioni, in molti casi le donne assurgono infatti a protagoniste involontarie delle conquiste della contemporaneità. Ricordate solo come figlie, muse, madri, amanti, mogli sono state al pari e più dei loro stessi uomini, progettiste, custodi e ordinatrici di memorie, lavoratrici instancabili e interpreti coraggiose di secoli travagliati, femministe consapevoli. Obiettivo della sessione è quello di rendere evidente il legame tra i diversi livelli della progettazione, dalla città al cucchiaio, chiarendo come l’essere donna qualifichi tali apporti. Nella misura in cui si riconosce alle donne la loro capacità di adattamento ai modi espressivi e alle strutture dei differenti linguaggi artistici alle diverse scale, esse diventano protagoniste di un lavoro di ricerca transdisciplinare, in cui la pluralità di sguardi e la proliferazione di prospettive di analisi sono in grado di introdurre nuovi scenari interpretativi, sulle cose, sulle case e sulle città. La sessione è aperta a tutti i contributi che vorranno approfondire questi temi, soprattutto riferiti alle progettiste del Novecento e alle loro opere, ma anche alle donne che contemporaneamente si sono occupate di critica e cultura dell’architettura, del design e dell’urbanistica e della loro diffusione teorica. Saranno benvenuti i casi-studio nazionali ed internazionali che offriranno letture inedite, approfondendo storie trascurate dalle narrazioni tradizionali e dalle rappresentazioni canoniche, che esprimano contributi “differenti” e per questo unici e innovativi.
6.1 E-culture: formati pandemici e oltre. Digitale e patrimonio culturale in questione |
Coordinatori: Rosa Tamborrino (Politecnico di Torino), Silvia Chiusano (Politecnico di Torino), Marie Paule Jungblut (University of Luxemburg)
Email: rosa.tamborrino@polito.it
AISU Panel
Durante la pandemia, la cultura si è dimostrata un elemento straordinario di resilienza. Ne hanno tratto evidenza la sua necessità sociale e le potenzialità di formati e strumenti digitali come concreto supporto delle istituzioni culturali e della vita sociale e culturale. L’Italia, primo paese a entrare in lockdown, a chiudere le istituzioni culturali e a limitare l’uso degli spazi aperti, ha anche sperimentato come la lente pandemica ha reso visibile le proprietà adattive del cultural and natural heritage. Ne sono derivati formati innovativi e piattaforme su base web per produrre, condividere e fruire della cultura e dell’heritage. Questa innovazione ha accomunato altri paesi, da quelli (come l’Italia) che hanno scontato un ritardo nella digitalizzazione del patrimonio ma che hanno risposto con un’incredibile accelerazione, a quelli in cui la digitalizzazione e i formati digitali erano più avanzati.
Lo scenario della cultura digitale è un ecosistema basato su una mescolanza di competenze diverse che comprendono le humanities, le scienze sociali e l’area delle ICT. Lo sviluppo di questo ambito integrato è un’importante sfida della ricerca attuale; ma la coesistenza e sinergia di tali diverse competenze in forma integrata necessita di una messa a punto di linguaggi, strumenti e obiettivi comuni.
La sessione intende riproporre tale articolazione di competenze costruendo un’occasione multidisciplinare per discutere di tali temi attraverso possibili approfondimenti.
Alcune questioni articolano la riflessione su cui vogliamo portare la discussione e i casi studio:
- In che modo la e-culture ha funzionato nei diversi paesi durante la pandemia?
- Come integrare l’esperienza digitale e quella diretta in forme virtuose e sostenibili?
- Come i formati possono tener conto di riposizionamenti della ricerca sulle città e di una visione che consideri aspetti di genere, etnia, multiculturalità?
- Come sfruttare la e-culture (anche in formati ludici) per temi sociali e formativi?
All’interno dello scenario delineato, invitiamo contributi originali di ricerca che indirizzano uno o più tra i seguenti argomenti (la lista non è esaustiva): identificazione e valutazione critica di possibili fonti di dati, modellazione di data lake per la raccolta dei dati, costruzione di narrative per la condivisione delle informazioni raccolte con diversi utenti target, architetture IT per lo sviluppo del sistema. Contributi su prototipi preliminari o completamente stabiliti sono più che benvenuti.
6.2 Domande aperte sui processi collaborativi di costruzione dell’heritage |
Coordinatori: Daniela Ciaffi (Politecnico di Torino), Rosa Tamborrino (Politecnico di Torino)
Email: daniela.ciaffi@polito.it
AISU Panel
Nel tempo del confinamento e del distanziamento fisico per la pandemia Covid19, intere comunità si sono adattate a nuovi stili di vita. La grande vitalità culturale, grazie anche al lavoro rilevante svolto da associazioni e terzo settore, ha palesato un grande cambiamento in atto nel mondo della cultura e dell’heritage che, di fatto, va oltre le istituzioni deputate e i modi consueti.
Più in generale, tali avvenimenti hanno portato in evidenza un tipo di partecipazione interessata alla discussione sulle modalità di costruzione della memoria collettiva in forme plurali e inclusive, nonché a nuove forme di progettualità nel mondo del Cultural e Natural Heritage aperte a persone esperte e non esperte.
Un ulteriore ambito di riflessione crossdisciplinare riguarda la relazione tra il livello nazionale e quello locale. La “heritigization” di matrice ottocentesca ha accompagnato i processi di costruzione delle nazioni e contribuito alla loro legittimazione. Oggi processi innovativi di costruzione dell’heritage sono sperimentati a livello locale ma il raccordo con le politiche statali resta problematico.
Alcuni musei della città e progetti di ricerca hanno avviato progetti di crowdsourcing e di co-produzione. Parallelamente alcune amministrazioni pubbliche locali d’avanguardia stipulano alleanze inedite per la cura del patrimonio. Ad esempio, i responsabili comunali stipulano “patti di collaborazione” con le Soprintendenze insieme a gruppi informali di volontari, ad associazioni e a singoli cittadini attivi. Il mondo accademico comincia a confrontarsi con tali nuove sfide.
Che tipo di impatto le forme di partecipazione hanno dimostrato/potrebbero avere nella costruzione dell’heritage? Come cambia il ruolo della conoscenza scientifica dimostrato/atteso rispetto a tali processi? Che tipo di modificazioni comporta/potrebbe comportare rispetto alle forme consuete del ‘fare storia’? Come integrare approcci partecipativi, pratiche di crowdsourcing, e storia orale per delineare nuovi significati del patrimonio culturale e naturale delle città? In che modo una prospettiva di “longue durée” può incontrare forme di memoria così ravvicinata? Come cambia la visione della gestione “top-down” dell’heritage nella prospettiva della cura condivisa dei beni comuni? La sessione invita a presentare temi e casi studio che consentano una discussione ampia e ricca di riflessioni con diverse accentuazioni disciplinari in una prospettiva comparativa europea e internazionale.
6.3 Il paesaggio montano tra contemplazione eremitica, attrazione estetica e conquista sportiva: percezioni e trasformazioni delle cattedrali della terra |
Coordinatori: Carla Bartolomucci (Università degli studi dell’Aquila)
Email: carla.bartolomucci@univaq.it
La visione delle montagne è profondamente cambiata nei secoli, trasformandosi da territori orridi e inaccessibili a spazi di contemplazione eremitica o di attrazione estetica (si pensi alle tappe alpine dei viaggiatori del Grand Tour per ammirare i ghiacciai), a luoghi di esplorazione e ricerca scientifica (si vedano le ascensioni di umanisti e scienziati ben prima della nascita dell’alpinismo), fino a divenire oggetto di sfida agonistica e di sfruttamento turistico.
Luoghi di frontiera e di attraversamento, le montagne hanno costituito per secoli vie di comunicazione e scambio di culture; divenute teatro di guerra nel secolo scorso, sono state poi trasformate in luoghi di produzione industriale (con rilevanti modifiche causate dall’industria idroelettrica) oltre che playground di conquista sportiva e attività ricreative. Oggi, ancor più a seguito della pandemia, le aree montane fungono da scenario periurbano come spazio di benessere e di montagnaterapia, ma sono sempre più evidenti gli effetti di fruizioni incompatibili e degradanti.
Le diverse modalità di percezione e uso hanno provocato notevoli mutamenti nel paesaggio alpino e appenninico (stravolgimento degli abitati, nuovi insediamenti, costruzione di strade, impianti di salita, bivacchi e rifugi in alta quota) senza che la riflessione sui significati storico-culturali, quindi sul valore monumentale di tali luoghi – non a caso definiti già nell’Ottocento “Palazzi della Natura” (Lord Byron) e “Cattedrali della Terra” (John Ruskin) – risulti tutt’oggi pienamente condivisa.
La sessione intende stimolare un confronto transdisciplinare nell’ottica della salvaguardia delle montagne come patrimonio a rilevante rischio antropico, evidenziandone le vicende storiche e i molteplici significati culturali che tali luoghi rappresentano. Appare sempre più urgente la necessità di tutelare il territorio montano integrando i diversi approcci (geografico, ambientale, paesaggistico, storico, urbanistico, socio-economico, ecologico) in una visione comune che vada oltre i singoli specialismi e consideri il patrimonio montano come insieme monumentale in cui l’impatto del turismo può produrre trasformazioni irreversibili. È opportuno considerare anche gli esiti discordanti (talora poco compatibili) del riconoscimento di alcuni siti nel patrimonio mondiale UNESCO, confrontando esperienze e approcci diversi di tutela del paesaggio.
6.4 Matrice del progetto: TRANS-lazione delle esperienze di psicogeografia immersiva degli utenti su una piattaforma virtuale interattiva ludicizzata come servizio per l’internet delle cose [PAAS per IOT] |
Coordinatori: Christine C Wacta (Ohio University), Louisette Rasoloniaina (Université de Paris), Esin Ekizoğlu (Ecole d’Architecture Paris Val de Seine)
Email: cwacta@geoedugaming.org
La sessione si concentra sul GeoEmotionsMapping per rivelare le interdipendenze tra utenti e spazio e costruire un Inf-HUB del comportamento dell’utente per supportare l’approccio urbano terapeutico, allo scopo di: Semplificare la vita umana liberando tempo per più attività di svago, fornire un’esperienza aumentata superiore in uno stile di vita sempre più esigente con ambienti digitali associati sempre più complessis. Riregistrare gli utenti in simbiosi organica non controllata con l’ambiente Porre la domanda su “cosa significa veramente essere umani in un ambiente post-Covid?”
6.5 Paesaggi produttivi in trasformazione. Verso una interpretazione patrimoniale delle transizioni energetiche nella storia industriale e postindustriale |
Coordinatori: Oana Cristina Tiganea (Politecnico di Milano), Francesca Vigotti (Politecnico di Milano)
Email: oanacristina.tiganea@polimi.it
A partire dal XIX secolo i processi produttivi, siano essi legati all’industria o alle attività rurali, hanno profondamente modificato l’assetto dei territori. Nel XX secolo si assiste a un passaggio di scala nella gestione delle risorse: dal contesto regionale a quello nazionale e continentale, sino al livello globale contemporaneo. In questo scenario, le risorse sono intese non solo come materie prime, la cui estrazione ha portato a un diretto impatto ambientale sui territori, ma anche come capitali umani e immateriali: l’insieme di persone e conoscenze che hanno strutturato nel tempo gli aspetti economici, politici e socioculturali delle comunità. Rispetto a questo progressivo cambiamento di scala risultano di interesse le trasformazioni territoriali legate alle transizioni energetiche avviate dall’inizio del Novecento.
Nel XX secolo hanno progressivamente preso avvio studi interdisciplinari per comprendere in che modo si potrebbero interpretare e tutelare le testimonianze delle attività legate alla produzione. Questi studi, conseguenza della coesistenza sullo stesso territorio dei processi di industrializzazione e deindustrializzazione, hanno contribuito alla definizione di un processo selettivo del riconoscimento patrimoniale dell’eredità della produzione. Se il linguaggio standardizzato dell’industria facilita la lettura e l’interpretazione delle sue tracce materiali a livello globale, la specificità locale (socioculturale, economica, politica) influisce direttamente sulla percezione patrimoniale e sui processi di conservazione.
Considerando le recenti linee guida della Commissione Europea riguardo alla transizione energetica, la sessione propone di indagare da un punto di vista multidisciplinare le modalità di interpretazione dei processi di produzione in una prospettiva patrimoniale, attraverso contributi teorici e la presentazione di casi studio che rispondano alle seguenti domande di ricerca:
A quale scala territoriale si arrestano l’approccio patrimoniale e i processi di conservazione? Cosa viene considerato e valutato come patrimonio (industriale) attualmente?
A livello teorico, come la lettura di “brevissima durata” alla scala territoriale dei fenomeni più recenti può influenzare i processi di patrimonializzazione?
Quale potrebbe essere l’interpretazione, la gestione e l’accettazione degli scarti della produzione industriale come componenti del paesaggio?
6.6 Città, musei e storie. Metodiche inclusive e approcci interpretativi per i patrimoni museali nella contemporaneità |
Coordinatori: Alessandro Castagnaro (Università degli Studi di Napoli Fedrico II), Bianca Gioia Marino (Università degli Studi di Napoli Fedrico II)
Email: alessandro.castagnaro@unina.it
Con un’inedita visione della città storica, vista per la prima volta – e a livello globale – come qualcosa di distante e impraticabile a causa dell’evento pandemico, la percezione del valore della città/socialità come spazio vissuto e delle loro memorie inverate nel patrimonio storico rappresenta un significativo dato della nostra contemporaneità. All’esigenza di condivisione e di riconoscimento di tale valore le strutture museali hanno risposto con la diffusione del patrimonio da esse custodito in continuità con l’idea del museo come struttura aperta e come centro propulsore di cultura, così come la recente normativa prescrive. Negli ultimi anni tali strutture hanno promosso la loro programmazione articolandone e innovandone contenuti e tipologia comunicativa, grazie anche agli strumenti consentiti dallo sviluppo di nuove tecnologie digitali. Nello stesso tempo il museo è diventato un punto centrale per la vita sociale e culturale della città ponendosi come polo urbano cui far convergere attività culturali e di ricerca, andando dunque oltre lo status di contenitore di collezioni. In tal senso, come effetto congiunto, è emersa l’idea della funzione di rete di tale tipo di istituzione in una visione di relazione tra musei rappresentativa di una immagine culturale della città e della sua storia. La sessione incoraggia dunque la riflessione su tali temi e accoglie le ricerche e i contributi che si possono articolare nelle seguenti sotto tematiche: ruolo storico e ruolo attuale del museo nella città contemporanea (pre e post pandemia) sottolineando le trasformazioni che la presenza e l’azione del museo ha potuto o può innescare; la funzione di rete che il museo può rivestire in un’ottica interattiva e di co-produzione culturale tra rischi (turismo di massa, fenomeni immobiliari, ecc.) e potenzialità (coinvolgimento della comunità, funzione educativa, sviluppo della ricerca, consapevolezza culturale, etc.) nella trasformazione del contesto urbano; le nuove forme di comunicazione legate alla compagine storico sociale, all’incremento di nuove narrative, casi di conversione e restauri di edifici storici e di nuove architetture nel loro impatto nel contesto urbano; il dialogo tra ricerca scientifica e istituzione museale e le sue ricadute su approcci interpretativi e nuove metodiche inclusive per la gestione delle trasformazioni e degli interventi sui complessi museali.
6.7 L’espressione de “la longue durée”, il cambiamento della Modellazione 3D nel tempo |
Coordinatori: Willeke Wendrich (University of California Los Angeles, USA), Elaine Sullivan (University of California, Santa Cruz, USA)
Email: wendrich@humnet.ucla.edu
AISU Panel
L’archeologia consente la ricostruzione o l’interpretazione dell’ambiente, dei paesaggi, dell’urbanizzazione e dell’architettura nella longue durée. Le conoscenze e le ricostruzioni di cambiamenti complessi nel tempo sono spesso pubblicate come narrazioni o risultati di ricerche quantitative. Le visualizzazioni – siano esse grafici, disegni o modelli 3D di realtà virtuale – hanno il vantaggio di poter essere utilizzate per rappresentare sia le narrazioni sia i numeri. Inoltre, hanno dimostrato di offrire qualcosa di più delle rappresentazioni della conoscenza, e di riuscire anche a suscitare nuove domande. Ciò che si è dimonstrato essere particolarmente efficace, sono le visualizzazioni che rappresentano i cambiamenti nel tempo. Se presentati attraverso un’immagine, questi cambiamenti vengono presentati come intervalli di tempo congelati, per esempio come “fasi costruttive”. Anche in una serie di immagini, per esempio in quelli che Edward Tufte chiama “piccoli multipli” (Tufte 2001, 170), o in modelli tridimensionali di Realtà Virtuale che rappresentano gli sviluppi nel tempo, il cambiamento è rappresentato come fasi particolari. Esistono, quindi, diversi modi per esprimere visivamente gli sviluppi a lungo termine, ma questi richiedono un’attenta considerazione di ciò che è considerato una “fase” e perché.
Per questa sessione diamo il benvenuto a presentazioni incentrate sulle seguenti questioni nella rappresentazione di paesaggi archeologici o storici:
• cambiamento ambientale e architettonico
• strategie per la visualizzazione di cambiamenti complessi nel tempo
• sfide nella rappresentazione della cronologia; compreso il ritmo/frequenza di cambiamento e come esprimere un cambiamento temporale incoerente
• luoghi come continui cantieri e luoghi di cambiamento
• visualizzazione di paesaggi abitati
Edward Tufte, 2001 The Visual Display of Quantitative Information, seconda edizione, Cheshire,Connecticut: Graphics Press
6.8 La città storica come modello di sviluppo urbano innovative |
Coordinatori: Giovanni Leoni (Università di Bologna), Andrea Borsari (Università di Bologna), Speranza Falciano (Gran Sasso Science Institute)
Email: giovanni.leoni@unibo.it
La sessione intende affrontare un paradosso che riguarda la città storica italiana ed europea.
Da un lato la città storica soffre un momento di estrema difficoltà, per abbandono, per fenomeni patologici di iper-affolamento legati al turismo improvvisamente sovvertiti dalla pandemia, per processi di degrado sociale e fisico.
Contemporaneamente la città storica viene assunta come modello per un possibile sviluppo sostenibile della forma città (città creativa, città dei 15 minuti, recupero della socialità di comunità, ecc.).
Ma la messa in pratica di tali suggestioni richiede un cambio di prospettiva.
Oltre ai doverosi interventi di tutela del patrimonio storico d’eccellenza, occorre riconsiderare l’azione sociale, economica e politica sulla città storica tenendo in conto la sua qualità diffusa. Il patrimonio infra-ordinario non è meno rilevante del patrimonio di eccellenza se l’obiettivo è quello di una cura complessiva della città come bene comune.
Tale qualità diffusa richiede uno impegno specifico poiché consiste negli esisti sempre mutevoli della vita quotidiana dei cittadini. Serve poi anche uno sforzo costante per rendere le qualità urbane disponibili tanto al cittadino permanente quanto ai “cittadini temporanei”.
Sullo sfondo e come fondamento di tali azioni è richiesta la costruzione di un quadro concettuale e operativo condiviso tra ambiti di ricerca umanistica, scientifica e tecnologica.
La sessione raccoglie interventi che intendano focalizzarsi, anche e non solo, sui seguenti temi:
• la costruzione culturale della città storica e l’immaginario urbano come forme che configurano la percezione e fruizione degli spazi urbani; la rilevazione delle modalità di relazione dei corpi con la città
• il superamento del conflitto tra memoria e innovazione della città storica valorizzando la memoria come sfida e misura per la innovazione e le culture creative
• la assunzione della città storica come luogo di innovazione sociale
• la considerazione della città storica nella sua relazione fondativa con la costruzione della sfera pubblica e le politiche culturali
• la valorizzazione della città storica come un modello specifico di città circolare con particolare attenzione per un equilibrio tra politiche e pratiche europee da un lato e specificità locali dall’altro
• le tecnologie per il Cultural Heritage nell’equilibrio tra ricerca sull’eccellenza e scalabilità ai temi del patrimonio ordinario e alle applicazioni site specific.
6.9 Realtà mista, realtà aumentata e rappresentazione di storie traumatiche |
Coordinatori: Jonathan Amakawa (Fitchburg State University)
Email: jamakawa@fitchburgstate.edu
All’interno della Macrosessione 6 (Interazioni uomo-ambiente nella longue durée) questa sessione esplora la realtà aumentata (AR) o altre piattaforme di realtà mista e il loro uso nella presentazione di eventi storici traumatici. Questa sessione esplorerà ulteriormente le strategie interpretative che utilizzano l’AR nel contesto del paesaggio fisico e della geografia di un evento. La tecnologia AR per dispositivi mobili è una piattaforma emergente e promettente per la presentazione del patrimonio culturale, in particolare se combinata con la modellazione 3D. Le app mobili basate sull’AR possono utilizzare modelli 3D e animazioni per ricreare e presentare punti di riferimento storici con poche infrastrutture esistenti e manufatti visibili. Queste ricreazioni possono essere presentate in scala e nelle posizioni corrette quando vengono visualizzate sullo schermo di un dispositivo mobile. L’AR può essere anche utilizzata per esprimere gli aspetti immateriali della storia, soprattutto di quei gruppi emarginati dei quali si sono conservate poche tracce di cultura materiale o architettoniche. Un tour alimentato dall’AR consente ai visitatori non solo di vedere le ricostruzioni, ma anche di comprendere i danni, la distruzione, la devastazione e la sofferenza che spesso sono alla base della mancanza di prove materiali. Questa sessione invita i creatori di applicazioni AR che hanno lavorato sulla presentazione della storia dei gruppi emarginati e/o si sono concentrati su come rappresentare gli aspetti intangibili delle storie traumatiche.
6.10 Ambientare l’architettura: il disegno come strumento della memoria |
Coordinatori: Martina Frank (Università Ca’ Foscari Venezia), Myriam Pilutti Namer (Università Ca’ Foscari Venezia)
Email: martina31@unive.it
Disegnare architetture ha svolto, e tuttora svolge, funzioni diverse e assume importanza in ambiti di interesse differenti. Costituisce, ad esempio, espressione creativa e di immediata utilità come sostegno, oltre che degli esseri umani in generale, dell’attività intellettuale e della capacità di osservazione dell’architetto; per l’archeologo è utile per ragionare e documentare siti e reperti, lì dove il viaggiatore se ne serve per i propri appunti, il fotografo per i propri reportage e l’artista per i propri studi. La sessione intende riflettere in prospettiva cross-disciplinare sul ruolo del disegno di architettura come strumento della memoria, e propone di concentrare l’attenzione su esempi dove il costruito dialoga con l’ambiente che lo circonda, sia esso paesaggio naturale o urbano, reale o immaginario. Questo tipo di disegno è difficilmente classificabile in una specifica categoria e, lontano dall’appartenere ai generi della veduta e del rilievo, si colloca in una dimensione che assegna al tempo e alla memoria – personale, sociale e storica -, ruoli determinanti, laddove il tempo dell’architettura non coincide sempre con quello del paesaggio. La sessione vuole approfondire la natura di questi disegni e analizzare il rapporto tra l’architettura e l’ambiente in un ampio arco cronologico che si estende dall’età moderna al contemporaneo e includendo nel disegno anche quello digitale. In particolare si intende ragionare sui presupposti e significati teorici e sulla funzione di questi disegni, concentrando l’attenzione sull’importanza che il disegno di architettura riveste nel definire il rapporto tra l’uomo e l’ambiente e nel tramandare la memoria di paesaggi naturali o urbani, reali o immaginari, o interpretazioni e rielaborazioni creative di questi.
6.11 Dall’indifferenza alla distruzione selettiva: approci equivoci alle aree storiche urbane nel periodo tra le due guerre |
Coordinatori: Mesut Dinler (Politecnico di Torino), Pinar Aykac Leidholm (Middle East Technical University), Elif Selena Ayhan Koçyiğit (Başkent University)
Email: mesut.dinler@polito.it
Il periodo tra le due guerre ha favorito il manifestarsi di un approccio di grande consapevolezza nei confronti dei luoghi storici urbani. Gli studi recenti su questo periodo sembrano porre gli interventi di distruzione e/o di tutela delle città storiche su posizioni diametralmente opposte. Le azioni di salvaguardia avvenute in tale periodo, tuttavia, possono essere interpretate come operazioni di distruzione selettiva in tempo di pace considerando gli effetti che hanno avuto sull’identità collettiva nel processo di costruzione dell’identità nazionale.
Questa sessione, nel riconoscere la reciprocità del rapporto fra tutela e demolizione selettiva, esplora come i conflitti sociali emersi, siano stati controllati, e sfidati dagli interventi nelle città storiche, non necessariamente emersi durante periodi bellici, ma piuttosto da un contesto relativamente più pacifici. La sessione invita a presentare contributi su temi che riguardano, in modo non esclusivo, gli approcci equivoci agli spazi pubblici storici, dall’indifferenza alla distruzione selettiva, sorti durante il periodo fra le due guerre.
6.12 Città di antica fondazione in Europa. Genesi della forma urbis e dell’immagine storica del paesaggio urbano |
Coordinatori: Alfredo Buccaro (Università di Napoli Federico II), Francesca Capano (Università di Napoli Federico II)
Email: buccaro@unina.it
AISU Panel
La sessione intende porre all’attenzione degli studiosi il tema della città europea di antica fondazione e della sua vicenda evolutiva quale documento ‘di pietra’, palinsesto di tracce e memorie da analizzare attraverso fonti dirette o indirette per la ricostruzione della forma urbis, anche grazie alle nuove tecniche della grafica digitale.
In tempi recenti l’archeologia urbana si è andata affermando come ambito di studi dalle grandi potenzialità, evidenziando però nel contempo la necessità di un approccio interdisciplinare. Infatti la corretta lettura del disegno urbano, delle logiche ad esso sottese e del processo evolutivo di lunga durata che lo caratterizza può essere affrontata correttamente solo alla scala della città, a ciò concorrendo tutti i ‘frammenti’ della sua storia – materiali o immateriali, documentari, iconografici o descrittivi – indipendentemente dal loro valore di dettaglio, oltre che dalla forma del loro racconto.
La sessione vuole stimolare contributi volti all’analisi della città antica e delle sue trasformazioni attraverso l’esame di tutti gli elementi che hanno contribuito alla genesi della sua forma e dell’immagine storica del paesaggio urbano. Di quest’ultimo andrà valutato anche il rapporto con il più ampio contesto extramoenia, scenario significativo delle attività umane strettamente legate alla vita e alla costruzione culturale e fisica della città, nella continua dialettica norma-deroga e limite-soglia che caratterizza, sin dalle origini, la vicenda urbana europea.
6.13 Archeologia, architettura e restauro della città storica |
Coordinatori: Alessandro Ippoliti (Università degli Studi di Ferrara), Benedetta Caglioti (Università degli Studi di Ferrara)
Email: alessandro.ippoliti@unife.it
L’esigenza funzionale, spesso legata “all’attraversamento” della città e ai necessari spostamenti nella realtà quotidiana contemporanea, pone questioni metodologiche quando il contesto sul quale si interviene è un palinsesto di stratificazioni, testimonianza di plurime civiltà che, se correttamente interpretate, ci restituiscono significati storici, sociali, economici, educativi.
La sezione si propone di mettere a confronto diverse esperienze realizzate che hanno avuto l’obiettivo di trasmettere al futuro le testimonianze materiali di storia e bellezza che provengono dal passato e che hanno avuto necessariamente l’esigenza di “adattarsi” al progetto contemporaneo non privilegiando soluzioni di recupero, ristrutturazione, riqualificazione ma valorizzando le preesistenze attraverso una corretta conservazione, vivibilità e fruizione.
6.14 Patrimonio, paesaggio e comunità: ricerche ed esperienze tra conoscenza, valorizzazione e sviluppo |
Coordinatori: Elena Manzo (Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”), Marina D’Aprile (Università della Campania L. Vanvitelli), Antonella Violano (Università della Campania L. Vanvitelli)
Email: elena.manzo@unicampania.it
Nell’ottica dell’integrazione delle risorse e dei valori ambientali con il retaggio storico e artistico – o più in generale con il patrimonio culturale dei luoghi – la sessione intende focalizzare il confronto su tecniche di conoscenza e strategie di intervento volte a favorire nuove direttrici di sviluppo, sostenibilmente e ricostruire connessioni culturali e artistiche tra luoghi disgregati o degradati, ma dalle forti potenzialità di rivalutazione per le economie locali e nazionali, segnatamente turistiche. La prospettiva di indagine e di confronto multidisciplinare privilegerà tematiche incentrate sulla valorizzazione di territori, urbani e periurbani, in allineamento con la oramai matura consapevolezza di una visione ecosostenibile nelle strategie di ristrutturazione dell’ambiente naturale e antropizzato, in linea con l’ormai consolidata interpretazione a livello globale della sostenibilità come sistema complesso e integrato di fattori ambientali, economici, sociali e culturali, identicamente determinanti per la promozione di fenomeni e processi che incidano, positivamente, sugli svolgimenti vitali. In tal senso, come suggerito dalla Convenzione di Faro, le interazioni tra patrimoni (naturali e culturali, materiali e immateriali) e comunità sostanziano i vettori privilegiati di una valorizzazione stricto sensu per la salvaguardia dei repertori culturali e del paesaggio nella loro accezione più ampia. In questo scenario, le greenways, in perfetta sintonia con gli obiettivi del Nuovo Bauhaus Europeo, configurano, ad esempio, un mezzo collaudato per incentivare la fruizione, la conoscenza – e, quindi, il senso di appartenenza – alle risorse identitarie, materiali e immateriali, di un territorio, favorendo forme di sviluppo socioeconomico, non limitate alla funzione turistica. Progettati ex novo, ovvero adattando infrastrutture di trasporto dismesse e antichi tracciati viari, gli itinerari ecologico-culturali costituiscono, difatti, una strategia riconosciuta (SNAI) anche per il rilancio di borghi interni, aree in via di spopolamento, in abbandono e paesaggi dimenticati, ristabilendo così interazioni e legami interrotti con le comunità di riferimento e promuovendone di ulteriori.
6.15 Musei: comunità, cambiamenti climatici, patrimonio vivente e paesaggi culturali |
Coordinatori: Michael Mallinson (Mallinson Architects and Engineers Ltd.), Helen Mallinson (Mallinson Architects and Engineers Ltd.)
Email: michael@mallinson-architects.com
La sessione è dedicata a paper o presentazioni su argomenti relativi alla trasformazione del ruolo/incarico/pratica dei musei da, per esempio, oggetti e turismo intesi come fattori trainanti, a mezzi di sostentamento e cultura vivente intesi come creatori di paesaggi culturali minacciati dai cambiamenti climatici. In questo scenario le comunità sono in prima linea come principali attori e il patrimonio gioca un ruolo fondamentale, dando voce all’ambiente e collegando le strutture culturali all’innovazione sostenibile.
6.16 Verde, orti e giardini per una “città rigenerativa” |
Coordinatori: Maria Adriana Giusti (Politecnico di Torino)
Email: maria.giusti@formerfaculty.polito.it
AISU Panel
Una matura acquisizione dei temi legati ad ambiente, ecologia, sostenibilità, cambiamenti climatici, economia circolare impone di individuare strumenti per comprendere e gestire i cambiamenti che investono strutture, valori economici, antropologici, simbolici e identitari. Di fronte al degrado strutturale, alla fluidità di comportamenti, a sempre nuove emergenze, l’indagine deve allargarsi a vari campi, costruendo la conoscenza attraverso gli strumenti di un’ historie croisé per spiegare le interazioni di cultura, ecologia, risorse. Ciò evidenziando le opportunità dei territori urbani e di quei siti, terrain vague o luoghi di risulta, abbandonati o degradati, disposti ad accogliere modalità informali e usi condivisi, nella direzione sempre più forte e partecipata di una domanda sociale di naturalità, di valori legati alla cura, alla coltivazione (orti urbani, fluviali, verde industriale), al riciclo e alla sostenibilità. Il focus verte quindi sui modi di considerare il rapporto tra patrimonio urbano e natura come potente catalizzatore rigenerativo, a partire da indagini sulle utopie storiche, dalle garden city, agli interventi puntuali di micro-chirurgia ambientale dei parchi delle grandi città europee e non, fino a ricreare connettivi ecosistemici tra aree adibite a parchi e giardini e il tessuto circostante, più in generale l’integrazione del verde nei processi di riqualificazione. Ciò comporta di considerare, oltre agli approcci teorici e metodologici, anche le esperienze a scala nazionale e internazionale, a partire dagli esiti della scuola territorialista italiana che affronta il territorio come sistema vivente complesso. Tema centrale di discussione è la sostenibilità dello sviluppo incentrata sulla valorizzazione del patrimonio, quale elemento fondamentale per la produzione durevole di ricchezza, utilizzando l’acqua, la terra, la vegetazione, l’energia in modo coordinato e in armonia con il contesto, in funzione della resilienza del sistema. I contributi potranno orientativamente vertere su temi quali: Giardino in città/Città – giardino; principi ed esperienze per una nuova garden city: idea e sviluppo di un’utopia paesaggistica, esempi internazionali; l’integrazione del verde nella rigenerazione urbana, esperienze a confronto; ruolo della pianificazione per trasformare una “città sostenibile” in un “ecosistema urbano”.
6.17 Il processo di patrimonlizzazione sull’eredità della cultura locale tra storia e cambiamenti |
Coordinatori: Pelin Bolca (Politecnico di Torino), Francesca Giusti (Università degli Studi di Firenze)
Email: pelin.bolca@polito.it
Le aree storiche alle diverse scale (villaggi, città, paesaggi) rappresentano sistemi complessi che si sono adattati nel tempo a cambiamenti che differiscono nei contesti europei e non europei, modellando le diverse caratterizzazioni del patrimonio culturale. In genere potrebbero essere collegate alle città storiche, tuttavia il loro studio implica incroci specifici tra le tradizionali categorie di “urbano”, “periurbano” o “rurale”, che possono sembrare inadeguati per includere nuovi sviluppi e processi di patrimonializzazione. A ogni scala le aree storiche includono valori del patrimonio materiale e immateriale, collegati a siti culturali e naturali e/o che generano le memorie collettive. Pertanto richiedono un approccio olistico e una prospettiva lunga e duratura per raggiungere una migliore comprensione delle dinamiche, cambiamenti e caratterizzazioni sotto lenti locali e globali. Tale nuovo tipo di anatomia può permettere di comprendere le relazioni tra sviluppi storici e patrimonio.
L’obiettivo della sessione è quello di aprire una discussione su casi studio in/al di fuori l’Europa per offrire una prospettiva olistica sui processi di patrimonializzazione delle aree storiche nel lungo periodo, estendendo l’indagine alle esperienze di tutela e di restauro, valutandone l’impatto culturale e sociale. Particolare interesse verterà sull’eredità della cultura coloniale, e/o gli effetti del processo di costruzione della nazione a seguito di eventi bellici sulle azioni di classificazione, tutela, restauro e come questi processi si possono rapportare all’attuale dibattito sulla “decolonialitation” dello spazio urbano.
La sessione incorporerà discussioni ponendo interrogrativi del genere: come può un cambiamento (fisico/politico/sociale/economico/tecnologico/religioso/etc) modificare il processo di patrimonializzazione? In che modo l’uso alterato di un’area storica e la trasmissione delle conoscenze tra gli attori ha influenzato la comprensione del patrimonio e/o della memoria? Come ripensare la memoria locale, intrecciando punti di vista diversi (artisti, architetti, sociologi, psicologi, etc) e offrire nuove prospettive cha vadano al di là di azioni-simbolo come la rimozione degli emblemi dallo spazio pubblico? Le proposte che si avvalgono di rappresentazioni digitali di aree storiche nei loro contesti urbani e/o quadri storici narrati con le tecnologie digitali e linee guida intrecciate a vari temi saranno accolte con particolare favore.
7.1 Muovere dalle città verso i piccoli centri. Dinamiche storiche e prospettive attuali |
Coordinatori: Mauro Volpiano (Politecnico di Torino), Teresa Colletta (Università di Napoli Federico II)
Email: mauro.volpiano@polito.it
AISU Panel
La sessione intende proporre il tema del decentramento spontaneo dalle città più grandi verso i piccoli centri limitrofi, in tutta l’area mediterranea, negli anni più recenti, ma anche con riferimento a processi storici di più lunga durata.
I contributi proposti potranno riguardare:
1.La riqualificazione urbana dei piccoli centri e le leggi a riguardo italiane e mediterranee specifiche, i numerosi bandi e gli interessi dei sindaci delle piccole città.
- Casi studio di ripopolamento dei piccoli centri. Insediamenti storici e territori marginali: strategie e prospettive per il ripopolamento. I casi di piccoli comuni “virtuosi”, as best practices, nella valorizzazione del patrimonio, non solo in Italia, ma nell’area mediterranea (Francia, Spagna, Grecia, Turchia, Cipro etc.)
- Il patrimonio culturale materiale e immateriale dei piccoli centri: quali strumenti di conoscenza storica e quali fonti per la rigenerazione urbana e il riequilibrio territoriale.
- Il coinvolgimento attivo delle comunità residenti: identità locali, memorie e tradizioni, la riproposizione di antiche tradizioni festive, come strumenti per la rivitalizzazione nell’ottica di un turismo sostenibile.
- Riflessioni sulle nuove opportunità per associazioni e organizzazioni dal basso; processi partecipativi delle comunità ed il ruolo delle stesse nella valorizzazione del patrimonio materiale e immateriale per la conservazione dello spirito del luogo.
- La dialettica tra insediamenti minori, ambiente rurale e paesaggio storico: conoscenza e salvaguardia in relazione alle dinamiche di ripopolamento, della tutela degli ambienti rurali e della valorizzazione dei paesaggi. Le nuove forme di città rurali.
- Le nuove tecnologie e le opportunità offerte dalla digitalizzazione nei piccoli centri in via di ripopolamento. Il ruolo degli” esperti” e la partecipazione dei protagonisti locali per preservare l’identità e autenticità del proprio patrimonio.
Le comunicazioni dovranno essere sviluppate con particolare riferimento alle metodologie storiche di indagine del patrimonio, evidenziando le prospettive di ricerca nell’utilizzo delle fonti documentarie, gli approcci metodologici e critici alla storiografia dei luoghi, le possibili indagini sulla materialità degli insediamenti.
7.2 Ri-abitare/Dis-abitare. Strategie e progetti per luoghi e spazi in attesa |
Coordinatori: Marina Tornatora (Università degli Studi di Reggio Calabria Mediterranea), Claudia Pirina (Università degli Studi di Udine)
Email: mtornatora@unirc.it
Nella storia di città e regioni, repentine o lente fluttuazioni demografiche hanno da sempre prodotto luoghi e spazi che si sono trovati a far fronte alla necessità di più o meno profondi ripensamenti, a causa di mutate condizioni di fruizione. Se in taluni casi la riconversione ne ha garantito la sopravvivenza grazie alla loro capacità di adattamento a nuove istanze, in altri, il non immediato riassetto di manufatti e/o spazi ha condotto alla comparsa di una serie di ‘luoghi’ in attesa di trovare una nuova dimensione, una differente scala o di essere inseriti all’interno di reti più vaste capaci di trasformare territori fragili in spazi potenziali. In tal senso la pandemia ha contribuito a far riflettere sulle possibilità di inversione di trend negativi, proponendo nuovi possibili assetti per sviluppi economici che intervengano anche sulla rimodulazione di rapporti tra demografia e territorio, proponendo nuova vita per spazi ibridi/intermedi di ‘margine’. Ampliando il punto di vista, gli spazi in attesa possono essere intesi secondo differenti accezioni: spazi in dismissione o abbandono, spazi che necessitano di riuso/riabilitazione o riconversione, ma anche spazi incompiuti il cui interesse risiede nel ciò che avrebbe potuto essere, ma ancora non è. In un’ottica rivolta inoltre agli Obiettivi dell’Agenda 2030, tali spazi marginali (in senso fisico o meno) rappresentano un’opportunità per la ricostruzione di un rapporto tra urbano e rurale, o tra periferia e centro, oltre che per un attento rapporto tra necessità di nuove urbanità e consumo di suolo.
La dimensione della prefigurazione e figurazione proposta dalla sessione non rivolge il proprio interesse solo verso politiche o progetti che propongano di riabitare tali spazi, ma una loro dismissione e rinaturalizzazione in relazione a mutate condizioni di contesto. L’obiettivo è di sviluppare una riflessione sul processo di senescenza e abbandono dei territori e delle infrastrutture non più solo come espressione di un fallimento, ma di accompagnarlo tramite strumenti di transizione verso un’interazione fra insediamenti umani e ambiente naturale, con una maggiore attenzione alle dinamiche delle comunità. Una transizione di mentalità e di approccio che dovrebbe confrontarsi con una diversa idea di bello, lontana dall’estetizzazione imposta dal dominio della comunicazione e dell’immagine, per concorrere a un pluralismo paesaggistico.
7.3 Relazioni urbano-rurali: forme e dinamiche |
Coordinatori: Claudia Cassatella (Politecnico di Torino), Francesca Governa (Politecnico di Torino)
Email: claudia.cassatella@polito.it
AISU Panel
Le relazioni tra rurale e urbano – siano esse di natura funzionale, ecologica, socio-economica e insediativa – sono una chiave di lettura dell’evoluzione dei territori che appaiono radicalmente messe in discussione dalle dinamiche attuali. La distinzione netta e chiara fra urbano e rurale è più un’eredità del passato che una realtà individuabile e leggibile nelle trasformazioni che attraversano gli spazi contemporanei. Forme ibride in cui fenomeni e processi urbani si intrecciano a forme e processi rurali caratterizzano la “città” del nostro tempo. Le categorie di periurbano e di suburbano sono solo alcune delle chiavi interpretative di cui si è dotata la letteratura internazionale per rendere conto di queste aree non ancora urbane e non più rurali. Alcuni modelli interpretativi hanno analizzato la direttrice dall’urbano verso il rurale, altri si sono concentrati sul movimento inverso e altri ancora ne hanno messo in evidenza l’interdipendenza attraverso modelli interpretativi che si concentrano sui rural-urban linkages, intesi anche come possibile chiave di sviluppo (rural-urban partnership, OECD, UE).
Come interpretare dunque questi spazi? Qual è la dinamica evolutiva che ha dato origine a queste conformazioni che non rientrano in nessuna delle categorie disponibili? Quando e come ha avuto origine quella diffusione della città nella campagna, che prende però ora altre forme rispetto allo sprawl urbano novecentesco inserendosi nelle reti lunghe della produzione e dello scambio che si estendono a scala globale?
La sessione intende approfondire l’analisi dei fenomeni e le chiavi interpretative con cui rendere conto delle relazioni urbano-rurali nella loro fenomenologia storica e contemporanea, con particolare attenzione alle traiettorie di cambiamento, a fronte di sfide interne e esterne, locali e globali. Casi di studio o indagini sui concetti e sul loro utilizzo in prospettiva di policies sono egualmente benvenuti.
8.1 Narrative sullo scenario urbano del post-crisi |
Coordinatori: Sara Monaci (Politecnico di Torino), Tatiana Mazali (Politecnico di Torino)
Email: sara.monaci@polito.it
AISU Panel
La recente pandemia ha ampliato forme di esclusione preesistenti – ad esempio le disuguaglianze digitali emerse come gravi ostacoli all’accesso all’educazione, al lavoro, e alla possibilità di relazione e di socializzazione, – e ha rilevato come alcuni fenomeni – es. lo smart working, la didattica a distanza, i gig-workers – possano trasformarsi da opportunità desiderabili a forme di periferizzazione esistenziale (Ruzzeddu, 2020; Bolisani et al., 2020). Qui il concetto di periferia digitale corrisponde non solo ad un contesto spaziale – l’abitazione, il quartiere, la città – ma anche ad una periferia sociale e simbolica deve l’individuo si trova psicologicamente ai margini di un sistema (Papa, 2021). E’ interessante anche riflettere sul ruolo dei media nel diffondere immaginari e narrazioni ora volti a valorizzare la transizione al digitale come un orizzonte desiderabile, ora tese a metterne in luce i limiti e le contraddizioni. Siamo insomma di fronte ad una svolta epocale che gli apparati della comunicazione mainstream fanno fatica a raccontare, e che allo stesso tempo i social media fanno emergere attraverso la conflittualità dei discorsi d’odio, della misinformation e delle pandemie del non-senso. Tali processi sono difficili da cogliere in maniera sistematica, perché in fase di ascesa e in continuo mutamento, e per il fatto di essere composti da molti fenomeni minori, a volte interferenti a volte autonomi.
Obiettivo di questa sessione è quello di mettere a confronto contributi che riflettano sulle narrative post-pandemia relative a nuove condizioni di marginalità (a titolo esemplificativo donne in smart working, immigrati, riders etc.) ovvero a rappresentazioni conflittuali della “transizione digitale”.
La sessione si propone di accogliere sguardi multidisciplinari che spaziano dagli studi culturali sulla comunicazione e i media – con un focus anche sui metodi digitali più adeguati all’elaborazione e all’analisi dei dati in rete -, alle prospettive urbanistico-spaziali, alle analisi di stampo sociologico delle disuguaglianze.
8.2 Da plague-in cities a plug-in cities. Interventi e risanamenti urbani tra la seconda metà del XIV e la prima metà del XV secolo |
Coordinatori: Damiano C. Iacobone (Politecnico di Milano)
Email: damiano.iacobone@polimi.it
Da plague-in cities a plug-in cities. Interventi e risanamenti urbani tra la seconda metà del XIV e la prima metà del XV secolo. La peste che colpì a metà del XIV secolo l’Italia e il resto d’Europa si era diffusa a partire dalle città di Messina e Genova, per poi interessare gran parte della penisola. Se la trasmissione dell’infezione avveniva dai ratti agli uomini attraverso le pulci, nondimeno contribuirono alla diffusione della pestilenza la congestione urbana, condizioni igieniche generali pessime e la presenza di rifiuti organici in luoghi pubblici. Per quanto già i Regimina contra pestis prevedevano l’isolamento e l’allontanamento dai luoghi affollati, sarebbe opportuno valutare quanto possa aver contribuito alla diffusione della pestilenza (sia pure in modo indiretto) la struttura urbana medievale, con la rete stradale principalmente curvilinea (che aveva raggiunto il suo apogeo nel XII secolo), con vicoli ciechi, isolati stretti e giustapposti e la ristrettezza dei luoghi pubblici. Allo stesso tempo sarebbe interessante valutare quanto il cambiamento dell’organizzazione urbana a favore di tracciati rettilinei, assi viari più ampi, piazze e spazi pubblici, che iniziano ad essere realizzati alla fine del ‘300 per diventare componenti essenziali della struttura urbana dal ‘400, sia stato anche determinato da esigenze di tipo sanitario e di contrasto alle epidemie (insieme alla realizzazione di lazzaretti e luoghi di isolamento), oltre che da istanze di decoro urbano, di rinnovamento delle tipologie edilizie e conseguente cambiamento dei tracciati viari, e da elaborazioni di carattere teorico. Una serie di casi specifici, sia riferiti all’Italia che al contesto europeo, posti in correlazione, potrebbero portare a comprendere come sia stata superata l’epidemia attraverso interventi urbani, sino a configurare una rete stabile e solida di città tra la fine del XIV secolo e la prima metà del secolo successivo. Del resto, gli studi più aggiornati sulle epidemie stanno cercando di superare l’approccio puramente biologico, cercando di «analizzare la maniera in cui l’organizzazione, le norme culturali di una società hanno saputo adattarsi alle costrizioni dell’ambiente naturale e far loro fronte» (A. Burguière).
8.3 COVINFORM |
Coordinatori: Donatella Strangio (Sapienza Università di Roma), Elena Ambrosetti (Sapienza Università di Roma), Diotima Bertel (SYNYO Gmbh – Austria)
Email: donatella.strangio@uniroma1.it
AISU Panel
Da quando il COVID-19 è emerso nel dicembre 2019, ha avuto un impatto sociale, comportamentale ed economico globale quasi senza precedenti. Gli effetti della pandemia vanno ben oltre la salute fisica, incidendo sulla “vita quotidiana” e sul benessere, sulla salute mentale, sull’istruzione, sull’occupazione e sulla stabilità politica. “Gruppi vulnerabili” come anziani, migranti, persone che vivono con malattie croniche, persone con uno status socioeconomico inferiore, ecc. sono stati colpiti in modo sproporzionato dalla pandemia e dalle sue conseguenze socioeconomiche.
Per comprendere l’impatto delle diverse misure su questi diversi gruppi, è necessaria una ricerca comparativa più completa e coordinata che affronti le risposte subnazionali e sovranazionali e nazionali e il loro impatto e le conseguenze previste e non intenzionali (anche storicamente). Le misure attuate a livello internazionale, nazionale o locale non hanno un impatto uguale sull’intera popolazione, con prove che evidenziano gli impatti sproporzionati che la pandemia ha avuto su diversi segmenti della società, colpendo in misura maggiore i gruppi vulnerabili ed emarginati.
Sarà importante confrontare i risultati sulle risposte avviate dai governi nazionali, comprendendo l’impatto ineguale e l’impatto della pandemia di COVID-19 sui gruppi vulnerabili, l’efficace comunicazione in risposta al COVID-19 accentuata dalla grande quantità di informazioni false e cospirazione teorie online nei paesi europei. Alla luce di quanto sopra, l’obiettivo di questa sessione è fornire prove preliminari risultanti dalla ricerca desk e empirica del progetto COVINFORM H2020. In particolare, mira a valutare l’impatto delle risposte nazionali e locali al COVID-19 sul comportamento umano, sulle dinamiche sociali e sugli esiti di salute fisica e mentale all’interno sia della popolazione generale che di specifici gruppi vulnerabili.
8.4 La dimensione urbana della cura di fronte alla crisi: il rapporto tra città e salute mentale nella prospettiva storica. |
Coordinatori: Giulia Mezzalama (Politecnico di Torino), Federica Vittori (Associazione Culturale cheFare)
Email: giulia.mezzalama@madindesign.com
Il rapporto tra le istituzioni della psichiatria e la città ha una storia lunga e ricca di suggestioni che vede, in Italia, nella riforma dell’assistenza psichiatrica e nella chiusura dei manicomi – o meglio nella loro “apertura” alla città – l’inizio di un processo di decostruzione dei luoghi della malattia in favore di una auspicata, ma non del tutto realizzata, presa in carico da parte della città del suo ruolo di cura e di capacitazione. I luoghi della psichiatria tradizionale, storicamente noti come luoghi della costruzione e della riproduzione della malattia mentale hanno, dagli anni Sessanta del Novecento, aperto la strada a sperimentazioni basate sulla legittimazione della presenza del malato nel tessuto sociale e quindi sulla dimensione urbana – e non più solo architettonica – della cura. L’eredità di quella proposta, tanto forte da diventare politica alla fine degli anni Settanta, necessita oggi, alla luce della crisi pandemica, di una rilettura e di uno sguardo critico proiettato alle nuove dinamiche di trasformazione urbana. La recente pandemia ha infatti reso ancora più urgente il ripensamento del rapporto tra città e salute mentale: le ripercussioni in termini di benessere mentale, causate da situazioni di isolamento, paura, lutti, pressione sociale, hanno coinvolto target prima non considerati (minori, anziani sani, adolescenti, donne). Secondo le stime della Società Italiana di Psichiatria, a fronte della pandemia Covid 2019 il numero delle persone che si rivolgono ai servizi di salute mentale è destinato ad aumentare di circa un terzo, con un progressivo incremento delle giovani donne in età tra i 18 e i 35 anni. La pandemia ha poi enfatizzato il bisogno di cura di quei cittadini con problemi di salute mentale che non necessitano di servizi di residenzialità psichiatrica ma che non riescono ad avere una vita soddisfacente in termini di relazioni e di autonomia economica. Cittadini che abitano la città, ma che sono ancora vittime di stigma e pregiudizi radicati. Emerge il bisogno di elaborare nuove prospettive per ricomporre le fratture passate e recenti ripartendo dalle esperienze per immaginare comunità future più porose e inclusive. La sessione intende indagare il tema del rapporto tra città e salute mentale in una prospettiva ampia e multidisciplinare capace di mettere a confronto casi nazionali e internazionali.
8.5 La rappresentazione dello spazio urbano in tempi di crisi |
Coordinatori: Anat Falbel (EAHN Urban Representations Interest Group), Conor Lucey (University College Dublin), Ines Tolic (Università di Bologna)
Email: anatfalbel@uol.com.br
AISU Panel
Con l’obiettivo di contribuire alla discussione proposta da AISU per il suo congresso Adaptive Cities – Tempi e sfide della città flessibile attraverso la lente postpandemica. Ripensare tempi e sfide della città, la EAHN Urban Representations Interest Group suggerisce una riflessione sulla rappresentazione dello spazio urbano in tempi di crisi.
Considerando la vulnerabilità dell’ambiente emersa con l’Antropocene e ragionando sulle conseguenze delle distruzioni in una prospettiva storica, analizzando fenomeni che vanno dal cambiamento climatico e i cosiddetti “disastri naturali” fino al diffondersi delle malattie, il tema principale della sessione è la rappresentazione iconografica delle catastrofi naturali e di quelle causate dall’uomo, come anche le risposte (di attori pubblici e di quelli privati) volte a contenere gli effetti di tali eventi.
La sessione vorrebbe richiamare soprattutto contributi in grado di riflettere sulla rappresentazione dello spazio urbano in tempi di crisi nel periodo storico compreso fra il XVIII secolo e il giorno d’oggi, usando come fonte diverse tipologie di documenti visuali. Contestualmente, si invitano i relatori a interrogarsi sul contesto culturale e sulle condizioni che hanno portato alla realizzazione di questi documenti (ragioni, codici, convenzioni, produttori), considerando la rappresentazione sia come oggetto di analisi che come operazione storiografica. Casi studio specifici dovrebbero essere considerati come opportunità per individuare interpretazioni e temi storiografici di più ampio respiro, contribuendo in questo modo al dibattito sulla rappresentazione urbana e sulle metodologie della sua analisi, da un punto di vista storico ma con un occhio rivolto verso le sfide del futuro. Alcune delle domande che la sessione si pone di affrontare sono: Quali sono state le modalità dominanti di rappresentazione delle catastrofi urbane nell’Antropocene? In che modo queste rappresentazioni sono state prodotte e fatte circolare indicendo così sulla messa a punto di nuove strategie urbane o portando a nuove rappresentazioni? In che modo l’iconografia dello spazio urbano in tempi di crisi ha incorporato o si è appropriata dell’apporto di altre discipline? In che modo gli ultimi due anni hanno modificato il nostro punto di vista sul rapporto fra città e malattia, e in che modo questa relazione è stata rappresentata? In quale misura la rappresentazione della città in tempi di crisi contribuisce a dare forma al suo futuro?
8.6 In guerra e in pace. Minacce belliche e mutazioni della città europea in epoca contemporanea |
Coordinatori: Andrea Maglio (Università Federico II di Napoli), Gemma Belli (Università di Napoli Federico II)
Email: andrea.maglio@unina.it
AISU Panel
In epoca contemporanea modalità belliche ed esigenze di ampliamento e trasformazione urbana hanno diversamente interagito, condizionando forma, struttura e immagine delle città europee. Nell’Ottocento il venire meno della necessità di determinati elementi difensivi, come ad esempio le mura, offre l’occasione per ripensare la configurazione urbana, in concomitanza con la forte crescita demografica e le nuove esigenze di modernizzazione. D’altro canto, se a inizio secolo sorgono nuovi spazi per le funzioni militari, come il Campo di Marte, si avverte pure l’esigenza di adeguare presìdi e strutture con funzioni militari (porti, caserme, infrastrutture viarie, ecc.). Nel Novecento, poi, le diverse modalità con cui sono condotte le azioni offensive comporta una capacità di adattamento ancora più evidente. La Seconda guerra mondiale richiede la nascita di misure difensive quali rifugi antiaerei, piani per l’evacuazione e la sicurezza di abitanti, edifici e opere d’arte, ma anche il ripensamento della struttura del territorio, talvolta immaginando la nascita di piccoli centri considerati meno vulnerabili. La fine della guerra, ancora, segna la comparsa di nuovi studi mirati a prevenire gli effetti di eventuali conflitti e a misurarsi, successivamente, con le condizioni della ‘guerra fredda’. La fine di quest’ultima, infine, comportando una riorganizzazione delle alleanze come la Nato, di fronte a casi di dismissione, pone ulteriori occasioni di riuso e ripensamenti. La sessione sollecita contributi in grado di legare il tema delle trasformazioni urbane di epoca contemporanea alle diverse modalità con cui negli ultimi due secoli sono stati condotti in Europa i conflitti e, nel secondo dopoguerra, alle misure generate dalle paure di nuovi possibili, catastrofici eventi bellici.